di Roberta G. “Un cazzo ebreo”. Questo è letteralmente il titolo dell’ultima fatica letteraria di Katharina Volckmer. Eccola qui, l’ennesima paladina del femminismo modello Karola, che il mainstream non perde occasione per pubblicizzare ed esaltare tutte le volte che può. La nuova eroina/scrittrice del nostro occidente in piena decadenza è tutta anticonformismo (si fa per dire: oramai sono fatte con lo stampino, sono uno stereotipo vivente, una uguale all’altra nel modo di vestire, parlare, pensare) e femminismo. Il suo profilo Twitter è pieno zeppo di femminicidi, di mostri bianchi etero che minacciano l’incolumità delle giovani donzelle, quelle che proprio non capiscono come sia possibile accettare qualche conseguenza se ad esempio ci si ubriaca alle feste di notte e poi ci si aggira per delle strade buie. Ma ci sono anche le uova di lucertola delle Galapagos che hanno perso il diritto alla vita, salvo manifestare un momento dopo a favore dell’ideologia pro-choice che chiede di poter abortire esseri umani fino al 9° mese di gestazione. Dettagli insignificanti per una che sogna un mondo di donne liberate (non si sa ancora bene da chi/cosa), che siano il meno femminili possibile e che preferibilmente riescano ad abbattere il nemico una volta per tutte (il maschio bianco).
Il libro di questa ennesima svitata è incentrato su un sogno, che viene raccontato al suo psicanalista ebreo: nel sogno, la scrittrice (che è tedesca, ma vive a Londra) è contemporaneamente Hitler e colei che vive un’avventura sessuale con il dittatore, ed è su quell’avventura che si articola il racconto. Inutile soffermarsi sul tipo di ideologia che c’è dietro il racconto, basta guardarla in faccia per capire. Però è interessante capire da cosa sia spinta quest’anima in pena, da quale tipo di inquietudine e vicenda personale. Da quello che ho potuto capire cercando un po’ di materiale in rete, questa giovane donna è l’ennesima vittima di un’ideologia malata che sta fregando intere generazioni di donne. Su di lei si legge, ad esempio: «Soffre per il fatto di essere tedesca e per il senso di colpa che ne deriva, ma affronta anche le battaglie necessarie per vivere in una città come Londra in questa epoca particolare. Lotta per essere felice e riconciliarsi con il suo retaggio culturale, ma anche con il proprio corpo, nel quale non vuole più continuare a vivere».
È sbagliato tutto ciò che ci viene dato dalla natura.
Ovviamente, non è certamente questa la sede per discutere di Olocausto o di episodi storici. Ovviamente, l’autrice, essendo schierata dalla parte “giusta” e politicamente corretta, quella femminista/arcobalenosa/woke, può permettersi di accostare perfino la Shoah a delle squallide avventure di letto, perché sa benissimo che nessuno oserebbe contestarle nulla. Tuttavia mi premeva riflettere su questo ennesimo simbolo della società odierna, con la solita inquietudine, la solita amarezza, la solita lotta alla femminilità (questa donna non vuole essere femminile e fa di tutto per farlo sapere al mondo, sia mediante quello che scrive/pensa, sia mediante il suo modo di conciarsi) e a tutto ciò che caratterizza la nostra natura. La Volckmer incarna il senso di vuoto e solitudine che permeano le giovani generazioni odierne. Ma tutte le battaglie e le lotte “per essere felice”, tutta la sua vita difficile, tormentata, fatta di questioni irrisolte (per carità, quelle ce le abbiamo tutti, ma per lo meno non diamo la colpa a cause assurde, come l’essere nati bianchi o l’oppressione patriarcale o la condizione di svantaggio della donna occidentale, che tutto può essere fuorché svantaggiata o oppressa…) e farcita dal senso di colpa, alla fine da cosa derivano?
Lo si legge qui: «a vincere è quella voce che la Volckmer ha inventato e che ci porta a spasso tra fantasie senz’altro estreme ma anche catartiche, che danno modo alla protagonista di rievocare oltre a Hitler, anche il proprio padre, assente ingiustificato, e la propria madre, inquietante dittatrice in questa vicenda». Alla base insomma c’è sempre il solito problema: la famiglia di origine (ovvero: la mancanza e/o la fragilità di essa); la mancanza del padre, grande assente delle famiglie occidentali odierne, la cui latitanza sta regalando al mondo ragazze e donne con delle carenze affettive che poi si portano sulle spalle tutta la vita; la continua negazione della natura femminile, che ha convinto le donne a dover essere delle brutte copie dell’uomo; e poi la lotta contro un corpo che sembra sempre “sbagliato”, perché ultimamente diventa sbagliato tutto ciò che ci viene dato dalla natura.
Alle donne è consentito/perdonato tutto.
Ovviamente, tutta questa bella storiella frivola e leggera, in cui un evento come l’Olocausto viene accostato a un’avventuretta di letto, poteva essere autorizzata (e addirittura sponsorizzata) solo perché è stata partorita da una mente femminile, per di più schierata a sinistra, sennò già sarebbe scoppiato lo scandalo e sarebbero partiti gli insulti, il boicottaggio e chissà cos’altro. Alla Volckmer è concesso parlare in modo leggero niente di meno che dello sterminio degli ebrei, argomento che noi comuni mortali non possiamo neppure lontanamente sfiorare, neanche per porci domande oppure, tanto per fare un esempio, per ricordare a chi avesse perso la memoria che anche altri episodi e ideologie politiche di gente ne hanno ammazzata eccome, se non anche di più. Perché, come abbiamo imparato negli ultimi anni, alle donne è consentito/perdonato tutto, specie se appartenenti a un certo schieramento politico/ideologico.