Donato Mitola era Cultore della materia di bioetica presso l’Università “Aldo Moro” di Bari. Diciamo “era” perché settimana scorsa è stato sospeso dal suo Rettore, Prof. Stefano Bronzini, per una faccenda riassumibile nell’imperdonabile reato di “lesa maestà”. I fatti: durante una lezione su Zoom, il docente illustra una delle tante tesi controverse che si possono trovare nell’ambito della bioetica. Nella trattazione viene contrapposta la naturale razionalità maschile all’altrettanto innata emotività femminile, arrivando a dire che, a rigore, le donne non dovrebbero svolgere il ruolo di giudici proprio perché troppo emotive ed empatiche rispetto agli uomini. Poco dopo, per rendere probabilmente più dilettevole la lezione, utilizza come slide la famosa e chiaramente ironica rappresentazione dei due cervelli, quello maschile e femminile, l’uno dominato dal sesso e l’altro dal mal di testa. Una roba palesemente goliardica, che gira sul web da decenni, di cui il Prof. Mitola non è certo l’autore.
Un allievo del professore posta sui social lo spezzone dedicato ai giudici donne e un giornalista, tale Massimiliano Scagliarini di “La Gazzetta Web”, lo rilancia su Twitter, probabilmente sapendo che si sarebbe scatenato l’inferno. Che infatti si scatena. Scagliarini coglie l’occasione per spingere su questa specie di “scoop”, accanendosi contro Mitola, “reo” anche di essere contro l’aborto. Probabilmente a Scagliarini non par vero di aver agganciato una notizia in grado di metterlo al centro dell’attenzione e delle ovazioni di tutti per aver scovato l’ennesimo misogino maschilista (e chissenefrega delle conseguenze). A cogliere la palla al balzo è allora Serenella Molendini, anche lei pugliese, ma soprattutto Consigliera di Parità supplente presso il Ministero del Lavoro. Non vorremmo spendere troppe parole a parlare di costei, invitiamo tutti a visitare il suo profilo Facebook e a leggere cosa scrive. Due su tutte: critica il governatore pugliese Emiliano per non aver rispettato il “50 e 50” dei due generi nella composizione della Giunta, proprio lei che fa parte di un Comitato “di parità” composto al 100% da donne. Non solo: la Molendini filosofeggia anche sull’uso della dicitura “rettrice” invece di “rettore”, collegando la cosa a dinamiche di potere. Insomma, il profilo della femminista stolidamente ancorata al proprio dogmatismo è pienamente rispettato.
Una ritorsione priva di giustificazioni razionali.
La Molendini prende a cuore la terribile faccenda del Prof. Mitola e, a quattro mani con la Consigliera di Parità titolare, Francesca Bagni Cipriani, scrive una lettera al Rettore dell’università. Non siamo riusciti a trovarla in un formato leggibile, quindi ci si deve accontentare dei brandelli riportati dalla stampa locale. La lettera definisce le frasi del professore “terribili, ingiustificabili e discriminatorie” e segnala l’utilizzo dell’immagine dei due cervelli come qualcosa di aberrante e inaccettabile. Per quel poco che si distingue, il resto della lettera è il solito mix di piagnisteo vittimista e di diktat. Con essa le due consigliere chiedono la testa di Mitola, senza tante storie. I circoli universitari di sinistra si accodano subito obbedientemente producendo al Rettore lo stesso tipo di richiesta. In breve il Magnifico Prof. Stefano Bronzini cede, sospende il Prof. Mitola e, probabilmente nel timore di finire sulla graticola del clima pre-25 novembre, si prosterna cospargendosi il capo di cenere su tutti i giornali locali. Il giornalista Scagliarini e la Molendini, ognuno per la propria parte, gridano alla vittoria sui loro social. Per causa loro una persona ha perso il lavoro, evviva!
