«La natura insegna: le femmine sono più forti, autosufficienti e spesso addirittura dominatrici. Così è in molte specie animali e così, sempre di più, sarà nell’evoluzione futura. Avviene nel mondo animale, ma il processo è avviato anche tra gli uomini, già oggi in crisi d’identità, fragili e bloccati dalla loro incapacità a uscire dallo stereotipo obsoleto del “maschio tutto testosterone”». Parole di Telmo Pievani, cattedratico di Filosofia all’Università di Padova, coautore del libro Il maschio è inutile – il titolo non si presta a equivoci. Oggi questa è una “verità” proclamata pressoché ovunque: le donne sono autosufficienti, capaci tanto quanto gli uomini. I governi occidentali (Spagna) lanciano campagne intitolate “I mestieri non hanno sesso”, e i manuali guida di scuola materna proclamano: «Dobbiamo cercare di far capire loro sin da bambini che non esistono mestieri per ragazze e ragazzi […]. Bambini e bambine devono essere consapevoli che possono esercitare qualsiasi tipo di lavoro» (Educando en igualdad, p. 22). Infatti ai bambini di scuola elementare viene insegnato: «Capitolo 18. Lavori. La prima cosa che devi sapere è che non ci sono lavori più appropriati per ragazze e ragazzi» (Educando en igualdad, Guida scuola primaria, p. 26). La storica femminista Germaine Greer, in L’eunuco femmina, afferma «le donne sono in grado di svolgere qualsiasi attività». Come vedete si tratta di un dogma che è parte integrante della dottrina femminista storica e ribalta la percezione storica che l’umanità aveva avuto fino allora. Nelle società utopiche – di Platone, di Tommaso Campanella, di Charles Fourier o di Tommaso Moro – la parità tra l’uomo e la donna prevale ovunque tranne che al lavoro. Scrive Platone: «Perciò le donne dei guardiani devono spogliarsi, se davvero si vestiranno della virtù anziché degli abiti, e prendere parte alla guerra e agli altri compiti attinenti alla difesa della città, senza occuparsi di altro; ma per la debolezza del loro sesso i compiti più leggeri debbono essere assegnati alle donne piuttosto che agli uomini» (Repubblica, Libro quinto, 457 a-b).
Le donne non sarebbero solo autosufficienti, sarebbero persino “di più”: «le femmine sono più forti». Maria Elena Boschi, ministro delle Riforme durante il governo Renzi: «Noi donne – ha affermato acclamata dalle ragazze presenti – non solo facciamo le stesse cose degli uomini, ma le realizziamo sul tacco 12». Più forti, più brave, più efficienti. Una convinzione che dilaga tra le donne, infatti questo è oggi l’attuale mainstream. Ed è qui, su questo punto, il nocciolo della questione, il fulcro di tutta la diatriba dell’ideologia femminista. Come è già stato riferito, su questo punto la dottrina femminista non ha alcun dubbio: le donne sono sempre state autosufficienti, ieri e oggi, nella Storia e nell’attualità. Persino più capaci degli uomini. «Nei campi, secondo il calendario agricolo, la divisione dei compiti era reciproca e non esisteva il concetto del maschio come unico o principale produttore di reddito che manteneva moglie e figli: tutti erano produttivi, anzi la moglie lo era il doppio» (nel libro Storia femminile del mondo, a pag. 282). Asserzioni di questo tenore non sono rare nei libri di genere storici, le donne lavoravano di più, la costruzione del mondo si reggeva sulle donne.
Anche la biologia femminile è colpa del patriarcato.
Si tratta di una questione fondamentale: la donna è autosufficiente, tanto quanto un uomo? Senza una risposta positiva la dottrina femminista non avrebbe alcun senso. Se le donne non fossero autosufficienti, vorrebbe dire che sono dipendenti. Se sono dipendenti, come i bambini, vuol dire che sono beneficiarie di un sistema (il cosiddetto patriarcato) che aiuta e aiutava loro a sopravvivere. Un sistema che lavora, al contrario di quanto ipotizzato dalla loro dottrina, a loro vantaggio. Non importa se si tratta di un sistema voluto o imposto, o se alla sua “costruzione” abbiano partecipato parimenti uomini e donne, argomenti molto interessanti che non influiscono sulla logica constatazione che chi è soggetto a qualcun altro, per sopravvivere deve servirsi di questo qualcun altro. Logica vuole che, se qualcuno è dipendente, faccia di tutto per servirsi di chi gli può garantire la sopravvivenza, mediante la “costruzione” di un mondo normativo e di valori (come il cosiddetto patriarcato) che condizionino a suo vantaggio chi è autonomo. L’analisi femminista non la pensa affatto in questo modo. Nei libri storici femministi, l’epiteto che accompagna al termine “donna” non è mai quello di “dipendente” (assolutamente censurato) ma quello di “schiava”. La donna era schiava, dunque non riusciva a dimostrare la propria autosufficienza perché le veniva impedita dall’uomo.
