«Esistono i veri uomini?», «Come sarà l’uomo del futuro?», con questi interrogativi si inaugurano le conferenze e i corsi del Dipartimento dei Femminismi e LGTBI (sì, hanno un dipartimento specifico) del municipio di Barcellona (Spagna), costituito da sole donne, o quasi. A capo, la sindaco Ada Colau. Bilancio annuale del Dipartimento, 1,3 milioni di euro. I corsi combattono «l’identità maschile tradizionale», «il significato ormai scaduto e rigido di essere uomo», «fomenta la trasformazione sociale della mascolinità egemonica» mediante lezioni di «apprendimento sull’amore». Gli uomini devono «imparare ad amare». «Esistono i veri uomini?», per il Dipartimento la risposta è negativa. l corsi, infatti, forniscono gli elementi per “costruire” «l’uomo del futuro», perché «i veri uomini» non esistono (né sono mai esistiti, altrimenti non sarebbe necessario creare l’uomo del futuro, basterebbe riprenderlo dal passato: dov’è finito l’eroe?). Cosa vuol dire essere un “vero” uomo? E una “vera” donna? Dibattito controverso e immemorabile. A mio avviso, l’importanza della domanda non risiede nell’eventuale risposta, ma nella sua formulazione, nel modo in cui è stata posta, che dice molto delle persone che la pongono – principalmente donne femministe. Così posta, la domanda è sommamente inquietante e vessatoriamente incredula. Il Dipartimento non si chiede “come sono i veri uomini?”, ciò che permetterebbe una descrizione e un elenco delle caratteristiche, ma se «esistono» i «veri» uomini, con tutte le implicazioni sarcastiche che i termini «esistono» e «veri» comportano nella formulazione della domanda. Domande del tipo “esistono i neri intelligenti?” o “esistono gli ebrei onesti?”, tendono soltanto a sbeffeggiare e a sminuire, e inducono a favorire una risposta negativa.
«Esistono i veri uomini?», la domanda emana una terrificante presunzione di superiorità; presunzione di queste donne femministe, che si autoproclamano giudici degli uomini, e li giudicano imperfetti e bisognosi di “modifiche” allo scopo di creare «l’uomo del futuro» a loro misura, senza che nel contempo sentano la necessità di porsi la stessa domanda specolare, convinte di essere, in quanto donne, ovviamente già «vere», il sesso perfetto (in termini di razza, la razza pura). Inoltre la domanda, così come è formulata, è derisoria, e denota un forte astio e ostilità contro l’universo maschile. La formulazione in modo interrogativo dubitativo maschera le intenzioni, che sono quelle di far sentire colpevole l’uomo per la sua presunta inadeguatezza. Invece di asserire in maniera diretta la propria fede ideologica, l’inadeguatezza della natura maschile – come prova l’esistenza dei corsi che vengono da loro stesse organizzati –, si preferisce porsi in maniera aperta, amichevole, con una domanda, in modo da nascondere il proprio sessismo e da introiettare subdolamente, nella psiche maschile, dubbi e colpe sulla sua natura. L’uomo è inutile, l’uomo è nocivo, l’uomo è inadeguato, e la colpa è sua.
Non è più una questione di utilità, ma di nocività.
In somma sintesi, negli interventi precedenti è stata constatata l’esistenza di un fenomeno progressivo, nel mondo occidentale, di distacco tra i due sessi, a tutti gli effetti un vero e proprio divorzio a livello collettivo. È stata accertata la volontà femminile, prevalente, nella sua esecuzione. L’origine di questa volontà deriverebbe da una trasformazione della percezione e della stima delle figure maschile e femminile nell’immaginario della donna: la Tecnica avrebbe reso l’uomo inutile e la donna autosufficiente. Si tratterebbe di una rivoluzione copernicana rispetto ai secoli precedenti, in linea di massima lungo la Storia le donne avrebbero sempre celebrato i meriti e le realizzazioni della figura maschile, assolutamente necessaria nel loro immaginario. Inoltre si tratterebbe di un abbaglio, una percezione sbagliata, nel mondo attuale a livello collettivo gli uomini continuano ad essere indispensabili e le donne non autosufficienti senza gli uomini. Le donne approfitterebbero, grazie al Welfare State, della collettivizzazione del lavoro maschile, che garantisce i beni primari, a beneficio di tutta l’umanità, comprese le donne. La sfera materiale, cara alle donne, sarebbe quindi garantita dai poteri pubblici, mentre gli uomini sarebbero abbandonati nell’ambito a loro deficitario, nella sfera affettivo-sessuale. Tra i numerosi fattori di rischio che intervengono nel favorire condizioni come depressione, abuso di sostanze e suicidio negli uomini, «il più importante di tutti sembra tuttavia essere la solitudine e l’alienazione dalla società». «I padri, dopo la separazione e il divorzio, possono sperimentare un drammatico calo del supporto sociale: proprio quando ne avrebbero più bisogno. […] una recente meta-analisi identifica proprio nella separazione dai figli la causa primaria di suicidio». «La ricerca degli ultimi anni ha confermato i rischi per la salute mentale per gli uomini che rimangono soli a causa di separazione, divorzio, vedovanza o perché non si sono legati in coppia», diminuisce in loro «l’attività del sistema immunitario» e aumenta le «probabilità di morire». Non solo il Welfare State non si curerebbe affatto della sfera affettivo-sessuale maschile ma, così come è impostato oggi, sarebbe una concausa del problema. I costi sociali del divorzio collettivo in atto ricadono principalmente sugli uomini, realtà verificabile e visibile.