Si tratta di un fatto davvero preoccupante, per alcuni motivi precisi. Nel merito: il Prof. Mitola stava illustrando alcune tesi: che lui stesso le condivida o meno è irrilevante. Stava facendo il suo mestiere. Inoltre si tratta di tesi trattate da anni ai massimi livelli da varie scienze umane, dalla sociologia alla psicologia. È proprio da quelle elaborazioni che nascono taluni vantaggi oggi riconosciuti alla sfera femminile. La donna che sopprime il proprio figlio neonato sulla spinta del “baby blue”, o depressione post-partum, oltre a venire compatita da tutti, non subisce in genere alcun contraccolpo giudiziario. In quel caso alla sua emotività fuori controllo viene dato un nome e una dignità scientifica riconosciuta, i suoi effetti (anche se letali) vengono tollerati e guai a mettere in discussione il tutto. Se però quella stessa emotività viene evocata sotto un altro aspetto, allora tutto diventa intollerabile e inaccettabile. Due pesi e due misure, come sempre. Di fatto, in questo caso, una ritorsione priva di giustificazioni razionali.
Ci uniamo alla richiesta di reintegro per il Prof. Mitola.
Cosa ancor più grave, la sospensione del Prof. Mitola non ha giustificazioni neanche nel metodo. Lo spiega bene l’Associazione L.U.I. – Lega degli Uomini d’Italia, che ha inviato ieri pomeriggio una lettera al Rettore Bronzini per chiedere l’immediato reintegro del docente, secondo un ragionamento che non fa una piega: quand’anche Mitola credesse nelle tesi che stava illustrando, oltre al fatto che in Italia vige la libertà di espressione (Art. 21 della Costituzione), le dinamiche accademiche richiedono che egli venga smentito da altri studiosi, portatori di argomenti diversi e innovativi. Già durante la lezione, si vede dallo spezzone video, qualcuno contesta il Professor Mitola, segno che la dialettica universitaria esiste e viene esercitata. Altro conto è tappare la bocca e sanzionare un docente per ciò che dice ex cathedra. Quella è roba da ventennio fascista, da Terzo Reich o da regime sovietico. Lì accadeva davvero che soggetti esterni all’università vigilassero sull’ortodossia dei docenti, denunciandoli nel caso scantonassero. Camicie nere gli uni, camicie brune gli altri, stella rossa gli altri ancora: sistemi totalitari, che oggi rinascono vestiti di rosa, con la stessa pulsione oppressiva e censoria e le stesse pavidità che li assecondano facendoli crescere ulteriormente.
Quando le femministe decidono di sferrare un attacco a qualcuno, la prima cosa che fanno è tentare di rovinarlo facendogli saltare il posto di lavoro. Se n’è accennato lunedì per la vicenda del nostro Davide Stasi, ma è cosa vera da anni, dal dilagare del #MeToo, un movimento atto anzitutto a ottenere ricchi risarcimenti a distanza d’anni, a recuperare carriere agonizzanti, ma anche a rimuovere persone dal proprio posto di lavoro, magari per affidarlo a qualche soggetto femminile. Ed è qualcosa che ovviamente non funziona a parti invertite: il Prof. Mitola, che abbiamo provato a contattare ma che, a parte un comunicato indiretto, si è chiuso nel tipico mutismo scioccato di chi subisce queste fascio-comunisterie, è stato sospeso perché faceva il suo lavoro. Di contro, un esempio recente tra i tanti, Giorgia Gaggiotti, Consigliera di Parità di Gubbio, dopo aver detto che le istanze espresse dagli uomini sono “peti cerebrali”, si è presa una blanda tirata d’orecchi e resta tranquillamente al proprio posto. Tutto questo è preoccupante, puzza in modo insopportabile e crescente di quella putrefazione civile che le tirannie portano sempre con sé. Avanti così e una reazione uguale e contraria non sarà più contenibile. Anche per questo, per evitarla, ci uniamo alla richiesta dell’Associazione L.U.I. per il reintegro del Prof. Mitola e per l’invito alla comunità accademica a smentire nei fatti e con argomenti le sue tesi, ribellandosi a un vergognoso bavaglio. Naturalmente invitiamo chiunque voglia sostenere questa posizione a esprimersi in questo senso scrivendo al Rettore dell’Università di Bari, Prof. Stefano Bronzini (rettore@uniba.it).