Era il 21 luglio scorso, ancora era attivo il blog individuale “Stalker sarai tu“, progenitore de “La Fionda”, e su quelle pagine si pubblicò un pezzo intitolato: “Amnesty ordina: il sesso senza consenso sia sempre stupro”. Fece molto scalpore, suscitò molte discussioni tra i lettori, più per il titolo che per il contenuto. “Il sesso senza consenso è sempre strupro”, si contestava, con ragione. Il problema in allora era l’obbligo di proporre titoli non troppo lunghi, per cui sulle prime si omise l’aggettivo “esplicito”, che poi venne comunque inserito. Si può immaginare dunque lo stupore nel leggere praticamente ovunque sui media di massa di questi giorni la seguente notizia: “In Danimarca il sesso senza consenso sarà considerato stupro” (qui un esempio da “Il Post”, ma titoli così si trovano su qualunque testata). Stupore perché oggi nessuno contesta questa titolazione, sbagliata come la era quella dell’articolo di luglio. Oggi come allora il sesso senza consenso è indubbiamente una violenza sessuale, ma adesso che il passaggio legislativo danese è stato pompato fino ad assurgere a “notizia” di livello europeo, nessuno ritiene più necessario aggiungere la clausola fondamentale, ossia che quel consenso dev’essere esplicito.
Perché si lascia passare questo messaggio omissivo e distorto? Facile: per evitare che si vada un poco a fondo, col rischio di trovare tutte le peggiori contraddizioni che stanno usualmente alla base delle ingiustizie e delle follie. Lo segnalavamo già a luglio, facendo alcune riflessioni su questa che è diventata una delle battaglie globali della ONG Amnesty International, che fa proprie le asserzioni più psicotiche delle ideologhe femministe convinte che ogni atto sessuale, senza esclusioni, sia una violenza (Andrea Dworkin, Catherine McKinnon, Judith Levine, Marilyn French, Sheila Jeffreys, Shulamith Firestone, solo per citarne alcune). Come se faccende più gravi e reali di cui occuparsi, nell’ottica della tutela dei diritti umani, non ce ne fossero in giro per il mondo… Le questioni donne, sesso, stupro, diritti, con tutta l’attrazione che suscitano, portano molta più visibilità (e denaro) che non i profughi o le condizioni carcerarie di qualche angolo sperduto nel mondo. Ma che anche Amnesty International si venda al miglior offerente, oltre a non stupire, non è affare di nostro interesse.
Sorge il problema di come comprovarlo.
Ci interessa piuttosto ribadire alcuni aspetti relativi alla sua proposta, oggi diventata legge in Danimarca. Il primo riguarda il merito della questione. La norma supera la già traballante logica del passato sintetizzata dal motto “no è no”, secondo cui se una persona mostra apertamente di non gradire attenzioni o azioni sessuali, ci si deve fermare, altrimenti è violenza. Piuttosto accettabile, se si escludono i frequenti frangenti dove il “no”, nell’accezione e percezione femminile del termine, in realtà sovente significa: “non vedo l’ora che tu lo faccia”. Con il principio del “no è no” si deve quindi rinunciare alle schermaglie nel sesso, occorre essere chiari e da subito. Pazienza, basta non finire ingiustamente davanti a un giudice. Il problema è che l’evoluzione di Amnesty, ispirata dal femminismo, porta tutto oltre e il motto diventa: “sì è sì”.
Cioè l’assenza di diniego o resistenza da parte di una persona non basta più a segnalare che certe azioni non sono gradite. Serve che la persona confermi in ogni momento di accettare quelle azioni. Attenzione: in ogni momento. Già qui, pensando a un approccio sessuale, gli scenari comici si sprecano. Si immagini una coppia, nella passione del momento, con lui che chiede ogni volta il permesso prima di cambiare posizione… Si è già interamente nel grottesco. Sui treni i conduttori devono periodicamente premere un pedale o un pulsante per dimostrare di essere attenti e svegli: con la legge danese avrà ottimo mercato un dispositivo con cui la donna potrà segnalare ogni cinque minuti, mentre fa sesso, che è consenziente. Chissà, una levetta da attivare con l’alluce, un pulsante installato su un molare, un sensore impiantato sul pube… Si scherza ma non è questione irrilevante: oltre all’assurdo del doversi assicurare in ogni momento che la partner sia consenziente, sorge infatti il problema di come comprovare quel consenso costante e perdurante (dunque anche dopo il coito). Stiamo parlando di stupro, un reato penale per cui si finisce in un posto, il tribunale, dove le prove sono molto importanti per dimostrare la colpevolezza o l’innocenza di una persona.
Amnesty prepara l’assalto anche ad altri paesi europei.
Basta dunque chiedere alla partner ogni cinque minuti “tutto ok? Sei sempre d’accordo a far sesso?”. Certo che no. Verba volant e se lei, come accade nell’80% circa delle denunce per violenza sessuale, sta solo cercando di incastrare l’uomo, in tribunale negherà di aver mai risposto sì. Dunque che fare? Video-riprendere ogni “sessione”? Portare le immagini in tribunale configurerebbe un caso di “revenge porn”, quindi dalla padella alla brace. E non servono neppure app, dichiarazioni scritte o iniziative simili a cui, a parte la tristezza della cosa, lei potrebbe sempre dichiarare di aver aderito da ubriaca o drogata o sotto minaccia. Insomma: no way out. Le leggi sulla violenza sessuale basate sul “sì è sì”, tanto spinte dal femminismo e da Amnesty International, hanno un solo scopo che non è quello di tutelare le donne. Non vi è tutela per nessuno nel momento in cui vengono sovvertiti i più elementari meccanismi di accertamento della verità. Semplicemente si vuole elevare alla enne il potere già enorme delle donne nel campo delle relazioni sessuali. Per sua stessa natura l’attrazione conduce l’uomo ad abbandonarsi inerme ai sensi, il desiderio sessuale rappresenta la più sublime delle trappole per il maschile, dando così a chi può suscitarlo (la donna) un potere immenso. Non si contano nella storia decisioni di grandi uomini prese in camera da letto su suggerimento di qualche bella delle cui grazie in quel momento erano in potere.
Difficile insomma che un uomo coinvolto in un impulso sessuale apertamente sollecitato si possa ricordare di chiedere conferma del consenso all’inizio così come in ogni momento del rapporto, compreso il dopo. Se la donna seduce o semplicemente accetta il primo approccio, vuol dire che “ci sta”, è sempre stato così. Da lì in poi è solo un treno in corsa, da che mondo è mondo, da che uomo è uomo e donna è donna, da che il sesso è sesso. Affermare la regola del “sì è sì” significa aggiungere al potere seduttivo femminile anche il potere di incastrare in ogni momento l’uomo che è stato coinvolto. Un’autostrada aperta e libera a ripensamenti (frequentissimi), vendette, ricatti e più genericamente false denunce. Insomma un #MeToo istituzionalizzato. Dopo l’introduzione dei “reati di percezione” (come lo stalking), si passa ora direttamente alla licenza di calunniare, per interesse o altro. Da ora in poi Danimarca, come già in tanti altri pazzi paesi europei, nessun uomo è più al sicuro in nessun modo, ogni donna ha superpoteri, le relazioni interpersonali spontanee praticamente non esistono più e i criteri di giustizia costruiti in secoli di civiltà sono stati buttati alle ortiche. E non è finita: Amnesty prepara l’assalto anche ad altri paesi europei, e visto quanto l’Italia è infetta dall’ideologia femminista, aspettiamoci a breve qualche bestialità del genere anche da noi.