La Fionda

Incel: se questo è un terrorista

«Sei un incel!», è la formula più usata sui social network, nelle baruffe di basso livello tra uomini e femministe, per insultare la parte maschile. Questo perché col tempo e con la propaganda l’incel, ovvero il celibe involontario, è diventato simbolo di maschilismo violento, di bieco disprezzo del femminile e di incapacità a rapportarsi con le donne. L’incel dunque, nella narrazione comune, non è soltanto lo sfigato, ma è lo sfigato pericoloso perché frustrato. Ad alimentare questo stigma ci sono precedenti casi dove alcuni pazzoidi assassini si sono auto-definiti “incel”, dando così l’occasione a chi ha una gran paura ad affrontare davvero il fenomeno per criminalizzarlo globalmente. Un percorso di demonizzazione che ha seguito tappe ben precise, la prima delle quali è stata dare un nome specifico, appunto “incel”, a una realtà che esisteva da sempre e si integrava nelle società trovando spesso soluzioni o sollievo alle proprie sofferenze all’interno delle tradizionali dinamiche comunitarie. Dando loro un nome specifico, li si è additati ed estratti dal contesto integrato, attuando una forma di apartheid onomastico. Il resto è venuto da sé. Facendo leva su uno spiccato identitarismo veicolato dai forum incel online, su un linguaggio e uno schema di lettura originale della realtà, si è cominciato a suggerire che gli incel fossero una specie di organizzazione, tipo un partito o un’associazione, legati e collegati a livello internazionale. Dato che odiano le donne in modo strutturale, si è cominciato a dire, e dato che il loro è un odio organizzato, tanto da spingere alcuni ad atti criminali, si può parlare di organizzazione terroristica. In molte aree degli USA gli incel sono effettivamente classificati così.

Non serve far notare che, se davvero ci fosse un’organizzazione, allora dovrebbero esserci anche dei leader (che non ci sono), delle procedure di reclutamento (che non esistono) o altre caratteristiche tipiche di un’organizzazione strutturata. Non serve perché fa troppo comodo raccogliere tutto in un bel bersaglio a cui tirare. In particolare se quel bersaglio nella sua stessa essenza mette sotto processo alcuni dei capisaldi sociali, economici e culturali del sistema che ha ormai soppiantato le tradizionali dinamiche comunitarie. Quella di celibe involontario, infatti, lungi dall’essere requisito per l’appartenenza a una setta organizzata, è in realtà una condizione, che può essere temporanea o permanente, a seconda dei casi. In particolare è la condizione di chi non riesce ad avere un’esistenza relazionale e affettiva appagante (o non riesce ad averne una tout court) con persone del sesso opposto. In questo senso la condizione incel è appannaggio nella quasi totalità dei casi di soggetti di sesso maschile, i quali vivono la loro realtà con tutta la sofferenza che l’esclusione e la solitudine possono creare in un essere umano, per sua stessa natura sociale e relazionale. Quella degli incel è dunque una sofferenza psico-sociale, che estende cioè i suoi effetti sul vissuto interiore dell’individuo, ma anche nella sua sfera di relazione con il mondo.

mano affonda

Si fa prima a escludere i già esclusi.

Se ci si ferma alle espressioni più superficiali del disagio, sicuramente risulta facile addossare l’origine il problema agli incel stessi. Utilizzano un linguaggio criptico, in gran parte derivato dal gergo americano, i loro temi viaggiano a metà strada tra il grottesco e il goliardico, con un gusto speciale per il black-humor. I toni verso chi, nella loro lettura, è causa del loro disagio, sono spesso sprezzanti e amari. Non manca chi indulge ad atteggiamenti o frasi violente, ma sono soggetti che nei forum tendono a venire isolati. In ogni caso, a una prima osservazione è quasi inevitabile avere una pessima impressione degli incel, se non addirittura averne paura. Non diversamente giudichiamo male o siamo spaventati da un ubriaco per ciò che fa o dice, e non ci chiediamo mai perché si sia ridotto in quel modo. Per capire di più, dunque, serve scavare nei loro contenuti, tenendo a mente altri fenomeni che, in termini di modello, potrebbero servire da chiave di lettura. Non molti decenni fa, ad esempio, i miserabili e gli homeless negli USA venivano indicati come testimoni viventi del fallimento del capitalismo occidentale, proprio là dove quel modello economico trovava la sua patria. Come cura alcuni proponevano un modello opposto, quello del socialismo reale, che dal lato suo proponeva e realizzava principi alla fine risultati forieri di altrettante miserie e follie. In ogni caso è indubbio che entrambe le proposte affondassero le loro radici profondamente in un background reale e fattuale. Ricordato questo, cosa ci impedisce oggi di indicare gli incel come testimoni viventi del fallimento di quell’era neoliberista che ha sovvertito il tradizionale spirito comunitario (anche attraverso ideologie affini, come il femminismo)? Perché respingere a priori l’occasione di andare a fondo nella ricerca delle cause che determinano le contro-proposte, i temi chiave e l’esistenza di questi “homeless dell’affettività”?