Le conclusioni appena accennate, se fondate, metterebbero però in crisi la percezione che abbiamo della natura femminile, che si presume empatica, amorevole e profonda. Verrebbe svelata una natura molto più prosaica, in realtà “spregevole, profondamente irriconoscente, gretta, ingrata, meschina, ignobile, fatua”, guidata per tutta la Storia dalla mera utilità, parassita sull’altra metà della Terra e incurante delle sue sofferenze. Appare evidente che delle conclusioni simili sono inaccettabili, non solo per gli uomini, ma soprattutto per le donne. Se c’è un divorzio, la motivazione che muove la natura femminile non può essere così gretta – la mera utilità. L’ideologia femminista è intervenuta per fornire l’alibi: nessuna gratitudine è dovuta agli uomini, al contrario. La femminista Germaine Greer ha affermato: «le donne sono sempre state capaci di sopravvivere senza uomini». «In nessun momento della preistoria le donne, con o senza figli, fecero affidamento sugli uomini per nutrirsi. […] in ogni società di cacciatori/raccoglitori, i maschi svolgevano e svolgono solo un quinto del lavoro necessario alla sopravvivenza del gruppo, mentre gli altri quattro quinti sono interamente in mano alle donne» (tratto dal libro Storia femminile del mondo, altre citazioni dello stesso tenore delle due previe possono essere ritrovate nell’opera La grande menzogna del femminismo, pp. 1148-1149). Secondo la narrazione storica femminista le donne sono sempre state autosufficienti, oltre che sfruttate e schiave. Sembra un buon motivo per il divorzio. Infatti, non è più una questione di utilità, che secondo la nuova narrazione storica non lo è mai stata, ma di nocività. L’uomo è un essere nocivo, violento, oppressore, superficiale, e tanti altri epiteti che evitiamo di elencare.
Un motivo indicibile.
«Esistono i veri uomini?». Né veri né falsi, l’uomo non è cambiato, l’uomo è quello che è. Quello che esiste è una mutazione rivoluzionaria della concezione femminile dell’uomo (e delle stesse donne), prodotta dall’ideologia femminista, che non avviene allo scopo di rendere l’uomo né migliore né più felice. Quello che esiste è una sistematica campagna di denigrazione e colpevolizzazione dell’uomo, nel tentativo di individuare un capro espiatorio su cui inveire. Si grida all’offesa per stornare l’attenzione dalle proprie carenze, dalla propria fisiologia e dalla propria responsabilità per le scelte prese. La responsabilità della donna viene in tal modo mascherata, e l’uomo accusato di ogni condotta scorretta del presente e del passato, unico e vero attore della tragedia. A livello collettivo, in linea di massima, le donne stanno mettendo in atto lo stesso comportamento di molte donne che si separano e che, nel tentativo di nascondere i propri comportamenti gravissimi presenti e/o passati (tradimenti sessuali, abbandono della dimora coniugale, sottrazione dei figli, false denunce, sottrazione del patrimonio dell’ex…), costruiscono la figura dell’orco e si autoproclamano vittime (ciò che giustifica a priori, anche per la loro coscienza, qualsiasi azione abbiano messo o mettano in atto, anche gravissime). Una situazione che si autoalimenta e si autorinforza. Per restare credibile, l’oltraggio imputato deve essere sempre più spaventoso e soprattutto non curabile né rimediabile; e le sofferenze devono essere dichiarate sempre più orribili e dolorose. È vero che ho scelto di divorziare, ma la colpa è tua!
Ogni donna è angelo e puttana. Ogni uomo è eroe e assassino. Sta a noi decidere e capire come certe ideologie ci condizionano e ci impongono certe visioni del mondo. Il femminismo ha reso per le donne gli uomini pericolosi assassini, invece di affidabili compagni, e ha fornito così alle donne l’alibi per l’allontanamento volontario dagli uomini e per tutti i loro comportamenti biasimevoli che mettono in atto, dalla terrificante mancanza di empatia che di solito mostrano per le sofferenze maschili alla loro neanche tanto velata avidità per le realizzazioni maschili. Una donna che si pone la domanda «esistono i veri uomini?», ha un grosso problema di sessismo in testa, e di sicuro non è in grado di impartire alcun corso di «nuove mascolinità». Ma in che mondo vive questa donna, in quale società? Basta che apra gli occhi. Questa domanda serve soltanto, a questa donna, ad autogiustificare il suo distacco e la sua ostilità verso l’universo maschile. Non esiste la caduta dell’uomo occidentale, esiste, quello sì, la sua continua derisione, la sua denigrazione. La Tecnica ha agevolato la vita di tutti, uomini e donne, ma l’uomo non è cambiato, è la visione femminile dell’uomo che è cambiata. E con questo cambiamento sta avvenendo un processo inarrestabile di distacco affettivo tra i due sessi: un divorzio. Il motivo di questo divozio… si tratta di un motivo indicibile.