Uno dei temi più trattati su queste pagine, è noto, è il “femminicidio”. Fabio Nestola soprattutto si è preso l’ingrato incarico di verificare la sussistenza di un qualche requisito di logica nei vari conteggi più o meno ufficiali tenuti da questo o quel sito, ultimamente anche da blasonati quotidiani italiani. Il suo riscontro è sempre lo stesso: nella casistica vengono inseriti fatti che nulla hanno a che fare con la prevaricazione di genere, il senso del possesso, l’odio misogino, l’approccio patriarcale. Quelle centinaia di “femminicidi” elencati, a ben guardare, includono regolamenti di conti, criminalità comune, questioni economiche o psichiatriche e in genere soltanto una piccola parte di essi può rientrare nella fattispecie. Sì, ma quale fattispecie? Qui è il problema, a monte. Basta una ricerca superficiale su Google per scoprire che esiste una lunga lista di possibili definizioni di “femminicidio”, non di rado in contraddizione tra di loro e tutte più o meno in contraddizione con la logica. Il che è il motivo per cui il “femminicidio” ancora non appare (né probabilmente apparirà mai) nel Codice Penale. Ad oggi abbiamo contato undici definizioni consolidate di “femminicidio”, che è come dire che non c’è alcuna definizione disponibile, per lo meno sul piano ufficiale.
L’unica eccezione registrata ad oggi risale al 2018, quando la Polizia di Stato, nel suo report “Questo non è amore” (reso pubblico il 25 novembre), restrinse il campo a questo concetto (pag.11): «il femminicidio è l’uccisione di una donna da parte di un uomo perché donna, come atto estremo di prevaricazione, affermazione ultima di superiorità, aberrazione del possesso, non includendo, perciò, omicidi maturati in altri contesti e con altri moventi». Candidamente la Polizia ammetteva poi che «non esistono parametri univocamente riconosciuti che definiscano con precisione l’accezione in questione». In ogni caso si riteneva che l’espressione dovesse essere «limitata ai soli casi di commissione di un atto criminale estremo che caratterizza un modello di rapporto tra maschio e femmina declinato secondo i canoni di supremazia/sottomissione e ad ogni atto di violenza, che porti all’omicidio, perpetrato in danno della donna “in ragione proprio del suo genere”». In sostanza la Polizia, con un abile giro di parole, dice che il “femminicidio” non esiste. Nessuno uccide donne “in quanto donne”, altrimenti ci sarebbe una caccia aperta per le strade, altrimenti i mariti o ex mariti che a un certo punto (e solo a un certo punto) uccidono, sarebbero tanto dabbene di accorgersi solo dopo anni di matrimonio che la propria moglie o ex moglie è una donna, e in quanto tale va soppressa.
Nessuna definizione chiara di “femminicidio”.
La Polizia, in allora, intese dare un contentino alla narrazione mistificatoria montante, ma andò oltre il consentito. Stando al parametro così definito, i “femminicidi” strombazzati dal femminismo nel 2018, asseritamente 94 e anche di più, scendevano alla pur grave ma risibile cifra di 32. Soprattutto il report della Polizia così smascherava la bugia propagandistica montante. Non a caso le centrali di potere del femminismo intervennero pesantemente, facendo scomparire la definizione di “femminicidio” dai report successivi (2019 e 2020), che anzi vennero concepiti come uno veicolo di mistificazione spaventoso, tale da disonorare il corpo della Polizia di Stato. Ad ogni buon conto, sul piano ufficiale, cioè proveniente da un’agenzia autorevole dello Stato, quella della Polizia è l’unica definizione mai divulgata, ed è sulla base di essa, per quanto molto traballante, che noi, e Fabio Nestola in particolare, svolgiamo le nostre verifiche periodiche. Che ultimamente si concludono tutte con un grido d’aiuto. Sì perché la nostra ambizione è di poter svolgere delle analisi rigorose della realtà, pronti a ricrederci e a smentire alla radice tutto ciò che abbiamo sostenuto finora, a fronte di definizioni, dati e fatti chiari e incontrovertibili, senza zone grigie o ambiguità di vario genere. Stanti così le cose, non possiamo farlo, relativamente al “femminicidio”, ed ecco allora che ogni nostra analisi lancia un SOS alle istituzioni: aiutateci a capire. Aiutateci a mettere in crisi le nostre convinzioni.
