Del DDL 1762 abbiamo parlato non appena è entrato nei nostri radar. L’abbiamo fatto con grande preoccupazione e allarme, ma la reazione media dei lettori è stata piuttosto tiepida, quasi rinunciataria. Evidentemente, dovendo analizzare la proposta di legge nel dettaglio, nel nostro articolo non siamo riusciti a trasmettere il potenziale di sovversione e pericolo che questo disegno di legge porta con sé. Dunque vale la pena riprovarci, specie ora che il suo testo, blandamente emendato in Commissione Affari Costituzionali, è stato approvato in Senato. Si badi bene: all’unanimità. Non un voto contrario. L’approvazione è avvenuta il 25 novembre, non a caso. Su questo torneremo dopo. Restiamo sulla proposta di legge. Non per spiegarla, l’abbiamo già fatto nell’articolo precedente, e il passaggio in Commissione l’ha modificata aggiungendo qualche vincolo che non ne cambia però la natura. Inoltre oggi pomeriggio un articolo del nostro Fabio Nestola (che vi consigliamo di non perdere) entra nel merito della questione dal lato tecnico, chiarendo ancora di più e meglio la faccenda. Vorremmo qui cercare piuttosto di spiegare perché questa legge è un “piccolo golpe”.
In ogni paese le statistiche hanno un grande valore perché contribuiscono a determinare le scelte politiche dei governi e dei legislatori. Rilevazioni di alti tassi di disoccupazione inducono a politiche che cercano di favorire il reperimento del lavoro, alti tassi di povertà inducono politiche di assistenza alle fasce deboli della comunità, e così via. Serve, proprio per questo, che le statistiche siano le più oggettive e precise possibile, che si basino su fatti concretamente enumerabili, contabili, e il pasticcio dei numeri relativi alla diffusione del covid dimostra quanto la scarsa chiarezza nei numeri possa portare confusione e talvolta anche panico. Ebbene, sul tema della violenza di genere, non esistono rilevazioni chiare e univoche. Da quasi 15 anni ci si muove su indagini campionarie, una variante dei “sondaggi d’opinione”. Si interroga un campione minoritario, si proiettano i risultati sull’intera popolazione e si trae così una stima, cioè un’ipotesi relativa a un fenomeno. Qui sta una delle chiavi: come comunicare all’opinione pubblica quella che è una mera ipotesi statistica? La prassi è di forzare e falsificare, spacciandola come fatto assodato. Nel 2006 prima, poi nel 2014, l’ISTAT ipotizza che le donne vittime di violenza siano svariati milioni in Italia. I dati reali, enumerabili e altre indagini internazionali smentiscono nettamente la stima, ma i media dicono comunque che quei milioni esistono davvero: i giornali scrivono che le donne vittime di violenza “sono”, non “potrebbero essere”, milioni. Cambia il modo verbale e cambia l’intero racconto della realtà.
Rimane un colpo di Stato con tutte le sue carte in regola.
Chi studia la statistica ci criticherà per questa presa di posizione. Dice: se un’indagine campionaria è ben impostata dal lato del metodo, sicuramente si avvicinerà molto alla realtà delle cose. Vero, ed è lì che casca l’asino. Nessuna delle indagini statistiche promosse sul tema dall’ISTAT può legittimamente dirsi metodologicamente corretta. E sfidiamo qualunque statistico di professione a dire il contrario. Sbagliato il questionario somministrato al campione, sbagliato il modo con cui viene somministrato, sbagliato il modo con cui vengono registrate le risposte. Chiedere a una donna: “è mai capitato che un uomo abbia criticato il tuo modo di cucinare?”, significa indurla a rispondere “sì”. Come può non essere mai capitato? Se poi si era trattato di una critica blanda e amorevole o di una protesta violenta, non è rielvante, non vengono date alternative in questo senso, così la risposta va a comporre un mosaico voluto per dare l’immagine di un paese dedito alla violenza contro le donne sotto ogni profilo, fisico, psicologico, sessuale ed economico. Ma non è tutto: investigare la violenza uomo-contro-donna è di fatto una limitazione del campo d’indagine che ha come presupposto che non esistano altri tipi di violenza: quella delle donne verso gli uomini, degli uomini verso gli uomini, delle donne verso le donne. O ancora di chiunque verso anziani, bambini e disabili. O ancora all’interno delle relazioni omosessuali. L’ISTAT, con i soldi pubblici, indaga da sempre, e con metodi più che discutibili, soltanto la frazione di un problema dalle moltissime sfaccettature, che scompaiono tutte proprio per l’assenza di dati. Il cittadino ordinario che non ha mai sentito né visto numeri ufficiali (né notizie sui media) su altri tipi di violenze, è indotto a pensare che non esistano. A casa nostra si chiama manipolazione delle coscienze.
