La Fionda

Il silenzio maschile

Per chi si interessa di femminismo e della questione maschile, il libro Questa metà della Terra di Rino della Vecchia, pubblicato in Italia nel 2004 – che si trova disponibile anche in rete –, dovrebbe essere di obbligata lettura. Per chi non ha tempo (o voglia) di affrontare la lettura completa del libro, consiglio caldamente di leggere l’introduzione, intitolata “Alla Grande Muraglia”, un gioiello imperdibile, una perla tanto nella forma quanto e soprattutto, per quello che ci interessa, nel contenuto. In breve, due ragazze e un ragazzo parlano in un ristorante, ma a parlare è solamente una delle due ragazze, che si lancia in uno spiegamento di accuse a raffica del mondo femminile al mondo maschile. Lui, il ragazzo, «non riesce a profferir parola»; annientato psicologicamente, è «senza parole», senza argomenti. Oggigiorno qualsiasi donna, anche se non si dichiara femminista, grazie a un solerte indottrinamento scolastico, mediatico e istituzionale, riesce a elencare e a nominare i grandi torti che le donne subiscono e hanno dovuto subire attualmente (femminicidi, gap salariale, oggettivazione del corpo femminile, il numero di donne nei CdA o nel Parlamento…) e lungo tutta la Storia (il divieto di voto, il matrimonio come schiavitù, la lapidazione per adulterio, la caccia alle Streghe, l’infibulazione,…). Di fronte a questo profluvio di lamentele femminili, gli uomini perlopiù, assoggettati psicologicamente, «non riescono a profferir parola»; il silenzio, ammissione di colpa, è la loro risposta.

Perché gli uomini non controbattono? Perché non si lamentano, come fanno continuamente le donne? Non hanno forse anche loro subito torti lungo la Storia? Quali argomenti possiedono gli uomini? Nella Storia dell’umanità non è mai esistita alcuna civiltà che, di fronte a un qualsiasi pericolo letale, abbia messo in prima linea la donna; nessuna civiltà l’ha tassata in maggior misura, né l’ha costretta a svolgere i lavori più rischiosi, né l’ha sottoposta, con maggiore intensità e frequenza, alle peggiori torture, alle più atroci punizioni: in questi casi l’uomo è sempre stato il prescelto. Eppure le donne occidentali vivono convinte di essere parte di una classe oppressa, vittime di ogni sorta di discriminazione e di oppressione, universale e atemporale, che hanno dovuto e devono ancora lottare eroicamente per la libertà contro una società crudelmente organizzata dagli uomini a proprio beneficio. Non è una controversia puramente accademica; questa visione del mondo, nata con il femminismo, ha risvolti pratici sulle nostre vite – trasferimento di proprietà privata nelle separazioni, diritto di crescere i propri figli, privazione della libertà, discriminazione lavorativa… – in un continuum di interventi attuati a nome della tutela dei diritti delle donne.

questa metà della terra rino della vecchia

Una conoscenza parziale.

Uno dei motivi che forse riesce a spiegare parzialmente l’attuale “silenzio” maschile è la trasmissione della conoscenza nell’ambito scolastico, nei media e a livello istituzionale. Le problematiche femminili sono al centro di qualsiasi dibattito. Sulle problematiche maschili non si vedono appena tracce. La caccia alle streghe, ad esempio, è un argomento fondamentale dentro la narrativa storiografica femminista, tirato in ballo in qualsiasi discussione sulla condizione storica delle donne. L’argomento è molto popolare. Tutti l’abbiamo studiato a scuola. Raramente si trovano libri scolastici di storia che non ne parlino in sezioni apposite, grandi o piccole, spesso associate alla condizione femminile (tutti gli uomini condannati per stregoneria, circa il 20% del totale, di solito scompaiono completamente dal discorso). Eppure, gli stessi libri scolastici che, con apposite sezioni di approfondimento, sottolineano la prevalenza (o addirittura l’esclusività) delle vittime femminili durante la caccia alla stregoneria, non pubblicano apposite sezioni, divise per sesso, di altre tragedie storiche, che vantano un numero molto superiore di vittime, con prevalenza maschile, come durante i sacrifici aztechi, lo sfruttamento delle miniere del Potosì, la costruzione della Grande Muraglia Cinese o la pirateria barbaresca. Perché questi testi non sottolineano, quando parlano di schiavitù o di tortura, che i numeri pendono pesantemente dal lato maschile? Dove sono i libri scolastici che approfondiscono sulle terrificanti condizioni dei condannati alle galee (una condizione durata secoli non solo nel Mediterraneo, che stabiliva per legge il divieto di usare donne come galeotte, con mortalità altissima, non solo per quelli che affondavano incatenati alle navi)? Tutti siamo a conoscenza del tragico evento storico della caccia alle streghe (circa 60.000 vittime di cui il 20% circa uomini), ma chi conosce l’episodio storico della Rivolta de Taiping (con 20 milioni di vittime!)?

