La Fionda

Il sangue di Trump, quello di Corey e il diversity hiring

Donald Trump è stato bersaglio di un attentato a colpi di arma da fuoco lo scorso 13 luglio mentre teneva un comizio elettorale in Pennsylvania, rischiando di morire. I proiettili, sparati da un attentatore posizionato su un tetto vicino al luogo del comizio, lo hanno solo sfiorato a un orecchio. Conoscerete già tutti la vicenda e avrete sicuramente già visto i video dell’evento, virali su tutti i principali social media, e le foto, indubbiamente destinate alla storia, dell’ex Presidente che nonostante la ferita e la paura, nella concitazione del momento, placcato dagli agenti della security, trova il coraggio di sollevarsi e gridare al pubblico: “Fight, fight, fight!” (combatti, combatti, combatti) col pugno alzato. Non rientra nei nostri ambiti analizzare l’accaduto da un punto di vista geopolitico, o criminologico, così come non ci riguarda valutare le motivazioni che hanno portato l’attentatore – tal Thomas Matthew Crooks, ucciso subito dopo gli spari da un agente dei servizi – al gesto violento (segnaliamo solo che secondo molti analisti, una parte della responsabilità sta nel clima d’odio contro Trump sollevato negli ultimi anni dai suoi oppositori politici, che ad esempio lo hanno spesso e volentieri paragonato a Adolf Hitler).

Vogliamo però cogliere l’occasione per portare l’attenzione su alcuni aspetti che invece ci riguardano. Anzitutto su Corey Comperatore, 50enne, di origini calabresi, ex dirigente dei vigili di Buffalo Township in pensione e unica vera e propria vittima dell’attentato. Non ci stupiremmo se arrivassero nei prossimi tempi le letture dell’evento in chiave femminista, dove Trump e Crooks sono dipinti come due facce diverse ma complementari della “mascolinità tossica” che fa male “anche agli uomini stessi”: si vedono già commenti di questo tipo in giro per i social, mentre Trump è stato spesso descritto come un esempio di “mascolinità tossica”. Ma da queste letture sarebbe certamente assente la figura di Comperatore, padre di famiglia che, sentito il primo sparo, fa scudo alla moglie e ai figli con il proprio corpo e viene attinto da un colpo, che lo uccide. Troppo spesso nei media e nei discorsi pubblici si è svelti a sottolineare il male fatto da pochi criminali; ma l’eroismo, l’abnegazione e la generosità di tanti altri uomini passa quasi sempre sotto silenzio, al massimo relegata in qualche articoletto seminascosto. La figlia di Comperatore così ha commentato: «Ieri il tempo si è fermato per tutti noi. È morto da vero supereroe. Non vi diranno quanto velocemente ha scaraventato a terra me e mia madre. Non vi diranno che ha protetto il mio corpo dal proiettile che ci ha colpito. Amava la sua famiglia. Ci amava così tanto da prendersi una vera pallottola per noi», e anche il governatore della Pennsylvania ha voluto rendere all’uomo un omaggio accorato, cui ci associamo: «Si è lanciato sulla sua famiglia per proteggerla, lasciando una moglie e due figlie. Corey è morto da eroe. Corey era il migliore di noi».

Corey Comperatore
Corey Comperatore con le sue due figlie.

Il flop della security in rosa.

Il secondo aspetto su cui ci soffermiamo è la critica feroce che sta venendo mossa agli agenti del Secret Service deputati alla sicurezza di Trump: avrebbero lasciato “scoperta” la traiettoria sfruttata per l’attentato (che era stata già evidenziata come “potenziale vulnerabilità” nei giorni precedenti il comizio), sarebbero intervenuti troppo tardi a bloccare lo shooter (che secondo alcuni video e testimonianze sarebbe stato ben visibile, nella sua posizione sul tetto, già da un paio di minuti circa prima di sparare), e sarebbero stati troppo lenti nel mettere in sicurezza Trump, che ha avuto appunto il tempo di rivolgersi al pubblico come si vede dai celebri scatti che stanno facendo il giro del mondo. In merito è stata avviata un’inchiesta indipendente richiesta dallo stesso Biden, mentre la direttrice del servizio, Kimberly A. Cheatle, sarà audita in merito il prossimo 22 luglio. È possibile che Cheatle finisca per dimettersi o essere rimossa dall’incarico, come stanno chiedendo diversi commentatori, ad esempio l’analista della CNN Juliette Kayyem, ex vicesegretario per il Dipartimento per la sicurezza interna sotto Obama: « Avevano essenzialmente un solo compito e hanno fallito. Se questa agenzia vuole andare avanti, i responsabili devono pagarne le conseguenze».