Non è raro sentire che, se le donne non fossero state oppresse dagli uomini, avrebbero costruito un mondo diverso, un mondo migliore; tanto è vero che in futuro saranno le donne a “salvare” (un altro termine che ricorre oggigiorno spesso nei media) il mondo. Nel libro La grande menzogna del femminismo, a pag. 1113, si legge: “Finché si tratta di ammettere che ci fu uno scambio di sesso-alimenti, la narrazione femminista non si discosta da quello che era il pensiero fino allora maggiormente condiviso. Il distacco avviene quando il femminismo ipotizza che le donne sarebbero state costrette a farlo perché gli uomini avrebbero impedito loro di sopravvivere da sole, cosa che avrebbero potuto fare benissimo senza necessità di “vendersi”. Secondo questa nuova visione, le donne si sarebbero augurate di poter correre dietro i Mammut e affrontare i predatori, di poter navigare in mari sconosciuti e sfidare le tempeste, di poter bagnarsi nel sangue dei combattimenti e subire le avversità delle intemperie, i geloni e le ustioni, le lesioni e le mutilazioni. «La debolezza muscolare delle donne sarebbe stato il risultato di secoli e secoli di prigionia» (Victoria Sau)»”. E chi dice «debolezza muscolare», come la femminista Victoria Sau, dice mestruazioni, gravidanze, parti… Può avere dell’incredibile, ma ognuno degli elementi biologici femminili appena elencati sono riusciti ad essere addebitati da qualche femminista all’oppressione patriarcale.
Un umiliante testicolo ambulante.
«Quando una donna si trova sola e priva di consiglio, è proprio come un sacchetto di denari o un gioiello lasciati cadere per strada, alla mercé del primo che arriva», sostiene Moll Flanders, nell’omonimo romanzo di Daniel Defoe del 1722. Non credo sia necessario riportare ulteriori citazioni storiche su un assunto che è stato per secoli di dominio pubblico: le donne erano più deboli, dovevano essere aiutate e sostenute, da sole non ce la facevano. Ho già accennato in un intervento precedente allo straordinario esperimento antropologico dell’Unione Sovietica, realizzato su grande scala e per oltre un decennio, dopo la rivoluzione d’ottobre. L’introduzione del divorzio e lo smantellamento delle protezioni tradizionali delle donne, che mise uomini e donne sullo stesso piano di parità perfetta, produsse un forte deterioramento della condizione femminile – ciò che non avvenne per gli uomini. In poco meno di due decenni le autorità dovettero ripristinare molto di quanto avevano abolito. Potrei riportare facilmente altri esempi e citazioni storiche sull’incapacità delle donne, verità nota e incontrovertibile. Ma non è necessario perché questa verità non è contestata dal femminismo: lungo la Storia le donne non sono mai state autosufficienti, sono sempre state in difficoltà, ammesso, concesso e denunciato dalla narrazione femminista. È la causa che si trova in discussione. Secondo la dottrina femminista le donne non erano autosufficienti per motivi socioculturali, soggette all’oppressione degli uomini (patriarcato). Io invece penso che il motivo principale risieda nella biologia.
E oggi? Sono oggi le donne autosufficienti, tanto quanto gli uomini? Una delle grandi denunce della narrazione storica femminista è l’incapacità avuta dalle donne ad allontanarsi da un matrimonio non voluto; in teoria non riuscivano a mantenersi da sole, per colpa dei numerosi divieti e impedimenti sociali patriarcali. Infatti, nessuno decide di separarsi e d’abbandonare un matrimonio (tranne se soggetti a violenze estreme) se non è convinto di poter mantenersi e di poter sopravvivere senza il partner. Molte donne, anzi la maggioranza, secondo la narrazione femminista, rimanevano appiccicati ai loro mariti per necessità. Oggi la situazione è completamente capovolta, le donne divorziano e lo fanno in grandi numeri, dimostrazione della causa socioculturale previamente denunciata. Si tratta di donne pienamente emancipate, o sono solo in realtà delle mantenute (dall’ex e/o dalla società)? A livello collettivo, al contrario di quanto avvenuto lungo tutta la Storia, oggi le donne sono pienamente autosufficienti, e di conseguenza gli uomini sono diventati per loro inutili? Autosufficienza femminile e inutilità maschile per le donne sono due facce della stessa medaglia. Qualsiasi sia la risposta (nel prossimo intervento) una cosa è certa: per l’uomo l’autosufficienza non è una scelta, è, ed è sempre stato, un obbligo. «Motivo di sdegno, di rimprovero e di grande disprezzo è una donna che mantiene il proprio marito» (Bibbia, Sir 25, 21). Ho iniziato con le parole di Telmo Pievani, vorrei finire con le sue parole: «In certi pesci di profondità, come la rana pescatrice, le femmine sono gigantesche e si portano appresso, attaccati alla pelle, minuscoli maschietti parassiti, il cui unico compito è fornire di tanto in tanto una dose di spermatozoi alla femmina. Il maschio nano parassita perde addirittura le sue funzioni vitali e riceve il nutrimento dalla femmina: una sorta di testicolo ambulante; davvero umiliante!». Penso non sia necessario fare un elenco delle numerose specie di animali dove il maschio fornisce nutrimento alla femmina, un comportamento molto comune anche tra gli esseri umani. Alcuni l’hanno definito simbiosi, cooperazione, complementarità, alcuni addirittura amore. Altri, se fatto dalla femmina a favore del maschio, «di sdegno e di grande disprezzo», «davvero umiliante!». (segue domenica prossima).