La Fionda

Karla Sofia Gascon e l’infamia di ritorno

Ricordate Karla Sofia Gascon, prima “donna trans” (cioè uomo, alla nascita Carlos Gascon, sposato con due figli, percorso di transizione iniziato a 46 anni) candidato agli Oscar come miglior attore protagonista? Gli dedicammo un post per sottolineare che, nonostante la candidatura a uno dei massimi premi artistici mondiali, si lamentava di “transfobia” perché un cameriere gli aveva aperto la porta del bagno. Ebbene, la candidatura per il musical di Jacques Audiard Emilia Pérez – «storia di un narcotransficante, una donna spacciatore col bigolo» come ha scritto Max Del Papa – è ora caduta, e da questa caduta probabilmente la carriera dell’attore ci impiegherà un po’ a rialzarsi. Motivo? Quella stessa cultura woke che esigeva la glorificazione della candidatura di Gascon in-quanto-trans, come riscatto di una “minoranza oppressa” dal “maschio bianco etero-cis”, e quella stessa cultura woke che faceva blaterare a Gascon, star di Hollywood all’apice della carriera, di essere vittima di “discriminazione transfobica” per un cameriere che gli aveva aperto la porta.

Infatti Gascon, nel tipico stile da inquisizione retroattiva della cancel culture, è stato accusato di razzismo e islamofobia per una serie di post pubblicati su Twitter/X tra il 2020 e il 2021: «In uno l’attrice spagnola se la prende con i musulmani in Spagna e la fede dell’Islam “da mettere al bando”. Altri tweet contengono critiche a George Floyd (“un truffatore tossicodipendente”) ucciso dalla polizia in Minnesota, ironie sullo spirito di inclusività degli Oscar (“un festival afro-coreano”) e perfino un commento su Adolf Hitler: “Semplicemente aveva la sua opinione sugli ebrei”» (qui più in dettaglio in traduzione inglese). Peccato imperdonabile, che esige una punizione esemplare. Tra l’altro, indovinate chi ha riportato alla luce questi vecchi post in un momento così strategico? Un “maschio bianco etero-cis”, fedele alla sua missione patriarcale e eteronormativa di opprimere le minoranze? No, una donna, la giornalista canadese e “musulmana nera” Sarah Hagi (fate la faccia stupita). Ma sebbene Hagi sostenga di aver scavato nel torbido passato di Carlos spontaneamente e per pura curiosità, per intuito femminile diciamo, Gascon non ha nascosto il sospetto che la campagna di fango sia stata orchestrata dallo staff della sua collega/rivale, Fernanda Torres, vincitrice del Golden Globe per il film Io sono ancora qui e anche lei candidata all’Oscar (forse nel timore che, nel giocarsi la carta della minoranza oppressa, “donna trans” batta “donna cis”?…).

karla sofia gascon
Karla (Carlos) Sofia Gascon

C’è sempre il più puro che ti epura.

Quelle espresse da Carlos nei suoi tweet sono certo opinioni a dir poco discutibili, ma comunque esternate a titolo personale e pubblicate su un profilo social personale: in che modo potrebbero o dovrebbero influenzare il valore della sua prestazione attoriale? Ciò sarebbe possibile solo in un caso, e cioè che tale valore sia valutato non tanto in base alla qualità della performance quanto sulle caratteristiche intrinseche del performer: se è donna, “persona abcdefghi+” o appartenente a una “minoranza oppressa” ha automaticamente molti punti in più rispetto ai “maschi bianchi etero-cis”. In realtà, però, la furia inquisitoria woke non risparmia neanche gli artisti di qualità. La differenza è che questi, passata la bufera (tempo e danno che non sarà mai risarcito, ovviamente), faticosamente tornano al posto che loro spetta. Vedremo se sarà questo il caso anche per Carlos/Karla, che sta subendo una shitstorm di proporzioni notevoli e altre conseguenze del suo peccato mortale di cinque anni fa: Netflix l’ha eliminato dalla campagna promozionale del film e molti colleghi e collaboratori lo stanno condannando e ne stanno prendendo le distanze (manco avesse contratto la lebbra), tra cui il regista Jacques Audiard stesso, che in un’intervista del 6 febbraio scorso ha definito i tweet «inscusabili e ripugnanti» e ha concluso: «Non voglio più rivolgerle la parola».

Carlos intanto si lamenta a gran voce di essere vittima della cancel culture e tenta come può di fare “mea culpa” per sfuggire all’inquisizione woke e far tornare tutto a posto: «Ho usato parole che forse non sono corrette per ignoranza o per puro errore. Non posso ritirarmi da una nomination all’Oscar perché non ho commesso alcun crimine, né ho fatto del male a nessuno. Non sono razzista né niente di ciò che tutte queste persone hanno cercato di far credere», piange alla Cnn, per poi rincarare sul proprio profilo Instagram, subito dopo la dura condanna da parte di Audiard: «Ho deciso, per il film, per Jacques, per il cast, per l’incredibile squadra che lo merita, per la bellissima avventura che abbiamo vissuto tutti insieme, di lasciare che l’opera parli da sola, sperando che il mio silenzio permetta che il film venga apprezzato per quello che è, una bellissima ode all’amore e alla diversità. Mi scuso sinceramente con tutti coloro che sono stati feriti lungo il percorso». Belle parole, Carlos, ma non ti salveranno: in casi come questi non si può far altro che chinare la testa sotto la scure woke, che non risparmia nessuno, neanche le “minoranze oppresse”. E stavolta sarà difficile dare la colpa alla “transfobia”. Chiudiamo citando di nuovo l’incisivo commento di Max Del Papa: «Questo, o questa, ha cavalcato l’onda del woke e per un po’ gli ha detto bene, ma senza pensare che il woke essendo per sua natura falso, improbabile, maligno, alla fine divora i suoi figli come il conte Ugolino, come Kronos; e la tecnologia del controllo e della memoria gli dà una mano. Se tu usi una ideologia infame per scopi infami, il minimo che prima o dopo ti capita è l’infamia di ritorno».



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