Esiste chiaramente un’evidente intenzione di trasmettere la conoscenza in maniera parziale, soprattutto quando si tratta di trasmettere i torti subiti a seconda del sesso. Gli argomenti che riguardano le donne sono sempre al centro del dibattito, come se gli argomenti che riguardassero gli uomini non fossero nemmeno paragonabili ai primi o, peggio ancora, non esistessero. Le donne non potevano votare, naturalmente rispetto agli uomini (quanto vero o falso questo sia, non è ora il punto dell’intervento), il voto diventa l’unico argomento in discussione e il grande torto della Storia, e spariscono le torture, il lavoro coatto, le pene asimmetriche, il mantenimento obbligatorio, la protezione asimmetrica, la coscrizione obbligatoria in guerra, ecc. A cosa poteva servire eventualmente il diritto di voto (permesso a 21 o a 25 anni) a un ragazzo che veniva ucciso da pene od obblighi maschili a 17 o a 20 anni, in quanto maschio? In Italia mi è capitato che il discorso devii sul fatto che alle donne fino al 1963 era vietato entrare in magistratura (naturalmente i percorsi vietati agli uomini non interessano, ad esempio la professione infermieristica fu interdetta agli uomini in Italia fino al 1971). Né erano, per quanto mi risulta, costrette all’obbligo di leva, né prima né dopo il 1963, quando già potevano entrare in magistratura, al contrario di tutti uomini renitenti/obiettori di coscienza che, tra le altre cose (tra cui la prigione), perdevano dei diritti civili e non potevano quindi entrare in magistratura.

lavoro forzato

Per non restare senza parole.

Le donne non potevano entrare in magistratura ma non potevano nemmeno essere sottoposte a lavori forzati, al contrario degli uomini (Convenzione del Lavoro Forzato del 1930, firmato e avallato dal governo italiano, Convenzione riformata dall’ONU solo nel 2014!) né dovevano per legge mantenere i loro mariti separati, senza tener conto della situazione economica di lui (magari miliardario) né di lei (magari nella miseria), al contrario degli uomini sposati che hanno dovuto mantenere le mogli separate indipendentemente dalle condizioni economiche di lei o di lui, per legge fino al 1966, cioè ancora tre anni dopo il 1963, quando le donne già potevano entrare in magistratura. Non poter entrare in magistratura, o non poter fare un corso di pittura, sono atti di discriminazione, ma non sono atti di oppressione, queste donne continuavano a vivere, a mangiare e a fare shopping come prima. Nei casi maschili previamente citati, il marito separato che si trova economicamente in difficoltà e al quale la legge ancora di più affonda nella disperazione, costretto a mantenere la moglie, con conseguenze penali se inadempiente, oppure il giovane trascinato in una leva obbligatoria di due anni circa della sua vita, magari mandato in una zona di guerra con le Nazione Unite, a rischiare la vita, questi uomini non continuano a vivere, a mangiare e a fare shopping come prima. Per gli uomini non si tratta solo di discriminazione, si tratta di oppressione. Storicamente le misure che hanno colpito le donne sono state perlopiù discriminatorie, quelli che hanno colpito gli uomini sono state perlopiù discriminatorie e oppressive. Un uomo soggetto a lavori forzati oppure incidentato al lavoro non riesce più a vivere, a mangiare e a fare shopping come prima: segno della netta differenza che intercorre tra discriminazione e discriminazione/oppressione.

Concludo con un altro esempio. Poco tempo fa mi è capitato di vedere il film La Papessa, del 2009. Un bel film, che mette l’accento sulla condizione delle donne all’epoca (subito dopo la morte di Carlomagno). Gli uomini vietano alle donne l’istruzione, e questo è il messaggio principale del film, senza altre spiegazioni. Di nuovo, la rappresentazione della realtà è parzialmente vera, dunque falsa, perché viene oscurata l’altra parte della verità. Parliamo di un’epoca nella quale la stragrande maggioranza della popolazione, uomini e donne, non era istruita, né capiva il motivo di doverlo essere. L’istruzione interessava un ambiente molto ridotto, principalmente di corte.«Durante il periodo carolingio, prima e dopo, o nei principati tedeschi del Seicento e Settecento, le donne di corte erano più raffinate e colte dei loro grezzi compagni. All’uomo, più rozzo, sollecitato a sviluppare la forza attraverso il lavoro fisico e agricolo o la guerra, non erano di alcuna utilità la padronanza della scrittura o della lettura per sopravvivere» (tratto dall’opera La grande menzogna del femminismo, a p. 432). Carlomagno, l’imperatore, era analfabeta, condizione per nulla rara tra gli uomini aristocratici. Durante l’epoca carolingia, la regina sovraintendeva all’organizzazione del palazzo, delle tenute reali e rappresentava il re quando questi era lontano, e questo succedeva in ogni casa aristocratica. Carlomagno nel Capitulare de Villis stabilì che gli ordini della regina a giudici, ministri, siniscalchi, coppieri, andavano eseguiti alla lettera. Nell’aristocrazia, le energie degli uomini venivano assorbite in guerra e al servizio del re, così erano le donne a sovraintendere alle proprietà della famiglia. L’anglosassone Alcuino spediva lettere e poesie alle ragazze e ad altre donne della famiglia di Carlomagno, che non erano analfabete come l’imperatore. Anche il poeta Dungal corrispondeva con due principesse, mentre Teodulfo elogiava la scienza della regina Liutgarda, tanto bella quanto saggia. Nessun problema poneva quindi a questi uomini di corte l’istruzione delle donne, al contrario di quello che fa vedere il film. La rappresentazione del film è tanto bella quanto falsa. Manipolazione e indottrinamento di massa. Diventa dunque sempre più doveroso informarsi, istruirsi, leggere altri punti di vista, se si vuole fornire degli argomenti a quel ragazzo «senza parole», che in realtà siamo noi.



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