Con la vittoria della coalizione di Destra e la nomina della prima donna a Capo del Governo, assistiamo in questi giorni a due eventi già qualificati come “storici” e non senza ragione. Al di là dell’ovvia esultanza di coloro che si posizionano in quella costellazione politica, si è potuta leggere qua e là l’espressione di speranza per i tempi futuri con riferimento alla guerra dei sessi, che è la guerra contro gli uomini e i padri. La nomina di Lorenzo Fontana offre, in sé, una prima forte indicazione della rotta che la maggioranza Meloni intenderebbe seguire, qui a valere in sostanza sul piano simbolico, fatto che ha però un grande significato rispetto alle dinamiche culturali che ci interessano. Accanto a ciò vanno registrati atti e dichiarazioni di intenti che vanno decrittati perché apparentemente promettono un gran bene ma prefigurano e occultano un nuovo male, ovvero nuovi passi nella esautorazione del padre e nella sottrazione di risorse agli uomini delle classi medio-basse a vantaggio di chi sappiamo.
La Meloni, esprimendosi in campagna elettorale sulla questione aborto, ha manifestato l’intendimento di agire non contro il diritto all’aborto, ma piuttosto a favore del “diritto di non abortire”. Cosa potrà mai significare questa formula sibillina? Il femminismo nazionale l’ha prontamente e capziosamente interpretata come dissimulatrice della volontà inconfessabile ma reale di erodere la L. 194/78. Il suo significato invece è ben diverso ed è questo: la Meloni si appresta a varare strumenti di finanziamento a quelle donne che altrimenti abortirebbero, ciò sulla base del “fatto” (la leggenda femminista) che sarebbero economiche le ragioni che inducono/impongono quella scelta. Non vi è infatti altro modo per garantire il “diritto di non abortire” se non con l’erogazione di rilevanti benefici economici, di rendite, di semivitalizi a quelle che “altrimenti” abortirebbero. E chi sono costoro? Quelle che abortirebbero e… quelle che comunque non lo farebbero. Essendo impossibile distinguere le une dalle altre, la promessa diventa quella di garantire un sostegno economico che deve essere generosissimo, se si vuole che sia decisivo, a tutte quelle che lo chiederanno. Cioè a tutte, indiscriminatamente. La promessa dunque è quella di istituire un “Reddito di Maternità” universale e sine die a carico delle casse pubbliche, sostituendo in misura decisiva ed esiziale lo Stato al maschio di casa.
Una promessa da tradire.
Così, mentre si proclama la centralità della famiglia tradizionale/naturale, quella con il marito-padre, se ne prospetta la degradazione economica trasformandolo in contributore laterale, secondario, accessorio a quello statale: la nascita ufficiale delle Mogli del Governo. Con un poderoso intervento in tale direzione si ipotizza ingenuamente di invertire il trend demografico, volontà espressa verbalmente e appalesata dalla nuova denominazione del ministero della “Famiglia, Natalità e Pari Opportunità”. L’idea sottesa – folle e al tempo stesso volgare e indecente – è che il denaro possa sostituire lo slancio vitale di una comunità e la pulsione alla vita di un popolo esangue e castrato. L’idea oscena che il mondo e la Vita – il Bios – siano fondati sulla materia.
Non è finita, perché spontanea sorge la domanda birichina: da dove verrebbero le enormi risorse necessarie a finanziare un simile intervento massivo e permanente se le casse sono vuote? Non certo da nuove imposte che un governo di Destra non può introdurre, men che mai a carico dei benestanti, andranno perciò trovate nella esplosione del debito pubblico. Le dimensioni colossali di questo non preoccupano nessuno, anche se, fin qui, non si è mai saputo di alcun debito, privato o pubblico, che prima o poi, in un modo o nell’altro non sia stato dolorosamente saldato. Chi pagherà dunque? Gli uomini. E poiché la società è divisa in classi, a pagare saranno le masse dei ceti medi e bassi. La sola incertezza è il “quando”. Si spera sempre che il nuovo governo mantenga le promesse. Speriamo che questa venga tradita.