di Davide Stasi. Settimana scorsa abbiamo tratteggiato con entusiasmo la figura della giudice americana Amy Coney Barrett, dimostrando come la sua stessa biografia, prima ancora della sua sfolgorante carriera, rappresenti una sorta di infallibile esorcismo nei confronti dei più biechi luoghi comuni del pensiero unico dominante in generale, e nel dettaglio di quello femminista. Molti sono stati i commenti all’articolo che si chiedevano se esistesse dalle nostre parti una figura femminile della stessa caratura e dotata della stessa potenza. La risposta è sì e il suo nome è Elisabetta Frezza. Abbiamo avuto l’occasione più volte di parlare di lei (o di farla parlare direttamente, qui, qui e qui) nel blog che ha preceduto la nascita de “La fionda”, qualcuno se ne ricorderà. L’impressione che se ne aveva, ascoltandola o leggendola, era quella di una bomba di luce che ancora non aveva avuto occasione di esplodere, se non in contesti limitati (convegni, seminari), su supporti ad accesso non di massa (libri, saggi), o in clip video circolanti sul web ma appannaggio solo di alcuni “iniziati”, con ciò intendendo persone dal senso critico ancora integro e con la cultura sufficiente ad ascoltare e comprendere una persona che esprime i propri concetti in un italiano sublime, colto, e per questo splendidamente esatto, complesso ed espressivo.
L’occasione per Frezza di far esplodere in modo ampio la propria luce è finalmente arrivata, due giorni fa, alla conferenza internazionale su euro, economia e democrazia, nota sui social con l’hashtag #goofynomics, organizzata dall’associazione nazionale “A/Simmetrie“, animata da economisti e studiosi come Alberto Bagnai, Vladimiro Giacché, Paolo Savona e molti altri nomi importanti. Il tema della prolusione di Frezza è stato quello che ha caratterizzato la sua ricerca degli ultimi anni, realizzata a partire dalla sua estrazione giuridica, debitamente integrata da un’esperienza diretta sul campo. Madre di cinque figli di età compresa tra gli 11 e i 23 anni, ha avuto modo di osservare le dinamiche di tutto il sistema di istruzione e formazione nazionale, misurandone da un punto di osservazione privilegiato, quello di genitore, il progressivo degrado e il caparbio smantellamento. Donna acutissima e caparbia, non si è fatta irretire, come gran parte dei genitori, da proposte formative e curricolari tanto fantasiose quanto disorientanti o da un burocratese scolastico finto-amico. Ha invece cercato di capire a fondo il motivo proprio di quel senso di disorientamento. Nel corso degli anni ha così dissezionato, con la cura di un’anatomopatologa della logica, l’intero sistema, senza perdere mai di vista il quadro d’insieme, riuscendo infine a decrittare la strategia in atto sulla pelle del presente, cioè nostra, e, quel che è peggio, dei nostri figli, cioè del futuro.
Moltissimi la inneggiano come Ministro dell’Istruzione.
Di questo ha parlato per un’ora ininterrottamente durante il suo intervento di due giorni fa. L’ha fatto con il suo stile ineffabile, con quel suo sorriso che, al termine della prolusione, il Senatore Bagnai ha correttamente definito “feroce”. Frezza in un’ora ha infatti scolpito di fronte a un uditorio ammutolito e sbigottito la figura precisa dell’avvenire che da tempo si sta apparecchiando non solo per la società italiana, ma sostanzialmente per tutto il mondo (per lo meno quello occidentale). Ha messo così sotto gli occhi di tutti la rappresentazione di una mostruosità assoluta, ha dato corpo a un incubo distopico che pare uscito dalla penna congiunta di un Orwell, un Huxley e un Zamjatin, il tutto (e questo è uno dei tanti valori aggiunti di Elisabetta Frezza), citando sempre fonti precise, o dando a intendere di averle a portata di mano, se richieste. “La scuola che aveva assunto il ruolo di togliere le masse dall’ignoranza si è trasformata in soggetto in grado di generare un’ignoranza di massa”. “Con la legge 107 hanno realizzato un marchingegno atto a recepire in maniera continuativa ciò che viene prodotto senza tregua dalle tecnocrazia europee”. “Significativa è l’insistenza nei programmi sulla cittadinanza globale, un ossimoro, dove la polis è stata sostituita dalla bolla dell’indistinto, dalla cosmopoli dell’apolide”. Questi sono alcuni dei diamanti che Frezza ha dispensato al suo uditorio, freddandolo sul posto con un fascio di luce accecante.
