«Quando gli esseri umani apparvero sulla Terra, il pianeta era un luogo ostile e spietato, solo i più forti sopravvivevano. Gli uomini andavano a caccia per sfamare la tribù ma dovevano affrontare sfide indicibili: nessuno poteva farcela da solo. Per sopravvivere c’era bisogno di un capo. Andò avanti così per migliaia di anni…», così recita il proemio del film Alpha – Un’amicizia forte come la vita (2018). Un mondo ostile e spietato. In questo mondo non esistevano i diritti. Può sembrare un’ovvietà, ma oggigiorno è sempre conveniente rammentare ciò che è ovvio. La conquista dei diritti è avvenuta dopo la costruzione del mondo, non al contrario. Prima della conquista dei diritti, questi hanno dovuto essere mentalmente concepiti. E per poterli concepire mentalmente, l’essere umano si è dovuto costruire un ambiente sicuro dove poterli concepire. Pian piano cresceva la sicurezza dell’ambiente dove abitava (alimentare, alloggiativa, fisica delle persone e dei beni…), quando non si è più sentito stretto nella morsa continua della fame, del caldo, del freddo, della violenza, grazie al progresso umano edificato con grandi sacrifici che garantivano la sua esistenza, sono nati nell’uomo maggiori pretese, e con loro la nozione del diritto e la necessità di diversi diritti, fino allora sconosciuti. La rivendicazione di nuovi diritti è andata quindi di pari passo al miglioramento delle condizioni di vita che derivava dalla costruzione del mondo. Processo tuttora vigente: garantiti ormai una miriade di diritti e un certo standard di vita, nascono ancora oggi nel mondo occidentale nuove rivendicazioni fino a poco tempo fa inesistenti come il diritto al reddito universale, a un lavoro “soddisfacente”, a cambiare sesso, alla felicità, il diritto delle donne a non subire alcuna violenza al di là del loro comportamento, del loro abbigliamento, del loro stato etilico, della pericolosità dell’orario o del luogo che frequentano…
In altre parole, i diritti devono la loro esistenza non solo a chi li ha rivendicati, ma soprattutto a chi ha creato le condizioni affinché questi potessero essere pensati e rivendicati: i costruttori del mondo. Tante volte sentiamo: “senza le lotte femministe le donne non avrebbero il diritto di voto”. Ragionamento estremamente semplicistico. A dir la verità, le suffragette «hanno manifestato per i loro diritti per strade sicure, protette da uomini poliziotti che permettevano loro di manifestare. Nessuna femminista ha mai rischiato la propria incolumità per assicurare alle consorelle luoghi sicuri dove vivere, strade sicure dove camminare di giorno e di notte, né ha mai sfidato il potere dell’uomo a pari armi: usando la forza. Nessuna si è mai armata per combattere da sola le belve selvagge, le orde barbariche, o qualsiasi altro pericolo od oppressione senza pretendere di contare al suo fianco sul contributo della forza maschile. I diritti si conquistano con la forza delle armi e del sangue, così li hanno conquistati gli uomini per loro e per le loro compagne» (tratto dall’opera La grande menzogna del femminismo, p 943). Insomma, le suffragette hanno potuto pensare e rivendicare il diritto di voto femminile perché i costruttori del mondo avevano costruito e garantivano per loro un ambiente sicuro. E in che modo si è costruito il mondo?
La bottega sulle spalle.
