«16. Preghiamo affinché tutti gli uomini schiavi possano essere resi liberi, perché Dio ha reso tutti liberi con il suo prezioso spargimento di sangue» . «25. Preghiamo che nessuna persona, di qualunque grado o condizione sia, possa vendere d’ora in poi il destino di un figlio, ma che per lo stesso figlio, se vivrà fino alla maggiore età, sarà sua la scelta riguardo al suo matrimonio, solo soggetta alla tutela del Re». Questi sono due degli articoli della petizione dei ribelli a Mousehold Heath, a luglio 1549, durante la Ribellione di Kett. Si tratta di una rivolta, come tante altre che si sono succedute lungo la Storia in Europa, avvenuta nel Norfolk, in Inghilterra, durante il regno di Edoardo VI. I ribelli presero d’assalto la città di Norwich e sconfissero l’esercito reale guidato dal marchese di Northampton, inviato dal governo per reprimere la rivolta. La ribellione di Kett terminò due mesi dopo circa, quando i ribelli furono sconfitti da un esercito, sotto la guida del conte di Warwick, nella battaglia di Dussindale. Si ritiene che a Dussindale siano morti 3.000 ribelli circa, mentre l’esercito di Warwick abbia perso circa 250 uomini. Dopo la battaglia, i ribelli sopravvissuti furono impiccati, secondo le stime da 30 a 300, oltre ai ribelli già giustiziati, 49 di loro, quando l’esercito era entrato a Norwich alcuni giorni prima. Quanti di questi ribelli impiccati o uccisi durante la battaglia fossero uomini o donne non si sa, ma non penso di sbagliare di molto se ipotizzo che tutti quanti fossero uomini. Di questa ribellione sono sopravvissuti i 29 articoli della petizione. Le richieste sembrano tutt’altro che irragionevoli.
Attualmente i diritti fanno parte della nostra quotidianità, il diritto allo studio, al lavoro, alla proprietà, a una casa… La Dichiarazione universale dei diritti umani oppure la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sono documenti irrinunciabili e integrati nella struttura legislativa di ogni paese europeo. Molti di questi diritti sembrano talmente ovvi da essere dati da molti per scontati, ma non è così. L’umanità è riuscita ad acquisire i diritti in un lungo e lento processo storico, una lunga traversata tra dolorosi sacrifici, grande sofferenza e sangue. Innanzitutto, la prima conquista è stata quella di riuscire a concepirli nel mondo dei pensieri. La nozione di diritto non esiste in Natura e l’essere umano ha dovuto inventarla. In Natura non esiste il diritto alla vita né all’incolumità, a non essere stuprato, abusato, torturato, picchiato, mangiato, privato di libertà, il diritto alla tolleranza, ad un giusto processo… In Natura l’unico dovere esistente è quello della sopravvivenza, e gli unici diritti esistenti sono quelli che aiutano a sopravvivere: il diritto alla forza (predominante nell’universo maschile), il diritto all’inganno e all’astuzia (mediante anche la bellezza, o il sesso, o l’amore o a una combinazione di tutt’e tre, bellezza, sesso e amore, predominante nell’universo femminile). Per secoli e secoli gli esseri umani si sono conformati a questi principi e ogni sopruso faceva parte dell’ordine naturale delle cose. Diritti che oggi ci possono sembrare ovvi, come quelli citati nella petizione della Ribellione di Kett, non lo erano affatto una volta.
La vita dura degli apprendisti.
L’istituzione della schiavitù esemplifica meglio di qualsiasi altra il divario esistente tra la concezione attuale sui diritti e quella che ha prevalso lungo i secoli. Durante l’Impero Romano, che per secoli ha controllato il Mediterraneo e gran parte del territorio europeo, la schiavitù ebbe un’importanza rilevante. La schiavitù esisteva già quando Alessandro Magno conquistò l’impero persiano nel IV secolo avanti Cristo. Esisteva già nell’antico Egitto, cinquemila anni fa. Per quanto riusciamo ad andare indietro nella storia dell’umanità, troviamo la schiavitù, in ogni dove. In alcuni di questi luoghi, gli schiavi hanno rappresentato addirittura un terzo del totale della popolazione. Era così comune che il filosofo Aristotele la ritenne “naturale”. In Natura è normale che la perdita di un combattimento rappresenti la perdita di ogni diritto, il diritto alla vita, alla famiglia, alla proprietà o alla libertà. L’istituzione della schiavitù in essenza non è altro che l’applicazione del diritto della Natura. Per abbattere questo modo di concepire il mondo è stato necessario riuscire a immaginare mentalmente la possibilità di un altro ordine di cose. La conquista dei diritti è stata prima di tutto la conquista della consapevolezza dell’esistenza di tali diritti. Ogni diritto prima ha dovuto essere pensato, inventato; dopodiché propagandato, ampiamente condiviso; infine, conquistato. Un processo lento e lungo.
