Nel registro elettorale per le elezioni nella parrocchia di St Chad’s, Lichfield, nel Regno Unito, nel 1843, tra gli elettori «c’erano alcune donne economicamente indipendenti, proprietarie di terreni e immobili. C’erano anche donne, probabilmente vedove, che avevano ereditato le attività commerciali dei mariti. Ad esempio, l’elettrice più ricca era Grace Brown, una macellaia, che gestiva una grande attività con diversi servitori. A causa delle alte imposte che pagava, Grace aveva diritto a quattro voti nelle elezioni, che esercitò a favore del candidato conservatore. Ma sono rimasta stupita nel vedere molte donne nella lista che erano molto più in basso nella scala sociale, tra cui la lavandaia Caroline Edge, la serva Sarah Payne e persino delle donne povere, tra cui Sarah Batkin di Stowe Street». La citazione è tratta da un articolo di Sarah Richardson, Professoressa Associata di Storia all’Università di Warwick, a proposito di un registro elettorale del 1843, che mostra i nomi di 30 donne votanti, tra cui una votante plurima, Grace Brown, che aveva quattro voti a causa del suo status di ricchezza. Questa elezione ebbe luogo ben 75 anni prima del Representation of the People Act del 1918 che concesse il voto alle donne britanniche, e dopo il Great Reform Act del 1832 – che stabilì per la prima volta che il diritto di voto era riservato alle “persone di sesso maschile”. Sebbene ciò fosse raro, dopo il 1832 alcune donne riuscivano comunque a votare nelle elezioni parlamentari grazie alla proprietà di beni. Ad esempio a Southport, nel 1866, le donne costituivano 588 dei 2.085 elettori qualificati a votare per l’ente locale responsabile del governo della città.
Le donne single che pagavano le tasse ottennero il diritto di voto per le elezioni locali in Inghilterra e Galles con il Municipal Franchise Act del 1869, confermato con il Local Government Act del 1894 che incluse anche alcune donne sposate, rendendo così oltre 729.000 le donne idonee a votare. Nel 1900, più di un milione di donne risultavano registrate per votare nelle elezioni locali in Inghilterra. Come si può notare, la questione è un po’ più complessa dalla semplice constatazione, dominante nella narrazione storica attuale, che “le donne non potevano votare”. Molta della discussione dell’epoca non si aggirava sul fatto se le donne potessero votare o meno, ma se le donne sposate potessero farlo. All’epoca, lo status di una donna sposata si integrava con quello del marito, ciò la rendeva inabile a esercitare molte funzioni pubbliche e irresponsabile per molti reati – il marito scontava punizioni e pene di prigione per conto della moglie. La questione del voto delle donne era infatti favorevolmente sostenuta da una maggioranza politica. Il politico Benjamin Disraeli (1804-1881) – primo ministro nel 1868 e dal 1874 al 1880 – così critico nei confronti della democrazia e del voto maschile della classe lavoratrice, già nel 1848, e più volte successivamente, dichiarava di essere favorevole al suffragio femminile. Non è necessario disturbare le opinioni dei singoli deputati. La suffragetta Millicent Fawcett dichiarò nel 1912: «C’è stata una maggioranza nella Camera dei Comuni a favore del suffragio femminile dal 1886». Parimenti la suffragetta Emmeline Pankhurst dichiara lo stesso nella sua autobiografia: «…nel 1884, quando il County Franchise Bill fu presentato al paese, avevamo una maggioranza effettiva a favore del suffragio nella Camera dei Comuni».
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Complesse questioni politiche.
Le due più importanti suffragette britanniche hanno candidamente ammesso che c’era sempre stata una maggioranza (maschile) a favore del suffragio femminile. È evidente che queste dichiarazioni smentiscono palesemente le conclusioni storiche femministe che attribuiscono il divieto del suffragio femminile all’avversione maschile, al patriarcato e alla misoginia. Ma se esisteva una maggioranza politica favorevole a concedere il voto alle donne, maggioranza ammessa dalle stesse suffragette, cosa ha impedito di ottenere il suffragio femminile molto prima del 1918? Nel Regno Unito vigeva il voto censitario maschile basato sul reddito, ciò era fonte di due grandi conflitti interconnessi che riguardavano il suffragio: il suffragio femminile e il suffragio operaio (maschile). Conservatori e liberali (i due grandi partiti) erano contrari a concedere il diritto di voto agli operai. Invece per le donne la divergenza era diversa: malgrado ci fosse un sentimento maggioritario favorevole a concedere il voto alle donne, nelle stesse condizioni di reddito alle quali erano soggetti gli uomini, questo poneva dei problemi pratici al Partito liberale. I liberali si opponevano perché pensavano che le donne ricche, ottenuto il voto, avrebbero votato in maggioranza ai conservatori e messo in pericolo il loro partito. Il partito laburista, all’epoca più piccolo, era invece favorevole al suffragio universale adulto, tanto delle donne come degli operai. Infine, le suffragette sostenevano solo il suffragio femminile, contrarie al voto operaio.