La Storia dell’umanità è stata inoppugnabilmente segnata da una netta divisione di ruoli tra uomini e donne. Fino all’avvento del femminismo, questa divisione ha prevalso indiscussa ovunque nel mondo ed era ritenuta naturale da tutti. L’ideologia femminista ha invece denunciato il carattere culturale di questa divisione, che sarebbe una creazione patriarcale, frutto dell’imposizione degli uomini a danno delle donne. Eppure, se osserviamo attentamente, sembra che le leggi e le norme umane servissero soltanto a consacrare ciò che la realtà biologica imponeva dittatorialmente. Per secoli, il tasso di mortalità infantile è stato elevatissimo. In Italia, ad esempio, dal periodo dell’unificazione fino all’attualità, secondo l’Istat «in 140 anni di storia, il tasso di mortalità passa da circa 400 decessi sotto i 5 anni di vita ogni mille nati vivi a 4». Quasi la metà dei bambini dunque moriva prima dei cinque anni, e questo ancora nella seconda metà dell’Ottocento, con la rivoluzione industriale e il progresso della medicina già in corso. I figli erano allora l’unica garanzia per una vecchia dignitosa, e bisognava farne tanti perché molti morivano prima dell’età adulta. Oltre alle gravidanze c’era l’allattamento, che si prolungava per molto tempo, non c’erano altre vie. La maggior parte delle donne quindi si trovava indaffarata nei compiti materni e domestici, non per imposizioni patriarcali ma perché i figli garantivano la loro vecchiaia e la loro sopravvivenza, in special modo quando moriva il marito. Era per loro più produttivo concentrarsi sui lavori domestici, compatibile con le cure dei figli più di altre attività esterne.
Ciò non significa che le donne non abbiano partecipato all’agricoltura, all’artigianato o al commercio, ma più i compiti diventavano pericolosi e/o faticosi – in quanto a forza fisica – più questi venivano assegnati agli uomini. Arare ad esempio era un compito realizzato in genere dall’uomo, per non parlare del reclutamento in guerra o dei lavori forzati. Era ingiusto? No, era la miglior soluzione per entrambi i sessi per poter portare avanti la famiglia. La maggior parte dell’umanità viveva sotto la soglia di povertà, di conseguenza molti uomini erano costretti ad accettare lavori pericolosi e condizioni disumane nella maggior parte dei settori lavorativi, dall’edilizia all’estrazione, dal settore marittimo all’esercito… In questo servizio giornalistico viene raccontato ad esempio il contributo dei circa ottomila giovani emigranti gallegos, cinquecento di loro morti nella fossa durante la costruzione del canale di Panama, inaugurato in 1914. I lavoratori gallegos furono chiamati oltremare perché durante la costruzione del canale già nel 1906 i lavoratori delle Antille riuscivano a malapena a reggersi in piedi, indeboliti e decimati dalle malattie. Emigranti che lasciavano tutto – e per “tutto” si intende anche la vita – per mantenersi e mantenere la famiglia. Senza andare troppo lontano, fino a non molti anni fa il Trentino era percorso da ambulanti poverissimi, arrotini, seggiolai, ombrellai, spazzacamini, ciabattini, parolòt…, instancabili e indispensabili alla piccola economia domestica, lavoratori “con la bottega sulle spalle”, cioè con la casa sulle spalle, che dovevano superare i passi e i valichi in montagna.
Il prezzo del sangue maschile.