Questo è Elisabetta Frezza: luce viva, portata finalmente laddove da troppo tempo predominava la tenebra, ovvero nella visuale delle persone comuni attente e preoccupate per ciò che accade. Non è irrilevante che, nell’ora in cui è durato il suo discorso, il suo nome sia diventato trend-topic sui social, nella sezione “Politica”. Lei, per lo più sconosciuta, lei che non è presente, per scelta (condivisibile), in nessun social network, ha sfondato il muro dell’indifferenza e dell’apatia generale descrivendo con precisione millimetrica e in modo dolce e spietato quale aberrazione è stata costruita attorno e dentro alle vite nostre e dei nostri figli. Nel suo intervento, come già in quelli precedenti, ha spento le luci del luna-park e ha fatto luce in quell’angolo buio dove vengono assembrati i suoi frequentatori, una volta che si sono trasformati in asini, servi, utili idioti, sudditi innocui, zelanti esecutori. Tutto ciò che un uomo o una donna, in quanto esseri umani e cittadini, non dovrebbero mai essere. Il suo messaggio si è abbattuto come un maglio sul sistema. La prova è nelle reazioni registrate proprio sui social network. Twitter è esploso di ovazioni e standing ovation per Elisabetta Frezza. Non c’è un commento negativo che sia uno, non lo si trova nemmeno spulciando ogni singola reazione. In compenso sono moltissimi i commenti che inneggiano a lei come un indispensabile ministro dell’istruzione. Tra di essi, naturalmente, c’è anche il nostro, dove auspichiamo che presto possa rivestire quella carica, da mantenere per meriti speciali per almeno una trentina d’anni.
La standing ovation è inevitabile.
Elisabetta Frezza, per ciò che ha detto già prima del suo intervento al “goofynomics” e in quella stessa occasione, è senza tema di smentita una chiave di volta per la risoluzione in positivo di un futuro attualmente mandato a velocità folle a schiantarsi contro il muro dell’irrazionalità. Lei è una componente essenziale dell’antidoto al mondo capovolto in cui ci troviamo a vivere, nella stessa misura con cui Amy Coney Barrett è un esorcismo per una delle componenti di quel mondo invertito, ovvero il femminismo. A differenza della giudice americana, però, la visuale di Elisabetta Frezza è più ampia, il beneficio della sua riflessione e di un’eventuale azione conseguente è più generale. Lo è nella sostanza come nella forma, in quanto le modalità stesse con cui Frezza si esprime rappresentano una barriera insormontabile per chi vive (se la si può chiamare vita) imbevuto di pensiero unico. Non c’è accesso al mondo vero e complesso di Elisabetta Frezza per chi non ha gli strumenti intellettuali, culturali e civici adeguati. La forma e la sostanza da lei veicolate sono una Versailles inespugnabile, che induce non all’assalto scomposto ma all’ordinato ossequio verso chi è portatore di una lucidità sovrana. A dimostrarlo c’è il tempo, che si ferma per qualche secondo, in ogni angolo del mondo, quando Frezza parla della “delazione come nuova virtù civica”, quando con atroce grazia fa a pezzi il magistero della Chiesa e del Papa attuale, o quando svela retroscena da brivido sulle questioni procreative. Lei si morde il labbro inferiore, un po’ per reazione all’assenza d’acqua, un po’, ne siamo certi, per la consapevolezza di stare porgendo a chi vuole ascoltare, con gesto gentile e aristocratico, vere e proprie bombe atomiche innescate.
Per tutte le tantissime, innumerevoli persone che oggi si sentono avvolte dal buio e dall’incertezza, e che non trovano né divertente né promettente il luna park-manicomio che gli è stato apparecchiato attorno, Elisabetta Frezza è un faro. Siamo stati oltremodo felici, due giorni fa, di vedere che moltissimi se ne sono resi conto, ed è stato con grande partecipazione che abbiamo compilato questo articolo, con cui, noi etichettati come “misogini” e “maschilisti”, rendiamo merito, come già con quello su Amy Coney Barrett, a una Donna che nell’aristocrazia del suo pensiero, trascende il genere di appartenenza, sublimandolo in quell’umanità che dovrebbe unire tutti indistintamente dietro lo scudo del Vero. Non ci resta che invitare tutti a prendersi un’ora di tempo (ché Elisabetta Frezza non produce spot di trenta secondi o programmi d’intrattenimento di 15 minuti), ad armarsi di massima concentrazione (ché Elisabetta Frezza non comunica come una Michela Murgia o una Laura Boldrini qualunque, lei vi ritiene tutti degni e intelligenti, non stupidi e ingenui), e ad ascoltare il suo intervento al “Goofynomics” di due giorni fa. Sarà inevitabile, alla fine, tributarle la stessa standing ovation che le è stata attribuita dai presenti. Cosa, a quanto pare, più unica che rara in quelle occasioni. Non ci stupisce che sia accaduto con Elisabetta Frezza.