Incubo finito per Kevin Spacey, oggi 64enne: la giuria di Southwark Crown, Londra, chiamata a giudicare in merito a nove accuse di crimini sessuali avanzate da quattro persone diverse, lo ha dichiarato non colpevole. Il turno di Spacey – due volte premio Oscar, vincitore di un Golden Globe, un Bafta e molti altri premi, ed entrato nel 1999 nella Hollywood Walk of Fame – di sperimentare l’inferno del #metoo è scattato nell’ottobre 2017, quando l’attore Anthony Rapp lo accusò, tramite BuzzFeed, di una presunta violenza commessa addirittura trent’anni prima, nel 1986. Accusare personaggi ricchi e famosi di atti commessi anni e anche decenni prima, accusandoli in prima battuta tramite il “tribunale dei social” e delle testate scandalistiche anziché con una denuncia formale, è una strategia tipica in ambito #metoo, come si è visto in molti altri casi, tra cui quello delle accuse al rocker Marilyn Manson di cui ci siamo occupati in precedenza. A seguito delle accuse di Rapp, noto principalmente per la sua partecipazione al cast della serie televisiva Star Trek: Discovery, una decina di altre persone si attaccò al carro del #metoo, portando accuse simili contro Spacey, ma furono tutte archiviate. Come quella di un uomo di Nantucket che aveva accusato l’attore di palpeggiamenti inappropriati quando, diciottenne, lavorava come cameriere in un locale. Alla richiesta del tribunale di produrre lo scambio di messaggi intercorsi al tempo, si era poi appellato al Quinto Emendamento, sostenendo che fossero stati cancellati da un cellulare misteriosamente scomparso.
L’accusa di Rapp, a differenza di queste ultime, arrivò a processo, con una richiesta di risarcimento di 40 milioni di dollari per danni morali. I fatti contestati: nel 1986, quando Rapp era appena 14enne, sarebbe stato invitato da Spacey, al tempo 26enne, a un party a casa sua. I due si conoscevano in quanto entrambi giovani attori di Broadway. Poiché non conosceva nessuno, Rapp afferma di essersi ritirato da solo in una stanza da letto per guardare la tv; Spacey lo avrebbe raggiunto, afferrato da dietro, e spinto sul letto, cercando di avere un rapporto sessuale, causando la fuga di Rapp dall’appartamento. Spacey si difese dall’accusa pubblica con un tweet in cui affermava di non ricordare il party in questione: «Sono oltremodo angosciato dal sentire questa storia», scrisse, «sinceramente non ricordo questo incontro, si parla di trent’anni fa. Ma se mi dovessi essere realmente comportato in questo modo, gli dovrei le mie più sincere scuse per quello che potrei solo definire il comportamento inappropriato di una persona sotto l’effetto dell’alcool; e sono mortificato per il dolore che dice di essersi portato dentro per tutto questo tempo».
Una difesa a testa alta.
L’evento costrinse di fatto l’attore a fare coming out sulla sua omosessualità; la pioggia di accuse che seguì gli fece perdere il ruolo del politico Francis Underwood nell’acclamata serie Netflix House of Cards nonché quello del magnate del petrolio J. Paul Getty nel film All the money in the world di Ridley Scott. Durante il processo, però, Spacey negò recisamente ogni accusa. Come uno dei suoi avvocati, Jennifer Keller, spiegò durante l’arringa finale: «Questo non è uno sport di squadra, dove o sei della squadra del MeToo, o sei della squadra avversaria. Questo è un luogo dove si richiedono evidenze, prove a supporto oggettivo delle accuse portate avanti di fronte a una giuria imparziale. Per quanto polarizzata possa essere la società su questa tematica al giorno d’oggi, ciò non dovrebbe avere alcun peso qui dentro». Keller poi richiamò l’attenzione della giuria su una scena dello show di Broadway Precious sons, dove Rapp recitava con Ed Harris in quei giorni dell’86, scena praticamente identica a quella descritta nelle presunte accuse. «Siamo qui perché Mr. Rapp ha falsamente testimoniato un abuso mai avvenuto, in un party che non c’è mai stato, in una stanza che non è mai esistita». La giuria del tribunale di New York chiamato a esprimersi sul caso, composta di sei uomini e sei donne, giudicò Spacey non colpevole, il 20 ottobre del 2022, respingendo le affermazioni di Rapp come “non attendibili”.
Ma si trattava di una “vittoria di Pirro”, come disse commentando il fatto l’analista legale della CNN Joey Jackson. Per quanto la sentenza dimostrasse che anche nel pieno impazzare del movimento MeToo, una giuria poteva valutare oggettivamente sulla base delle evidenze emerse nel processo, «Spacey ha ancora una strada in salita davanti a sé, in quanto dovrà affrontare altre accuse, più pesanti, nel Regno Unito». Si tratta delle nove accuse di crimini sessuali (sette di violenza sessuale, due di “pressione a partecipare ad attività sessuali senza consenso”) a suo carico emerse nel corso del 2019, investigate dalla polizia britannica. Le accuse, la cui pena può arrivare all’ergastolo, stavolta riguardavano presunti atti commessi tra il 2005 e il 2013, durante l’attività prestata da Spacey come direttore artistico dell’Old Vic Theatre di Londra, incarico durato dal 2004 al 2015. Come nel caso precedente, l’attore si è dichiarato da subito non colpevole, definendo le accuse ricevute «una coltellata nella schiena» e «una follia»; e pur trovandosi fuori dal Regno Unito nel momento in cui le accuse furono formalizzate, ha deciso di tornarvi spontaneamente, per affrontare il processo e difendersi a testa alta.
Chi paga per le false accuse?
Così è stato. Durante il processo il pubblico ministero Christine Agnew aveva definito Spacey un «bullo sessuale, un uomo che non rispetta i confini e gli spazi personali, un uomo che trae godimento dal far sentire le sue vittime impotenti e a disagio». Ma, dopo 12 ore e 26 minuti di deliberazione nel corso di tre giorni, la giuria lo scorso 26 luglio – incidentalmente, 64° compleanno dell’attore – ha stabilito l’innocenza di Spacey, prosciogliendolo da ogni accusa. Nell’udire le parole della sentenza, Spacey è scoppiato in lacrime di commozione. Così ha poi commentato: «Come potrete immaginare, dopo tutto quello che è successo avrò molto da metabolizzare. Voglio dire ai giurati che sono estremamente grato verso di loro per aver esaminato attentamente i fatti e le evidenze disponibili, prima di prendere questa decisione. Voglio anche ringraziare lo staff del tribunale, la security, e il mio team di legali, per essersi presi cura di me, per esserci stati ogni singolo giorno».
Possiamo solo vagamente immaginare la gioia di quest’uomo la cui innocenza è stata definitivamente sancita dalla corte di Southwark Crown. Spacey può sperare di riprendere con la sua carriera, se lo desidera, a partire dal ruolo – solo vocale – nel film thriller britannico indipendente Control, la cui lavorazione è stata sospesa nell’attesa del verdetto della giuria londinese. Ma, come alcuni commentatori avvertono, «questa sentenza è una grande vittoria per Spacey, ma bisognerà vedere se riuscirà a persuadere anche il “tribunale” dell’opinione pubblica», ai cui occhi la reputazione dell’attore, così come quella di ogni persona che subisce false accuse di crimini sessuali, resterà probabilmente sporcata per sempre: e solo raramente i responsabili pagano per questo tipo di offesa.