Quel grido di aiuto ha un destinatario preciso: la “Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere”. Istituita con legge al Senato, è una commissione bicamerale permanente con lo scopo di indagare il fenomeno del “femminicidio” e della violenza di genere in Italia. Ultimamente ha ampliato il proprio campo d’azione anche alle prassi giudiziarie separative, ritenendo che siano il contesto dove le violenze e gli omicidi maturino più spesso, ma in ogni caso il suo nome e le leggi che la istituiscono le attribuiscono autorità e autorevolezza sufficiente per fornire all’opinione pubblica e agli analisti tutti gli elementi necessari per comprendere il fenomeno. Eppure né la commissione della legislatura precedente, né quella attuale ha mai dato una definizione chiara e netta di “femminicidio”, tanto meno, di conseguenza, ha pubblicato l’elenco dei casi che devono a tutti gli effetti essere classificati come “femminicidio”. Una mancanza grave: nessuno più di una commissione parlamentare d’inchiesta dedicata può colmare questo gap informativo. Ecco perché, di concerto con l’associazione LUI – Lega degli Uomini d’Italia, l’1 febbraio scorso abbiamo deciso di scrivere alla Commissione e alla sua presidente, Sen. Valeria Valente. Due raccomandate con ricevuta di ritorno, una presso la Presidenza del Senato, una presso Palazzo Giustiniani a Roma, dove la Commissione è solita riunirsi. Questo è il testo della lettera, inviata a nome di Francesco Toesca, Presidente dell’associazione LUI:
Torneremo a chiedere conto della richiesta.
Egregi membri della Commissione, l’Associazione che rappresento svolge, tra le altre cose, attività di studio e analisi dei fenomeni socio-culturali più diffusi nel paese. Uno degli oggetti dei nostri studi è il femminicidio, fenomeno su cui da anni è attiva una particolare attenzione politica, mediatica, sociale e culturale nel nostro Paese, tanto da aver fatto emergere la necessità di una Commissione Parlamentare l’Inchiesta.
Ciò che abbiamo rilevato, tuttavia, è una scarsa chiarezza sulla definizione della fattispecie, di cui non c’è traccia all’interno del Codice Penale, e che trova diverse interpretazioni, talvolta anche contraddittorie, nelle varie piazze di discussione, reali o virtuali, che trattano questo tipo di tematica. Si riscontra confusione anche dal lato istituzionale, laddove taluni autorevoli soggetti (Polizia di Stato, Carabinieri) adottano una definizione discrepante con quella di altri altrettanto istituzionali, ad esempio quella accettata dall’ISTAT, con ciò rendendo difficile, talvolta impossibile, una corretta lettura dei dati.
Riteniamo si tratti di ambiguità che non giovano allo sviluppo di analisi e di discussioni oggettive, oltre che alla ricerca di ogni strumento possibile per eliminare tale fenomeno dalla comunità del nostro Paese. Per questo abbiamo ritenuto opportuno rivolgerci a codesta Commissione che, per ruolo e titolo, è in assoluto la più autorevole per poter sgombrare il campo dalle incertezze. Con la presente sono dunque a chiedere di conoscere quale sia la definizione di “femminicidio” che codesta Commissione ritiene univocamente valida e che come tale ha assunto per l’elaborazione delle proprie indagini, analisi e discussioni.
Per correttezza e per scrupolo, abbiamo atteso che ci tornassero le cartoline di ritorno delle raccomandate. Dopo il loro arrivo abbiamo aspettato ancora più di un mese, sperando in un riscontro, che però non è arrivato. Dalla “Commissione Femminicidio” solo boati di silenzio. Ora però il tempo è scaduto ed è il caso di rendere pubblica questa richiesta, che non pare né onerosa, né fuori luogo, né indirizzata al soggetto incompetente a rispondere. Nei prossimi giorni scriveremo dunque a tutti i contatti disponibili presso la Presidenza del Senato per chiedere la ragione di questo ritardo nel dare un’informazione che, essendo il “femminicidio” un fenomeno presente da anni nella cronaca e nella realtà sociale, dovrebbe essere piuttosto semplice da fornire, magari congiuntamente all’elenco dei fatti ricadenti nella definizione. La Sen. Valente e il suo team della Commissione, nonché le istituzioni tutte, non vorranno mica che si pensi che quello del “femminicidio” sia tutto un teatrino mediatico e ideologico senza alcun fondamento, giusto? Non vorranno per caso che i malpensanti come noi possano trovare terreno fertile nella mancanza di chiarezza su un aspetto così allarmante della nostra società, vero? Torneremo dunque a chiedere conto della richiesta fatta dall’associazione LUI per altri canali e vi terremo aggiornati sulle risposte ricevute. Qualora riteneste utile supportarci e chiedere anche voi la doverosa chiarezza in merito, sarà un supporto quanto mai gradito.