Ci capita sotto gli occhi questo articolo di psicologia che, pur avendo una vaga allure di femminismo (dato che declina ogni ipotesi negativa al maschile), risulta assai utile per inquadrare il meccanismo dei sensi di colpa. Un meccanismo davvero cruciale nell’affermazione di pressoché tutti i postulati del femminismo, che della colpevolizzazione dell’uomo (e della corrispondente vittimizzazione della donna) fanno un elemento fondativo e identitario. L’articolo parla in termini di relazione tra individui, ma è in gran parte pienamente applicabile nella relazione tra gruppi sociali, nei nostri termini tra uomini e donne. «Il senso di colpa», dice l’articolo, «nasce come segnale d’allarme: ci avvisa che il nostro comportamento ha leso l’equilibrio di una relazione e che potremmo aspettarci una ritorsione o punizione; ecco che in quel caso cercheremo di rimediare ammettendo per prima il nostro errore e poi, riparando lo sbaglio». Un segnale istintivo e profondo dunque, potente abbastanza da indurre chi lo sente ad agire, a fare qualcosa solitamente di riparatorio, al fine di ripristinare l’equilibrio relazionale. Il senso di colpa in sostanza innesca in noi una vergogna «talmente scottante che siamo pronti a tutto pur di liberarcene».
Ciò che sta prima dell’azione riparatoria è un meccanismo subdolo, capace di farci sentire inadeguati, sbagliati e fuori luogo. «Da una parte il senso di colpa ci fa temere l’esclusione dal gruppo di appartenenza e dall’altra ferisce l’immagine idealizzata che abbiamo di noi stessi, rendendoci più vulnerabili di fronte alla paura di fallire, di non valere, e in definitiva di non essere voluti, accettati o amati». Il senso di colpa insomma è una bomba fatta esplodere al centro della autostima e del sistema identitario di qualcuno: chi ha intenzioni manipolatorie lo sa e usa il meccanismo con grande efficacia, facendo leva sia su colpe reali che, non di rado, su colpe del tutto inesistenti. In questo senso l’articolo individua tre tipi di soggetti manipolatori: quello che vuole tenere legata a sé la controparte, quello con caratteri narcisisti e sociopatici e quello più interessante di tutti, nella nostra prospettiva, ovvero la categoria del “ricattatore”, che così viene descritto: «il ricattatore vuole favori da te e farà leva sul passato per ottenerlo, anche se per questo tirerà in ballo sempre lo stesso evento come se tu dovessi saldare con lui un debito con interessi a vita». Debitamente corretta, la definizione intercetta pienamente la situazione macro di cui ci occupiamo costantemente in queste pagine. Rileggetela così: «il gruppo sociale ricattatore vuole un risarcimento dall’altro gruppo sociale, e farà leva su eventi passati e presenti per ottenerlo, anche se per questo tirerà in ballo eventi inventati, come se l’altro gruppo sociale dovesse saldare un debito inestinguibile e con interessi a vita».
L’odio viscerale delle femministe per Uomini e Donne.
Cosa ci vedete dentro questa formulazione modificata? Un sacco di fenomeni contemporanei. Black Lives Matter, per esempio, secondo cui tutti i bianchi di oggi portano le colpe delle (vere) discriminazioni di ieri e di oggi. L’ideologia queer per cui tutti gli eterosessuali portano la colpa di tutte le (mitologiche) discriminazioni di ieri e di oggi perpetrate contro l’omosessualità. L’ideologia femminista, infine, per cui tutti gli uomini portano la colpa di tutte le (mitologiche) discriminazioni di ieri e di oggi perpetrate contro le donne, e che per di più ha un nome: “patriarcato”. In tutti e tre i casi presi ad esempio, l’esito della colpevolizzazione è la richiesta di un risarcimento di cui non si sa né la portata né la durata. In linea di massima è incalcolabile ed eterno: soluzione più semplice per garantirsi che le controparti vivano tutta intera la loro esistenza portando dentro di sé quella sensazione di vergogna, inferiorità, vulnerabilità, inadeguatezza, e siano con ciò apertamente disposti a riparare, anche cedendo spazi propri agli appartenenti alle categorie un tempo “oppresse”. Cambia pochissimo il fatto che determinate discriminazioni e persecuzioni siano avvenute davvero (come nel caso della popolazione di colore): il meccanismo è manipolatorio perché prescinde da ogni contestualizzazione storica, culturale, politica, sociale e concentra tutte le sue forze sugli esiti ultimi di una formidabile complessità di fattori. Con essi è possibile plasmare numerosi e forti sensi di colpa da innescare e ficcare a forza dentro il vissuto della controparte. Un esempio che ci riguarda, semplificato all’osso: «le donne non hanno mai avuto potere», si dice. Una falso storico assoluto, eppure sentirlo pronunciare provoca nei più un senso di colpa e una pulsione all’assunzione di responsabilità, come se davvero fosse accaduto e soprattutto come se fosse colpa di qualcuno, oggi, se ciò è accaduto in un contesto talmente diverso dal presente da appartenere quasi a un altro mondo. Tuttavia tanto basta per far passare senza colpo ferire operazioni di “risarcimento” come le “quote rosa” o altri tipi di privilegi.
Come difendersi da questo meccanismo manipolatorio così largamente usato dal femminismo (e non solo)? L’articolo dà due consigli, entrambi abbastanza buoni se correttamente interpretati. Il primo è “fatti le domande giuste”, ovvero: chiediti se la tua colpa dipende da ciò che hai fatto oppure dipende solo dalla percezione dell’altro. Un buon consiglio di partenza che però, nell’ottica sociale e storica che ci interessa, comporta una corretta conoscenza del passato e della sua evoluzione, nonché dei dati reali del presente, in modo da cogliere subito falsificazioni e strumentalizzazioni nelle mitologie relative al passato e nella propaganda odierna. Altro suggerimento dell’articolo è, in sostanza: conosci te stesso. Una massima socratica per indicare la necessità che ognuno sappia individuare in sé dove sono tutti quei punti interiori dove il senso di colpa si aggancia. Idee preconcette, stereotipi, ferite e traumi, sono tutte fessure dove il demone della colpevolizzazione si infiltra facilmente. Conoscersi significa individuare le falle e magari saperle tappare, rendendo innocua l’aggressione di chi ci vuole manipolare. Nella nostra ottica aggiungeremmo però due ulteriori suggerimenti. Il primo è quello di sviluppare al massimo possibile il senso critico, da applicare anzitutto a se stessi e poi a ogni cosa che ci viene trasmessa, specie se tende a colpevolizzarci. Il secondo, forse il più importante, è di avere una piena consapevolezza di genere, sapere cosa voglia dire essere uomini o donne, comprenderlo con il cuore prima ancora che con l’intelletto, allo scopo non solo di avere una corretta concezione del sesso a cui si appartiene, ma di esserne addirittura orgoglioso. E non c’è niente più dell’orgoglio di genere (maschile o femminile che sia) capace di respingere al mittente ogni tentativo di manipolazione tramite il senso di colpa. Non è un caso che le femministe odino visceralmente gli Uomini e le Donne.