Per quanto assurdo possa sembrare, uno dei maggiori progressi per l’umanità è stato ad esempio la legge del taglione. Oggi nessun codice penale del mondo l’applica, vige la massima di Gandhi, “occhio per occhio fa sì che si finisca con l’avere l’intero mondo cieco”. Ma 3000 anni fa circa, l’occhio per occhio, dente per dente (Bibbia, Dt 19, 21) riuscì a porre un limite alle vendette private, che degeneravano spesso in faide e stragi di innocenti per generazioni, e stabilì un principio sacrosanto: la responsabilità personale. Nessuno è colpevole né responsabile dei delitti commessi da altri, né penalmente né moralmente. La consapevolezza sulla crudeltà della punizione inflitta sui colpevoli (l’abbacinamento ad esempio) sarebbe arrivata successivamente. La stessa schiavitù si è attenuata lungo il tempo, ha cambiato veste e nome, e si è trasformata in servitù. I servi non potevano essere uccisi. Prendiamo come esempio le condizioni degli apprendisti nelle botteghe nelle città medievali, in Inghilterra, XIII secolo. Ci volevano molti anni per diventare un buon artigiano. Ogni ragazzo che voleva imparare il mestiere doveva diventare apprendista di un maestro. L’apprendista non aveva il diritto di lasciare il suo maestro prima di aver completato il periodo del suo apprendistato. Viveva con il suo maestro, che gli forniva cibo, vestiti e scarpe e gli insegnava tutti i segreti del mestiere. L’apprendista svolgeva i lavori meno qualificati della bottega e doveva aiutare nelle faccende domestiche in casa del padrone.
Sotto il dominio femminile.
Ecco un tipico contratto di apprendistato: «Questo contratto stipulato tra John Gibbs di Penzance nella contea di Cornovaglia da una parte e John Goffe, spagnolo, dall’altra parte, testimonia che il suddetto John Goffe si impegna con il suddetto John Gibbs di imparare l’arte della pesca, di restare con lui come apprendista e di servirlo per otto anni. Per tutta la durata del mandato il suddetto John Goffe servirà bene e fedelmente il suddetto John Gibbs e Agnes, sua moglie, come padroni e signori, manterrà i loro segreti, eseguirà ovunque volentieri i loro comandi legittimi e onorevoli, non recherà danno al suo padrone, non dovrà sperperare i suoi beni né li presterà a nessuno senza il suo speciale comando. Il suddetto John Gibbs e sua moglie Agnes insegneranno, addestreranno e formeranno John Goffe, il loro apprendista, nell’arte della pesca nel miglior modo che conoscono; forniranno allo stesso John, loro apprendista, cibo, vestiario, biancheria, lana e scarpe, a sufficienza, durante il termine suddetto». La vita dell’apprendista era molto dura. Era destinato a lavorare per il suo padrone per sette o più anni durante i quali era alla mercé del suo padrone, che spesso lo rimproverava e lo picchiava duramente.