«Il raggiungimento del suffragio universale degli adulti era considerato realizzabile solo dai socialisti e dai sindacati che sostenevano l’uguaglianza delle donne. Sia la leadership della NUWSS (National Union of Women’s Suffrage Societies) che quella della WSPU (Women’s Social and Political Union) consideravano il suffragio universale come un sogno utopico socialista». Alla conferenza del Partito Laburista del 1902, Emmeline Pankhurst propose che «per migliorare le condizioni economiche e sociali delle donne, è necessario adottare misure immediate per garantire il suffragio alle donne nelle stesse condizioni in cui viene, o può essere, concesso agli uomini». Questa proposta non venne accettata. La politica del partito chiedeva il “suffragio universale”. Le opinioni della Pankhurst sul suffragio limitato ricevettero molte critiche. Uno dei leader del partito, John Bruce Glasier, sostenitore di lunga data del suffragio universale, assieme alla moglie Katharine Glasier, si opponeva alle opinioni della Pankhurst. Nel suo diario scrisse che disapprovava il suo «sessismo individualista». In un incontro con Emmeline e sua figlia, Christabel Pankhurst, affermò che le due donne «non cercavano la libertà democratica, ma la loro notorietà». Il leader sindacale Henry Snell concordava: «La signora Pankhurst era magnetica, coraggiosa, audace e risoluta. La signora Pankhurst era un’autocrate travestita da democratica».
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Il merito dei laburisti (uomini).
Emmeline, Christabel e le due altre figlie Sylvia e Adela erano frustrate dalla mancanza di progressi nella conquista del suffragio femminile e fondarono la Women’s Social and Political Union (WSPU) come un’organizzazione esclusivamente femminile. L’obiettivo principale non era ottenere il suffragio universale, cioè il voto per tutte le donne e gli uomini sopra una certa età, ma il voto per le donne “nelle stesse condizioni degli uomini”. A dicembre 1904 The Clarion pubblicò una lettera di Ada Nield Chew, una figura di spicco nell’Independent Labour Party, che attaccava la politica della WSPU: «L’intera classe delle donne ricche verrebbe ammessa al suffragio, mentre la grande massa delle donne lavoratrici, sposate o single, rimarrebbe senza diritto di voto, e dare il voto alle donne ricche significherebbe che esse, votando naturalmente nel proprio interesse, contribuirebbero a sommergere il voto illuminato dell’operaio, che sta cercando di far entrare i lavoratori in Parlamento». La WSPU fu accusata di fare campagna non per “voti per le donne, ma per voti per le signore”. Mabel Hope, membro fondatrice della Women’s Labour League (WLL) asseriva che le suffragette «avevano creato un antagonismo di sesso invece di un antagonismo di classe e ciò era contrario allo spirito del socialismo». Parimenti, Margaret Bondfield, politica del Partito Laburista britannico, sindacalista e attivista per i diritti delle donne, e Mary Macarthur della National Federation of Women Workers rifiutarono di partecipare alle campagne per il suffragio femminile, preferendo fare campagna con la Adult Suffrage Society.
La maggior parte degli storici identifica come l’atto inaugurale della militante lotta per il suffragio un incontro del 1905, quando Christabel Pankhurst e Annie Kenney interruppero i politici Winston Churchill e Sir Edward Grey. Le due giovani donne urlarono sopra gli eminenti politici. Furono trascinate fuori dalla sala e arrestate quando Christabel sputò su un poliziotto. Il resto, fino al 1918, è storia. Le loro appariscenti manifestazioni e campagne violente non ebbero alcun effetto sulla concessione del voto alle donne. La verità è che l’immenso sacrificio maschile di sofferenza e sangue durante la Prima guerra mondiale conquistò il diritto di voto per gli operai e ciò sbloccò la situazione anche per le donne, come vedremo nel prossimo intervento. I grandi eroi del suffragio femminile del 1918 furono quindi il sacrificio maschile e uno sconosciuto di nome Arthur Henderson, non le suffragette né il femminismo. «Fu la minaccia di defezione da parte del Partito Laburista, e non gli atti di disobbedienza civile dei militanti, a far sudare i Liberali. Il leader laburista Arthur Henderson minacciò di dimettersi dal governo – una mossa che avrebbe dissolto il governo – se il suffragio femminile non fosse stato incluso nel disegno di legge sulla riforma elettorale in discussione in Parlamento».
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La “detestabile campagna”.
Ecco l’unico riferimento alle suffragette e alle loro proteste nei dibattimenti nella Camera per la concessione del voto alle donne, a dimostrazione della grande influenza che ebbero le loro azioni: nessuna. «E permettetemi di aggiungere che, da quando è iniziata la guerra, ormai quasi tre anni fa, non abbiamo avuto alcuna ripresa di quella detestabile campagna che ha sfigurato gli annali dell’agitazione politica in questo paese, e nessuno può ora sostenere che stiamo cedendo alla violenza ciò che abbiamo rifiutato di concedere alla ragione», affermò in Parlamento l’ex primo ministro Herbert Asquith il 28 marzo 1917. Le suffragette ebbero l’ardire di fondare un partito, Women’s Party, per concorrere alle elezioni generali del 1918, prime elezioni generali dove le donne potevano votare, e presentarono a Christabel Pankhurst come candidata. Questo “Partito delle Donne” ottenne meno del 0.1% dei voti. Non presero nessun seggio dei 707 in Parlamento. Il Women’s Party si sciolse nel giugno 1919. E questa fu l’ennesima dimostrazione del ruolo marginale e il peso che queste donne avevano nella società e, più importante, tra le donne. L’importanza che oggi la società attribuisce al femminismo nella conquista del voto delle donne non ha nessun fondamento storico ed è fondata unicamente su motivi ideologici, come vedremo nel prossimo intervento.