Si tratta di un’anomalia segnalata da anni e per anni, eppure mai corretta. Il perché è facile da capire per chi segue queste pagine (e per chi vuole ragionare sui fatti): da quelle statistiche inaffidabili si trae la giustificazione primaria per tutta una serie di questioni cruciali dal lato economico, politico e non solo. Numerosissime leggi “al femminile” hanno in premessa le conclusioni prive di rilevanza delle indagini ISTAT. Su di esse si basa tutta intera l’informazione pubblica in materia e tutto il business che ruota attorno ai centri antiviolenza e a quella che noi chiamiamo amichevolmente talvolta l’Antiviolenza S.r.l., talvolta Ro$a No$tra. Non è un caso che Davide Stasi, nel libro in cui ha smontato pezzo per pezzo la manipolazione dell’ISTAT, l’abbia chiamata “la madre di tutte le mistificazioni”. Ora, però, che c’entra tutto questo con il DDL di cui parliamo? Ebbene, quella legge impone alcune cose ben precise: 1) l’obbligo per l’ISTAT di fare ogni tre anni ricerche sulla violenza maschile contro le donne. Dunque ogni altro tipo di ricerca su altri tipi di violenza rimane opzionale e priva di fondi, cioè impossibile da fare. Di conseguenza per tutti in Italia esisterà un solo tipo di violenza e di emergenza, le altre non esisteranno. Si dirà: anche oggi è così. Vero, ma con questa norma la falsificazione sarà un obbligo di legge. 2) ISTAT dovrà condurre quelle sue ricerche periodiche solo ed esclusivamente utilizzando i metodi e il questionario ingannevoli già utilizzati due volte in precedenza, tanto che i quesiti sono stati inseriti, cosa mai vista, come allegato nella norma stessa. La manipolazione dei dati e il condizionamento delle coscienze si fa legge dello Stato, in barba all’autonomia dell’ISTAT e alla realtà delle cose. Questo Parlamento, in altre parole, sta tentando di istituzionalizzare la bugia, né più né meno. Per questo ci sentiamo legittimati a chiamarlo “piccolo golpe”, dove l’aggettivo “piccolo” si giustifica solo per il non utilizzo di armi, non per altro. Per il resto rimane un colpo di Stato con tutte le sue carte in regola.
Un momento che speriamo non arrivi mai.
C’è però un altro aspetto da sottolineare, il più grave di tutti. Ed è l’unanimità con cui questo colpo di Stato è stato approvato al Senato il 25 novembre scorso. Quell’unanimità significa due cose alternative. Conformismo, anzitutto, da parte dei molti che sicuramente l’hanno votato con convinzione, ritenendo che sia una norma sacrosanta. I conformisti sono sempre stati il cancro della democrazia. Quando poi la democrazia è malata come lo è la nostra, diventano la metastasi che soffoca e uccide l’organismo. Gli anticorpi ci sarebbero, e sono i molti senatori che in cuor loro avrebbero votato contro, pienamente consapevoli che si tratta di una legge che grida vendetta per la sua violenza istituzionale, ma non l’hanno fatto per paura ed è questo il secondo aspetto spaventoso. Nessuno di loro si è azzardato a votare contro il moloch del femminismo politico-economico nella sua giornata di celebrazione internazionale. Era calcolato, all’interno di un piano di comunicazione preordinato, che la politica desse un segnale proprio quel giorno. Una sorta di adunata generale per vedere chi è dentro e chi è fuori, chi è fedele alla linea e chi no. Tutti hanno risposto “presente”, anche gli oppositori, semplicemente per paura. È questo genere di pavidità che permette l’instaurazione dei regimi tirannici. In molti pensano a salvarsi nell’oggi, convinti di essere immuni dal tritacarne che hanno permesso ad altri di realizzare. Pensano che l’inferno riguarderà altri. Ma la storia insegna che per gli Efialte c’è un destino segnato e i senatori presenti alla votazione di questa legge il 25 novembre 2020 non verranno dimenticati.
Dunque riproviamo oggi a risvegliare tutta la società civile dal torpore. Gli uomini anzitutto, bersaglio predestinato di questa norma: il sussistere della loro violenza contro le donne sarà affermata e certificata per legge come qualcosa di innato e diffuso a macchia d’olio, anche se ciò non corrisponde al vero. Se il DDL passerà anche alla Camera, la loro colpevolezza primigenia, già dichiarata in ogni sede, avrà una certificazione effettiva in numeri pilotati, aprendo le porte a tutta una serie di possibili conseguenze: tribunali e legislazione specifica e dedicata, come in Spagna, doppio standard come regola di condotta di magistrati, datori di lavoro, uffici pubblici. Lo stigma di “figli di un Dio minore”, di “giudei del nuovo Reich in rosa” sarà cosa fatta, a norma di legge e di statistiche ufficiali. Ma anche le donne sono chiamate in causa: tutte hanno padri, fratelli, mariti, fidanzati o figli. Costoro si troveranno come le madri di Plaza de Mayo a cercare i loro congiunti resi desaparecidi dal lato civile e sociale, trasformati in reietti da un’accolita minoritaria di fanatiche affamate di denaro e potere a cui nessuno, quand’era il momento, è stato capace di opporsi. Noi il nostro dovere l’abbiamo fatto e continueremo a farlo: il nostro grido d’allarme l’abbiamo lanciato, con oggi, ben due volte. Nessuno potrà dire che “non sapeva”. E di questo passo, se ancora nessuno muove un muscolo, si renderà presto necessario portare lo scontro su un nuovo livello, più alto ed efficace. Un momento che speriamo non arrivi mai. Dipende molto da quanto ancora perdurerà l’inerzia dei molti, da quanti saranno quelli che si sveglieranno e si opporranno ora che stanno plasmando il futuro di tutti sulle direttrici di un’ingiustizia certificata dalla legge attraverso una statistica di regime.