Un documento di un tribunale cittadino riferisce: «Thomas e William Sewale, figli di Thomas Sewale di Canterbury, che erano stati apprendisti di John Sharpe, fecero la seguente denuncia: la moglie del loro padrone, Margaret, li aveva nutriti in modo insufficiente, li aveva picchiati maliziosamente e aveva colpito William sull’occhio sinistro così violentemente da fargli perdere la vista di quell’occhio». Se l’apprendista protestava e si rifiutava di servire il maestro, veniva processato dal tribunale cittadino: «Roger, figlio di Richard Warmwell, apprendista di Emma, vedova di William Hatfield,… era ribelle, si rifiutava di servirla e non era disposto a farsi punire da lei nel modo giusto come dovrebbe essere». Poteva capitare che i ragazzi apprendisti scappassero dai loro padroni. Se l’apprendista fuggitivo veniva riacciuffato, era costretto a tornare e a lavorare fino al completamento del periodo di apprendistato. «William Batyngham è stato arrestato e detenuto in prigione a Salisbury per causa di William Beverley, di Londra», dice un documento, «poiché era il suo apprendista e ha lasciato il servizio qui a Londra, ed è stato tutto il tempo vagando per molte città, a Winchester, Bristol e altrove, tanto che il suo padrone non è riuscito a trovarlo fino ad ora». Questi documenti testimoniano condizioni di lavoro che assomigliano alla schiavitù: gli apprendisti non possono allontanarsi, possono essere picchiati, devono ubbidire, e questo per molti anni. Tenuto conto di queste dure condizioni di vita, il lamento della narrazione storica femminista, che denuncia la tragica condizione delle donne nel Patriarcato rinchiuse nella sfera domestica, risulta quanto meno ridicolo. Inoltre, come ben testimoniano questi documenti, molte donne vantano una posizione di potere e perpetuano queste condizioni di sfruttamento. Allora per nessuno esistevano diritti lavorativi.
La facile lotta delle suffragette.
Nella narrazione storica femminista il diritto di voto femminile regna sovrano e sovrasta tutti gli altri per importanza. Tante volte sentiamo: “senza le lotte femministe le donne non avrebbero il diritto di voto”. Quest’asserzione – oltre a essere a mio parere falsa, come cercherò di spiegare in interventi futuri – impone un modello deterministico unicausale troppo semplicistico, persino infantile. I diritti sono interconnessi, e nuovi diritti possono essere pensati, e conquistati, grazie alla consolidazione e alla conquista di altri di un rango superiore, come possono essere il diritto alla vita, alla proprietà, alla libertà, all’uguaglianza giuridica… Nell’Ottocento il diritto di voto era un diritto relativamente nuovo che è riuscito a prendere forma nell’immaginario collettivo grazie alle lotte e alla consolidazione di altri diritti, che per tutti allora erano più rilevanti. Negli Stati Uniti nel 1877, quando le suffragette erano ancora un minuto gruppo di donne, ebbe luogo uno sciopero generale delle ferrovie (Great Railroad Strike), con la partecipazioni di oltre 100.000 lavoratori, in lotta per dei diritti, e la morte purtroppo di 100 di loro! Diritti allora per tutti più rilevanti del diritto di voto. Nel Regno Unito, tra il 1911 e il 1914, cioè quando il movimento suffragette britannico faceva sentire le proprie richieste con maggior forza, ebbe luogo un periodo di scioperi e rivolte dei lavoratori, noto dagli storici come Great Unrest. Oltre 3000 scioperi, ci furono sabotaggi. Il governo schierò la fanteria e la cavalleria contro gli operai in lotta per i diritti lavorativi. Ci furono dei morti tra gli scioperanti.
All’epoca nel Regno Unito le proteste delle suffragette (contro le quali non fu mai lanciata la cavalleria) erano un problema minore rispetto alle proteste operaie – tra l’altro, come le donne, molti operai non avevano il diritto di voto. Raccontare il suffragio femminile come un fatto a sé al di fuori di quello che succedeva nel Regno Unito è una distorsione della realtà. Persino la concezione del diritto di voto femminile sarebbe incomprensibile senza la concezione del diritto di voto tout court, promossa innanzitutto da uomini. Ad esempio, Sir Francis Burdett (1770-1844) è stato un politico britannico membro del Parlamento che promosse, con poco successo, una riforma del voto nel Parlamento nel 1809 e nel 1817 il suffragio universale maschile (anticipando il movimento cartista di 1838). Quanto devono le suffragette alle lotte di Sir Francis Burdett? In conclusione, la lotta per il diritto al voto femminile non può essere spiegata autonomamente. La concezione e la conquista di uno specifico diritto, come è il diritto al voto femminile, è il frutto di un processo lento e lungo di concezione e di conquista di tanti altri diritti, di tante altre lotte e di tanti altri sacrifici che, come tutti sappiamo, sono ricaduti perlopiù sulle spalle degli uomini. Se oggi le donne possono votare è grazie principalmente ai sacrifici di questi uomini – alcuni di loro impiccati –, non delle suffragette. Le suffragette hanno potuto rivendicare il diritto di voto perché godevano già di altri diritti, conquistati prevalentemente grazie ai sacrifici maschili, come il diritto alla vita, alla proprietà, alla incolumità fisica e alla sicurezza economica, a una giusta causa.