La recente vicenda di Imen Jane (all’anagrafe Imen Boullahrjan), 26nne divenuta star dei social grazie alle sue spiegazioni di economia, va ben oltre gli incresciosi episodi dello scorso anno, quando era stata smascherata da Dagospia: nonostante la millantasse, la fanciulla non aveva alcuna laurea in economia. La giovane milanese di origini marocchine si è recata, insieme alla sua amica Francesca Mapelli, entrambe redattrici della testata iperfemminista “Vice”, in vacanza a Palermo, luogo in cui le due ragazze sono diventate protagoniste di un imbarazzante episodio ai danni di una commessa del luogo e di altri operatori (tassisti, albergatori…). La “Mape” è stata colta a raccontare al proprietario di un negozio di come ci sia rimasta male quando la suddetta commessa non ha saputo soddisfare la sua particolare richiesta: voleva che le raccontasse la storia del negozio stesso, curiosità che pare non essere stata esaudita. La commessa, infatti, ha ammesso di non essere pagata abbastanza per mettersi a indagare sulle origini del negozio. Una replica che ha fatto sgorgare tutta l’acredine classista della dolce turista milanese. Sarebbe bastato un semplice «Non importa, grazie lo stesso», sostituito invece da un «se ti fossi informata abbastanza, avresti potuto guadagnare molto di più facendo la guida turistica». Ovviamente l’umiliazione della commessa (ma anche di un tassista e di altri personaggi incontrati durante la vacanza) è finita in rete, con tanto di didascalia che evidenziava la delusione delle due opinioniste di “Vice”.
L’arroganza di queste due ragazzotte è balzata agli occhi di molti utenti, facendo fioccare commenti velenosi al video postato da Imen, tanto da costringerla a porgere delle specie di scuse per l’accaduto. È pura filosofia chiedersi se siano state scuse sincere o un tentativo di non perdere un’enormità di follower, dopo essere stata presa in castagna in atteggiamenti spregevoli. La verità è che siamo di fronte alle solite eterne adolescenti che tanto vanno di moda oggi, le tipiche supergiovani emancipate tutte moda/aperitivi/serate tra donne nella Milano da bere. Si tratta di quelle donne dallo “spirito libero”, espressione politicamente corretta tanto in auge, utilizzata quando si vogliono definire delle signorine disinibite, “emancipate”, che hanno fatto di viaggi e vacanze il proprio motivo di vita. Donne “empowered”, che non perdono occasione per esprimere un’aggressività da manifestare necessariamente al mondo intero tramite i social, oltre che nella vita reale. Un atteggiamento che nasconde dosi massicce di frustrazione e che dice molto di cosa il modello femminista di donna è capace di fare non tanto con il potere, quanto con la percezione illusoria del suo possesso (perché questo significa “essere influencer”).
Esempi di genuina felicità da abbattere.
Al di sotto di questi fenomeni c’è indubbiamente l’ideologia in cui siamo immersi tutti, specie noi donne. I modelli di vita che le giovani sono state convinte a seguire, attraverso una martellante e mirata propaganda, non potevano che condurci a questa forma innaturale e sterile di “emancipazione”, processo che oggi ha cambiato identità, svelando completamente il femminismo nei suoi intenti originari. Oggi l’emancipazione è stata sostituita dall’empowerment, traducibile come “potenziamento”. L’emancipazione asseriva che la donna è donna se è in grado di seguire e realizzare le proprie aspirazioni, nel rispetto dei propri ritmi e del proprio essere, resistendo e abbattendo doveri sociali fuori dal tempo. Un concetto importante nell’epoca storica post-boom (anni ’60 e ’70 del secolo scorso), che ha accompagnato e talvolta ispirato importanti cambiamenti sociali e civili innescati da una vera e propria rivoluzione nei meccanismi economici della produzione, dell’industria e dei servizi. A rivoluzione fatta, l’emancipazione femminile è diventata prassi e dopo un paio di decenni ogni barriera all’autorealizzazione femminile è caduta, ad eccezione di quelle che eventualmente le donne si autoimpongono con le loro scelte. Non essendoci più niente da dire su questo versante, il femminismo, anche per sopravvivere come ideologia e movimento, si è inventato la questione “empowerment”.
E l’empowerment è qualcosa di molto più ampio dell’emancipazione. Le donne “liberate” ora hanno da essere anche “potenti”, secondo un modello maschile costruito e idealizzato in termini quasi macchiettistici proprio dal femminismo. Empowered è dunque una donna che si mostra arrogante, prevaricatrice, stronza, in certe forme addirittura violenta. Empowered è la donna che si defemminizza, che non si depila, che lascia scorrere tra le gambe il sangue mestruale, così riempiendo il termine di connotati che vorrebbero essere trasgressivi e alla fine sono soltanto repellenti. Empowered è anche la donna che, pur così conciata, magari obesa, tabagista e con una spiccata tendenza all’alcolismo alimentata dai troppi spritz con le amiche, pretende di piacere comunque agli uomini, tanto quanto una donna normale o una modella di Vogue, e le “sorelle” che non si adeguano al modello degradato sono ancelle del patriarcato, gli uomini che continuano a “preferire le bionde” sono dei buzzurri imbevuti di cultura dello stupro. La donna empowered è sola, si giova di qualche toyboy o di qualche toy e basta, ostentando una malinconica fierezza per il proprio status di femmina dedita alla promiscuità («come hanno sempre fatto i maski»). In questo senso il suo nemico numero uno non è tanto l’uomo, sciocco bersaglio da abbattere per assorbirne il teorico “potere”, bensì la donna normale, ancor più se madre o peggio ancora casalinga: tutti insopportabili esempi di genuina felicità, troppo evidenti e dunque da abbattere ad ogni costo.
Una complementarietà sovvertita.
La Jane e la Mapelli altro non sono che il prodotto di questo tipo di inquinamento ideale, innaturale e snaturato, che prende le donne, specie se giovani, e le violenta nel proprio essere, trasformandole da ciò che possono e dovrebbero genuinamente e liberamente essere o diventare, in piccole animelle spregevoli che scambiano l’autorità per autorevolezza, la spregevolezza per solidità caratteriale, il sopruso per potere. E non è casuale che la vittima della loro arroganza sia stata in particolare un’altra donna, né che la Jane sul suo profilo Instagram si batta non affinché le donne acquisiscano sufficiente capacità di autocreazione per realizzarsi a prescindere da ogni modello, ma per un maggiore accesso femminile ai posti di comando nella politica. Il modello femminista della donna empowered è questo: ossessione per il potere e, una volta acquisitolo, suo esercizio indiscriminato e irresponsabile, cosa che a questo tipo di donne riesce benissimo, con eccessi talvolta anche straordinari nella loro grettezza e crudeltà. A riprova che forse avevano qualche ragione quegli antichi che associavano il maschile all’ordine e al controllo, specie nella gestione del potere, e il femminile al caos e alla sregolatezza, destinando i due sessi a un ruolo complementare e a una ricerca continua di un bilanciamento che ora, auspici anche la Jane e la Mapelli, è totalmente sovvertito.