Dicono che la fluidità sessuale sia innata. Una tendenza, tutta moderna, che si è diffusa con la caduta dei pregiudizi sulla normalità binaria aprendo all’idea di poter essere attratti sessualmente da ogni genere. Analizzando i casi da vicino appare un’altra realtà: essendo tutti più soli saremmo più portati ad attaccarci a chiunque, a prescindere dal suo sesso o dal suo genere. Veniamo ogni giorno a sapere di inaspettati coming out da parte di persone che, dopo aver cambiato look, gusti alimentari, modi di pensare e partiti politici, mutano l’orientamento sessuale. Il fenomeno coinvolge in particolare le donne etero, anche quelle con alle spalle un matrimonio e dei figli che, ad un certo punto, sentono di avere affinità elettive e provano pulsioni verso amiche, vicine di casa, compagne di palestra: sono le lesbiche tardive. L’argomento trova ampio spazio sulla stampa. Leggiamo su uno dei periodici più liberal: «Le così dette lesbiche tardive o late-blooming lesbians sono donne adulte che sperimentano un cambiamento emozionale nei confronti della sessualità; può succedere a tutte le donne e a tutte le età, la scienza dimostra che è nel DNA dell’essere umano». La Dottoressa Lisa Diamond, lesbica e autorevole insegnante di psicologia, specializzata negli studi di genere sessuale, afferma: «Quello che sappiamo è che alcune donne (le separate, le divorziate quelle con una vita di coppia non appagante?) vogliono avere una seconda possibilità nella vita, vogliono fare qualcosa di nuovo, che vada oltre il matrimonio, il lavoro e la famiglia».
Anche secondo il Journal of Sexual Medicine le donne bisessuali sono aumentate socialmente negli ultimi anni (forse in proporzione al fallimento dei matrimoni?) e in percentuale, risultano decisamente in numero maggiore a quelle considerate unicamente lesbiche. Sempre di più sono quelle che ammettono di essere sole, impossibilitate ad impostare una relazione affidabile e stabile, bisognose di attenzione e affetto, stanche, deluse che dopo i fallimenti arrivano a convincersi che una donna le capirà e le amerà con sincerità. La mia amica Luciana mi racconta la sua storia che conferma questa tesi: «A 16 anni desideravo ardentemente avere un ragazzo e una casa tutta mia. La natura mi aveva attrezzato psicologicamente per avere una relazione con un uomo, ero sentimentalmente dotata di competenze per dividere la mia vita con un ragazzo. Il mio corpo, sessualmente maturo, mandava chiari segnali ma per trovare un fidanzato (nessuno mi filava!) dovetti attendere fino a 22 anni. Quando successe, coronai un sogno: avevo anche io un compagno. Eravamo due ragazzi romantici. Rimasi incinta un anno dopo e me ne accorsi mentre eravamo in vacanza in Francia mentre visitavamo i castelli della Loira. Mi meravigliavo di quel miracolo ma il mio ragazzo mi comunicava che era troppo giovane per diventare papà e che quel bambino non lo voleva. Abortii. Dopo pochi mesi ci lasciammo. Ebbi successivamente altre due storie veloci con uomini già impegnati con cui rimasi incinta. In tutto ho abortito tre volte».
Difenditi e aggredisci il maschio dominatore.
In quegli anni, racconta Luciana, tra i colleghi c’era una collaboratrice con cui si trovava bene a parlare. Era una donna con idee molto chiare, determinata e capace, mentre lei tirava a campare. Con quella giovane scatta l’identificazione e l’innamoramento. Ne nasce una relazione omosessuale che durerà circa tre anni. Il primo periodo è entusiasmante: quello stato, galvanizza Luciana la quale, per assomigliarle, assume anche gli atteggiamenti della compagna (pensando che possano garantire, anche a lei, successo personale e professionale). La finzione non tarda a bussare alla sua coscienza che porta a diverse incomprensioni; Luciana ammette a sé stessa che per colmare la solitudine non basta più quella relazione ed essere diventata una sua brutta copia ha aumentato la frustrazione. «La mia vita era diventata ancora più dura, ero aggressiva, piena di rancore. Quando ho preso coscienza di come stavo, ho deciso che andava troncata quella storia omosessuale. Sono entrata in analisi, trovando fortunatamente una persona che è stata in grado di aiutarmi a capire me stessa». L’esperienza di Luciana conferma la tesi delle corpose osservazioni della studiosa Diamond: viviamo in un’epoca in cui la donna deve poter scegliere di fare tutto ciò che vuole con il proprio corpo senza sentire la responsabilità delle proprie azioni sulle quali non esiste alcun stigma sociale. Anche l’orientamento sessuale, è il frutto di una decisione, frutto di quella libertà di scelta estrema predicata dalle femministe.
