«L’umiliante sconfitta della squadra di calcio femminile Athletic de Bilbao contro una squadra di allievi maschile ha messo di nuovo in discussione il livello del calcio femminile». «Umiliante sconfitta della nazionale femminile di calcio americana, e recente campionessa del mondo, per 5-2 contro la squadra di allievi maschile under 15 dell’accademia di Dallas». «La nazionale femminile di calcio australiana ha perso 7-0 contro una squadra di calcio maschile under 15». Lucia Rijker, pugile e kickboxer nota nel mondo del pugilato e dalla stampa come “l’olandese distruttrice”, o anche “The most dangerous woman in the world” a febbraio del 2007, risultava imbattuta, con un record di 17 match vinti (di cui 14 per K.O), 0 pareggi e 0 sconfitte, mentre il suo record di Kickboxing è di 37-0 (di cui 25 per K.O). Aveva vinto 5 titoli e l’unica sconfitta subita era stata in un match di esibizione di Muay Thai contro un uomo, venendo sconfitta per K.O al 2º round. La stella imbattuta della MMA, Rachael Ostovich, conosciuta come “Wonder Woman”, è stata picchiata a sangue da suo marito, ha dovuto scappare e ha subito diverse lesioni. Laia Sanz, vincitrice femminile di moto della Dakar nelle ultime dieci edizioni, ha affermato: «Una donna non può vincere la Dakar, non è maschilismo ma realismo». Durante l’Australian Open del 1998, Serena e Venus Williams (all’epoca rispettivamente diciottenne e diciannovenne) ebbero l’ardire, dopo aver visto dei tennisti uomini allenarsi, di sostenere con orgoglio che sarebbero state in grado di battere facilmente un loro collega uomo piazzato intorno alla posizione numero 200 del mondo. Karsten Braasch, un oscuro giocatore tedesco, raccolse la sfida delle sorelle Williams e le sconfisse bevendo birra e fumando sigarette.
Penso che questi esempi possano bastare, altre notizie simili possono essere elencate. Le prestazioni delle migliore sportive sono superate senza grosse difficoltà dagli uomini, talvolta persino da ragazzini. Quando ero ragazzo, per anni ho giocato in una squadra di pallamano. Alla mia squadra under 15 qualche volta è capitato di allenarsi in scontri amichevoli con squadre femminili senior. E vincevamo! Nell’attualità, il femminismo stesso, attraverso l’ideologia di genere, ha offerto un altro modo di constatare questa realtà. Sportivi che, nello sport praticato, non hanno mai ottenuto prestazioni di rilievo, una volta “cambiato” sesso, diventate donne, sono stati ( o state?) in grado di realizzare performance eccellenti, e questo è successo ormai in pressoché ogni sport: calcio, pallavolo, sollevamento pesi, ciclismo… L’aspetto più curioso di questi successi sportivi è che avvengono sempre in un unico senso, nelle transizioni da maschi a femmine, mai al contrario. Secondo la logica dell’ideologia di genere, che sostiene che uomini e donne sono identici, una volta forniti gli ormoni necessari per aumentare il livello di testosterone, le donne trans dovrebbero competere con il resto degli uomini con lo stesso successo con il quale lo fanno i loro colleghi trans nell’universo sportivo femminile. Comunque, al di là del mondo trans, basta osservare i risultati minimi richiesti in ogni prova di atletica per poter partecipare alle Olimpiadi di Tokyo per uomini e donne per capire il divario di prestazione tra i sessi. Il record femminile del mondo non raggiunge in nessuna prova (!) il risultato minimo maschile, persino la migliore delle atlete nella sua migliore prestazione in vita in qualsiasi prova non può competere.
Lo sport come simulazione della vita.
Può svolgere una donna le stesse attività fisiche che fa un uomo? Naturalmente, e anche un bambino di 12 anni, ma lo faranno in maniera meno efficiente. La domanda non è dunque cosa si realizza, ma come la si realizza. Immaginiamo per ipotesi che bisogna percorrere 100 km con uno zaino di 10 kg nel minor tempo possibile. Tutti probabilmente riescono a percorrere i 100 km, soltanto che per l’uomo ci vogliono forse 2 giorni, per la donna 3 e per il bambino di 12 anni 6 giorni. Le asimmetriche capacità determinano l’efficienza e fanno la differenza quando si tratta di produrre e/o di sopravvivere, differenze che aiutano a cacciare la preda, a fuggire da un pericolo, a costruire per giorni un rifugio, a coltivare e a raccogliere in campagna, ogni giorno, quei chilogrammi in più che l’aiutano a trascorrere l’inverno e ad avere dei semi da coltivare l’anno successivo. In una corsa, la scelta di un predatore che insegue un uomo e una donna dovrebbe essere piuttosto ovvia, in base ad esempio a questo video della corsa a staffetta mista, dove la squadra della Nigeria inverte l’ordine e fa correre nel terzo giro un uomo e nell’ultimo una donna. Il confronto è piuttosto imbarazzante. Sarebbe un video da mostrare a tutti gli incontri femministi, per non far perdere a queste donne il contatto con la realtà. Nel terzo giro il corridore nigeriano riesce a superare tutte le concorrenti e guadagna un vantaggio enorme. Nel quarto e ultimo giro l’atleta nigeriana, malgrado l’enorme vantaggio, è superata da tutti e arriva l’ultima. Si tratta di corridori di élite. Tra uomini e donne non sportivi lo scarto di prestazione tende a essere maggiore.