La risposta è nella storia. Perché, come si è visto con l’occidente capitalista verso il socialismo reale, i più potenti non amano chi li contesta e gli fa le pulci mostrandogli le brutture che sono in grado di creare. Ecco perché oggi il patto d’acciaio tra neoliberismo occidentale e femminismo ascrive la condizione di incel alla categoria del nemico: per evitare che si vada a fondo in una realtà di miseria umana che, se ben compresa, al di là delle sue manifestazioni più superficiali, potrebbe sovvertire alcuni principi irrinunciabili per chi detiene le leve del potere. La condizione di incel è sofferenza, in particolare sofferenza maschile, generata da uno scenario socio-culturale ed economico improntato all’apparenza, all’edonismo spinto, al consumo, alla prestazione, alla competizione sfrenata e disumana. Un sistema indisponibile a venire calmierato da impulsi inclusivi che non siano già compresi nel progetto di liquefazione generale delle identità di tutti. Per questo, lo si è detto giorni fa, l’inclusività verso ogni fenomeno queer è cosa scontata, sull’onda della sofferenza che esso contiene, mentre di contro non c’è empatia né inclusione alcuna per l’analoga sofferenza degli incel. Una è organica al sistema, l’altra no, ed  è così che si affermano i diversi pesi e misure. Per affrontare, diminuire o magari eliminare la sofferenza dei celibi involontari, per altro, non basterebbe qualche legge: si tratterebbe piuttosto di rivoluzionare tutto intero il pensiero dominante, indirizzandolo verso un futuro ben più equilibrato e meno conflittuale di quello che si sta apparecchiando oggi. Troppa fatica, troppo rischio. Si fa prima a escludere i già esclusi, criminalizzandoli e cancellando con il fantasma del terrorismo organizzato quella che è una sofferenza psico-sociale tipicamente maschile e sempre più dilagante nei giovani.

Ti si fa fuori e basta.

Ma gli incel sono davvero terroristi? Basta vedere il video qua sopra per avere una risposta chiara. Ci è stato segnalato dalla pagina Facebook del blog “Il Redpillatore” e l’abbiamo trovato significativo. Per questo l’abbiamo rieditato e ripubblicato inserendovi sottotitoli in italiano. Si tratta di un incel americano che esce allo scoperto e butta la sua anima e il suo vissuto sul tavolo, alla vista di tutti. Gli costa una gran fatica, ma lo fa. Ed è sufficiente ascoltarlo senza pregiudizi per arrivare a chiedersi: perché devo provare empatia per i disabili, i trans, gli immigrati, i malati psichiatrici, i poveri, le persone vittime di violenza, i malati di patologie sociali come l’anoressia e verso chiunque altro sia portatore di una “diversità”, ma non verso un soggetto che vive la condizione sofferente di celibe involontario? La risposta non c’è. E se c’è, è ideologica: è maschio, contesta lo status quo, quindi va odiato. Il video che abbiamo tradotto è uno spaccato, sicuramente parziale ma già molto significativo, di cosa ci sia sotto la fastidiosa superficie con cui gli incel si rappresentano al mondo. Si tratta di giovani perennemente connessi, che non concepiscono altre modalità di approccio che quelle online, con dentro un bisogno di amore talmente lacerante da accettare di accompagnarsi a donne che in pubblico li fanno camminare cinque metri indietro o li ingannano ferocemente. Ascoltate questo ragazzo e alla fine chiedetevi: è questo un terrorista? Decisamente no. Un candidato al suicidio, forse, ma un potenziale terrorista o un assassino no.

Ciò non toglie, si dirà, che altri individui nella stessa condizione possano trovarsi a perdere la testa e a diventare criminali dannosi per terzi. Naturalmente, ma questo vale per ogni individuo o gruppo di individui che si ritrovi a condividere la stessa sofferenza o la stessa idea del mondo. Ci sono molti malati psichiatrici, alcuni di loro perdono il controllo e commettono violenze o omicidi: questo ci solleva forse dal dovere di dare ad essi assistenza e comprensione? Ci sono culti, partiti, sindacati, associazioni che al loro interno annoverano sempre elementi massimalisti e altri moderati, e capita che tra i primi qualcuno ecceda e salti oltre il limite della legalità. I brigatisti rossi e i terroristi neri degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso si riconoscevano in ideologie di massa, per svariati motivi hanno portato l’ideale a conseguenze estreme, non per questo si sono criminalizzati i loro partiti di riferimento. Idem per l’estremismo religioso: l’esistenza di Daesh non rende terrorista l’intera religione islamica e i suoi fedeli. Tutte relativizzazioni e contestualizzazioni di cui gli incel non si possono giovare, sebbene la loro realtà sia composta da milioni di giovani come quello in video. Ficcati nel loro disagio da un mondo femminile sessualmente non liberato ma solo indotto a una licenziosità strumentale a un sistema globale che vive sul conflitto e sull’assenza di umanità, la loro esistenza e i motivi per cui sussiste sono troppo molesti e troppo maschili per godere di chissà quale compassione, empatia o sforzo di comprensione. Gli incel sono l’effetto indesiderato del mondo in cui viviamo. Un mondo dove, se il tuo disagio non rientra in schemi e scopi sistemici, non c’è spazio per analizzare i motivi della tua opposizione. Un modo dove, se manifesti quel tuo disagio non conforme, ti si fa fuori, punto e stop.



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