Una particolare categoria di ambulanti erano i perteganti, provenienti dal Tesino, sopra la Valsugana, al confine tra Veneto e Trentino: venditori di stampe popolari che si sono spinti oltreoceano. Il commercio toccò tutti i continenti. Partivano dal Tesino e lasciavano la propria casa a 14 anni per attraversare confini e oceani e fare i venditori ambulanti, chiamati in dialetto veneto “perteganti”, dal nome del bastone su cui si appoggiavano nei loro lunghi viaggi in cerca di acquirenti, che serviva loro anche come strumento di difesa contro i briganti. E questi sarebbero esempi di lavori esercitati, in teoria, liberamente. I lavori forzati, cioè la schiavitù di produzione, ha svolto fino a poco tempo fa un ruolo fondamentale nella costruzione del mondo, e anche questa manodopera è stata essenzialmente maschile. Non ci sono infrastrutture né monumenti, dalle grandi piramidi alla Grande Muraglia Cinese, che non si siano serviti di questa manodopera. In questo altro servizio si descrive ad esempio la costruzione della ferrovia Transiberiana, realizzata principalmente dai prigionieri. Nella ferrovia Transiberiana «giace sepolto sotto ogni traversina il cadavere di un disgraziato proveniente dai campi di lavoro forzato… gli operai indossavano pochi indumenti, gli attrezzi erano inadeguati, il cibo era insufficiente, in alcuni campi c’erano dei termometri che qualcuno aveva rotto perché non potessero indicare la temperatura, poiché le squadre restavano nelle baracche nel caso venissero registrati 50 gradi sotto lo zero o meno… È inimmaginabile». «Nella costruzione della linea Salekhard-Igarka, la linea della morte di Stalin, la relazione di una delle colonne di lavoro per il mese di gennaio di 1951 indicava una perdita di vite di circa l’1% dei prigionieri. Ogni colonna contava tra i 30.000 e i 50.000 lavoratori, il che significa almeno 300 morti al mese». Sarebbe ozioso chiedersi quanti di questi operai morti fossero donne, come sarebbe ozioso stilare un elenco comparativo tra i mestieri maschili e femminili mortali o che comportavano malattie professionali durante il “Patriarcato”. L’uomo è stato schiavo, servo, mezzadro, operaio, marito, padre, tutti sinonimi del termine “fornitore e costruttore del mondo”. In maniera sintetica e semplicistica, volendo fare una lettura di genere, come piace fare all’ideologia femminista, si potrebbe affermare che un genere costruisce le case e ripara i tetti l’altro genere vi abita e trova rifugio.
La costruzione del mondo non bastava. In un mondo ostile e pericoloso, bisognava allestire una rete di protezione, attuata anche questa dagli uomini. Nelle civiltà primitive lo straniero era considerato un nemico, una minaccia alla coesione del gruppo o del clan. I confini territoriali venivano ferocemente protetti e quando un forestiero li attraversava veniva catturato o ucciso, in modo che non contaminasse il gruppo con il suo spirito o la sua magia. Con lo sviluppo di una maggiore coesione all’interno della civiltà, lo straniero iniziò ad essere considerato un emissario piuttosto che un nemico. La violenza non era qualcosa di puntuale ma sistemica, come nel far west americano, che non è stato un’eccezione storica. Durante il periodo noto come Reconquista di Spagna, durata otto secoli circa, la Castiglia era un territorio di frontiera. Ogni anno si ripetevano delle incursioni arabe sul territorio cristiano che devastavano tutto ciò che trovavano. Da qui l’importanza delle armi. Tra i guerrieri vichinghi, i legami con le loro spade era molto forti, tanto da assegnare ad esse dei nomi (come in Inghilterra la nota spada Excalibur della leggenda di re Artù) e da lanciare le spade nelle torbiere alla morte del loro proprietario. Ancora non molto tempo fa, nel mondo contadino, gli uomini andavano in giro sempre armati. Questo giornalista racconta del barile nella trattoria di suo nonno, in Spagna nel 1940 (cioè nemmeno un secolo fa), dove costringeva i suoi clienti, connazionali della regione che venivano nei giorni di fiera per vendere o acquistare bestiame, a lasciare le pistole in deposito prima di entrare nella sala da pranzo – come succedeva nel far west. In questo mondo di violenza sistemica non aveva senso rivendicare alcun diritto. In conclusione, come avevo già scritto in un intervento precedente, molto simile, da integrare con questo, «per secoli nelle menti femminili non è mai esistita una parvenza di qualcosa di simile agli attuali “diritti delle donne”». La narrazione storica femminista che concede in esclusiva alle suffragette il merito del voto femminile è falsa, parziale e irriconoscente verso i sacrifici maschili. Le donne godono oggi del diritto di voto (o di qualsiasi altro diritto) innanzitutto perché gli uomini hanno partorito il suo concepimento e garantito l’esercizio mediante la costruzione di un mondo sicuro e stabile, che è costato loro «sangue, fatica, lacrime e sudore».