Il gioco, nei bambini, è una simulazione della vita adulta fondamentale nello sviluppo, dove le femmine prediligono il gioco sociale (di ruoli, dialoghi…), i maschi quello acrobatico o esplorativo. Lo sport, il gioco fisico, oggi serve principalmente a socializzare e a canalizzare il surplus di aggressività necessaria una volta alla sopravvivenza. Fino a non molto tempo fa rappresentava invece il collaudo, la messa a punto dell’uomo, che metteva in atto, in prove create artificialmente, le abilità che gli servivano alla sopravvivenza. A questo scopo venivano lasciati i giovani spartani da soli per giorni nelle foreste e nelle montagne (una specie di rivisitazione del noto film Hunger Games), si organizzavano tornei nel medioevo, o di lotta, o di tiro con l’arco, ecc. Lo sport era il cartellino che veniva timbrato per rendersi consapevole e rendere noto agli altri delle proprie capacità e abilità per sopravvivere. E non era solo una questione della struttura fisica, aspetto fondamentale ma non unico. Lo sportivo vanta una serie di caratteristiche (visione, intelligenza, prudenza, costanza, orientamento, velocità dei riflessi, coordinazione…) che solo se combinate bene tra di loro, lo rendono vincitore e gli permettono di realizzare le prestazioni eccellenti. C’è una forte correlazione nell’uomo tra lo sviluppo fisico corporale e lo sviluppo intellettuale, lo sport migliora le prestazioni intellettuali e le capacità cognitive dei giovani.
La macchina perfetta che è l’uomo serve ancora?
La forza fisica dunque da sola non basta, anche l’uomo più forte al mondo ha bisogno di accompagnare la sua forza da altre caratteristiche. Infatti, anche un uomo su una sedia a rotelle, anche se molto intelligente, deve vantare altre abilità per rendersi autonomo. L’analisi femminista che stabilisce che il mondo è stato dominato dall’uomo grazie alla sola forza fisica maschile è sbagliata. Ammesso e non concesso che sia esistito tale “dominio”, le realizzazioni dell’uomo sono dovute a tutte le sue abilità combinate in maniera ottimale, tra le quali è compresa la forza fisica. Tornando allo sport, ad esempio, nel calcio Lionel Messi, considerato da molti il miglior giocatore del mondo di tutti i tempi, non sovrasta per le sue prestanze fisiche rispetto a tanti altri giocatori. Più evidente ancora il caso di Emilio Butragueño, ritenuto il miglior calciatore spagnolo negli anni ’80, un giocatore molto intelligente con un fisico tutt’altro che robusto e possente. Non basta la forza fisica.
La combinazione di una serie di elementi, oltre alla struttura fisica (fondamentale), è ciò che rende l’uomo un uomo: una macchina perfetta nel gioco sportivo e nella vita produttiva e di sopravvivenza. A livello individuale l’uomo è avvantaggiato, è la macchina perfetta per costruire, produrre e sopravvivere. La combinazione delle sue diverse abilità si traducono in una maggiore produttività ed efficienza allo scopo di sopravvivere, efficienza che viene messa in evidenza inoppugnabilmente nello sport, simulazione delle eventualità che possono capitare in vita. Ma l’essere umano raramente vive isolato, e oggi questa affermazione è più vera che mai. Senza il sostegno della comunità sociale, la sopravvivenza è compromessa, e se questo è vero per l’uomo lo è ancora di più per la donna. L’uomo è sempre stato un animale sociale, come sosteneva Aristotele, e il motivo principale risiede nel fatto che il gruppo aiuta a sopravvivere. Le caratteristiche maschili che avvantaggiano l’uomo a livello individuale oggi sembrano aver perso gran parte della loro importanza e del loro peso. O forse molte di queste abilità e produttività maschili, messi per secoli al servizio di una cerchia molto ridotta di individui, sono oggi al servizio di una collettività anonima. A livello collettivo, l’universo maschile è oggi il motore della società, come lo è stato per secoli l’uomo per se stesso e per la propria famiglia? (Segue domenica prossima).