Ma la critica ha assunto subito anche una dimensione “di genere”, dato che almeno tre agenti di prima linea della scorta di Trump quel 13 luglio erano donne (oltre alla leadership femminile, come abbiamo visto): in un video si vede una delle donne, nella concitazione, armeggiare maldestramente con una pistola, tentando di rimetterla nella fondina senza riuscirci; un’altra non ha gli occhiali da sole (necessari per proteggere gli agenti da eventuali lampi dovuti a spari o esplosioni), e li inforca quando Trump è già sull’auto. Una foto che è già stata ripresa in innumerevoli meme mostra una delle agenti, di statura non particolarmente alta e apparentemente anche sovrappeso, accucciarsi dietro Trump per proteggersi dagli spari anziché fare il suo lavoro cioè l’opposto (vedi foto qui sotto). Nel complesso i commentatori parlano di una condotta inconcludente e indecisa delle agenti di servizio, ad esempio così si è espressa la giornalista indiana Akshita Nandagopal: «Il Secret Service ha agito in modo confuso, in preda al panico e totalmente fuori controllo… Il confronto non regge con i nostri commandos del SPG!» (il servizio di sicurezza del Primo Ministro indiano).

agente donna trump
A sinistra, la agente del servizio di protezione presidenziale che si accuccia pensando a proteggere se stessa.

Qualità o inclusività?

Chiaramente non si può generalizzare la condotta di singole persone a un’intera categoria. Ma al fondo di questa critica c’è una problematica che a nostro avviso va presa in considerazione: quella del “diversity hiring”, la “politica inclusiva” (un equivalente delle nostre “quote rosa”) che viene spinta in molti settori negli USA – comprese forze armate e forze dell’ordine – sotto la direzione dei DEI, i “dipartimenti per la parità e l’inclusione”. Non solo i DEI (foraggiati dalle politiche ESG e sotto l’occhio benevolo del governo centrale “dem”) riscrivono le policies di imprese, università, aziende, enti pubblici nel senso dell’obbligo a rispettare determinate quote “razziali” (il che si traduce spesso in privilegi, sconti, vantaggi vari per determinate etnie, o addirittura campagne di assunzioni vietate ai bianchi) ma lo stesso vale per le minoranze arcobaleno e, manco a dirlo, per le donne. Ad esempio Kimberly Cheatle, la già menzionata direttrice del Secret Service responsabile della sicurezza del comizio di Trump, è una strenua sostenitrice della necessità di «attrarre candidati da ogni categoria e offrire opportunità di prestare servizio a tutti, specialmente le donne», per le quali ha pianificato il raggiungimento di una quota del 30%, nel Secret Service, entro il 2030. Chiamando perfino una influencer di YouTube a fare l’addestramento come show per i suoi follower, allo scopo di rendere più “appetibile” questo tipo di carriera per le giovani donne.

Il piccolo problema è che l’uomo adulto medio è fisicamente più forte e prestante della quasi totalità delle donne, come dimostrato dalla ricerca empirica: ne deriva che una politica di inclusione “necessaria”  nell’ambito delle forze dell’ordine e forze armate comporta un altrettanto “necessario” abbassamento degli standard fisici e di prestazione legati al reclutamento e all’addestramento (qui un esempio di doppio standard riguardante proprio l’inclusione nel Secret Service). Di fatto questa politica di inclusione a tutti i costi, a causa dei doppi standard offerti per l’ammissione e l’addestramento e anche dei privilegi e trattamenti di favore riservati alle categorie “protette” che entrano nelle forze di difesa, comporta un abbassamento degli standard di performance ed efficacia e quindi risulta in una situazione di indebolimento generale dei corpi responsabili della protezione della collettività e un maggior rischio per tutti (un’analisi più approfondita di questa problematica si può leggere qui). Matt Walsh, autore per DailyWire (lo avevamo conosciuto per il documentario sull’ideologia gender What is a woman?) ha commentato così la prestazione del Secret Service al comizio di Trump: «Non ci dovrebbe essere nessuna donna nel Secret Service. Questi agenti dovrebbero essere i migliori in assoluto, e nessuno dei migliori in assoluto in questo tipo di lavoro è una donna». Non è detto: gli attributi fisici secondari legati ai due sessi hanno una distribuzione “a campana” con aree che si sovrappongono e estremi che non si toccano; e i fattori individuali sono tanti e tali, per cui può benissimo darsi che una donna arrivi all’eccellenza in questo campo così come nello sport e in altri campi dove è predominante la prestanza fisica. È però un dato certo che non si può pretendere di generalizzare questa possibilità, come se non ci fosse differenza alcuna tra i due sessi, per cui spingere a quote “necessarie” di “inclusione” in modo indiscriminato e generalizzato finisce inevitabilmente per abbassare la qualità e l’efficienza di un servizio a favore dell’imposizione di un’ideologia. Quindi: libertà per tutti di accedere a ogni campo, sicuramente, ma pretendendo gli stessi standard di ammissione e prestazione, senza sconti per particolari categorie. E senza promuovere ossessivamente l’inclusione di qualsiasi categoria in qualsiasi campo. Rispettare le differenze tra categorie e gruppi sociali è la chiave perché ciascuna trovi i propri campi di eccellenza, e ciascuno raggiunga l’eccellenza in ciò che è naturalmente portato a fare meglio.



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