L’osservazione trova poco spazio e una forte censura sui media: si accetta che una persona entri nel mondo omosessuale ma si oppone a divulgare i percorsi che possano portarla ad una riconversione inversa, da omosessuale a etero. È importante la testimonianza di Francesca, una ragazza che tempo fa era riuscita a far pubblicare su un giornale locale bresciano la sua esperienza: «Ho scoperto di essere lesbica quando lavoravo negli ambienti universitari. Mi occupavo di scienze sociali perciò, un po’ per lavoro, un po’ per interesse, iniziai a frequentare movimenti femministi. Provenivo da un ambiente sociale e famigliare segnato da un forte clima di individualismo (ognuno deve sapersela cavare da solo e bene), perciò non fu difficile per me sposare ciò che il femminismo radicale insegna: la donna basta a sé stessa e l’uomo rappresenta un nemico. Nei numerosi circoli culturali che frequentavo, notavo che i dibattiti, l’arte, le presentazioni librarie, la moda, la comunicazione, gli eventi avevano un filo comune che tesseva l’immagine della donna di oggi: difenditi e aggredisci per sopravvivere al maschio dominatore e trova solidarietà e protezione nelle donne. Nella mia realtà mi confrontavo spesso con uomini in crisi con la propria mascolinità, intimoriti dall’aggressività della donna e incapaci di gestire e prendere decisioni».
L’uso politico della sessualità.
«Conoscevo», prosegue la giovane, «donne stanche (tra cui io stessa) di condurre relazioni con uomini simili a bambini impauriti e immaturi. In questo scenario, la complementarietà uomo-donna si stava trasformando in divergenza prima e ribaltamento poi della mascolinità e femminilità. Con il tempo, iniziai a provare sempre più sfiducia verso gli uomini, mentre cresceva una forte complicità con le donne che fece emergere la mia omosessualità. Ero certa che solo un’altra donna potesse comprendermi e darmi quella protezione che io come donna desideravo. Poco alla volta, però, iniziai a sentirmi svuotata. Oggi rispondo: chi usa la sessualità come tema politico è mosso da interessi che sfruttano la sofferenza delle persone. Al minimo dubbio sulla condizione omosessuale, mi sentivo rispondere: “tu sei così, è la tua vera natura, non devi sentirti in colpa”. La presa di coscienza di quanto fosse alterata la realtà che stavo vivendo mi permise di iniziare un percorso che mi ha portato a riconnettermi con la mia identità, anche sessuale, di donna. Oggi so che la mia omosessualità è stata la conseguenza di un modo di percepire falsamente la mia identità, secondo una realtà artificiale nella quale mascolinità e femminilità assumono caratteri indistinti, liquidi, sostituibili e ribaltabili».
La bisessualità, che all’interno della galassia LGBT rappresenterebbe il 40%, è marginalizzata e vista con sospetto soprattutto dal mondo gay e dalle lesbiche che la considera un’espressione di repressione sessuale. Si legge nel Bisexual Manifesto: «Siamo stanchi di essere analizzati, definiti o, peggio ancora, non essere considerati affatto. Siamo frustrati dall’isolamento e dall’invisibilità che ci sono imposti perché ci si aspetta che scegliamo di essere omosessuali o eterosessuali. La monosessualità è un dettato eterosessista usato per opprimere gli omosessuali e negare la validità della bisessualità, che è un’identità completa e fluida». Questa impossibilità di essere accettati porta le persone con un orientamenteo sessuale “bi” a soffrire di minority stress, il malessere che coinvolge le persone appartenenti a minoranze. Secondo lo studio Who I Am, pubblicato sull’Australian Journal of General Practice lo scorso marzo, (ripreso in Italia da The Vision) su un campione di circa 2500 persone bisessuali, il 58,7% ha avuto episodi di autolesionismo e il 77,6% ha pensato almeno una volta di suicidarsi. Una su quattro ci ha provato. La Fondazione HRC di Hillary Clinton in collaborazione con altri enti ha invece rilasciato il report Health Disparities Among Bisexual People, che evidenzia come le persone bisessuali siano soggette a tassi più alti di obesità, fumo, cancro e malattie sessuali. Una valutazione che dà valore a quanto affermato dalla ex lesbica Francesca: «chi usa la sessualità come tema politico è mosso da interessi che sfruttano la sofferenza delle persone».