Oggi vi prendo per mano e vi porto a fare un giro. Non sarà una passeggiata di piacere, vi avverto subito. Anzi, come Virgilio con Dante, vi condurrò a dare un’occhiata a un pezzo d’inferno o, più modestamente e meno poeticamente, alle latrine della nostra contemporaneità. Intendo mostrarvi qualcosa che riguarda la comunicazione, i mass-media e l’informazione. No, non parlerò dello sfondone di Mentana sul tizio con il lanciafiamme «forse nei sobborghi di Washington», e nemmeno del commento di Corrado Augias a un’email di phishing. Quella è roba che si commenta da sé e denota alla perfezione quale sia il gap siderale tra la realtà e chi pretende di raccontarla senza avere gli strumenti per la sua codifica. Vorrei insomma portarvi oltre il girone dell’incompetenza per mostrarvi in chiaro quello della malafede e della manipolazione. Vi va di seguirmi? D’accordo, allora andiamo.
Il punto di partenza è il consiglio comunale di Cogoleto, una piccola cittadina rivierasca del ponente genovese. Qualche giorno fa, lo ricorderete, alcuni consiglieri della Lega sono finiti al centro della bufera, accusati di aver fatto il saluto fascista durante una seduta, e proprio nella ricorrenza del “Giorno della Memoria”. La polemica è dilagata in ogni angolo d’Italia, su tutti gli organi d’informazione e ovviamente sul web e i social network. Un’ondata di riprovazione si è abbattuta sui tre consiglieri, immortalati ovunque con il braccio destro alzato. Le immagini parlano chiaro, sono inequivocabili. “Ma cosa è girato nel cervello di quei tre imbecilli”, viene da chiedersi, mentre nasce spontaneo un embrione di dubbio che in effetti qualche recrudescenza di fascismo nel nostro paese ci sia. Qua e là sul web fanno capolino le dichiarazioni dei tre: «stavamo solo votando!». Ma è un pigolio impercettibile, sovrastato dalle tonanti prese di posizione di opinion makers e politici:
La tempesta di merda soffoca i tre “nostalgici” per svariate ore ed è talmente potente da indurre il loro partito a sospenderli, sebbene già circolasse in rete, ignorato e segregato tra profili poco seguiti, il video della seduta incriminata. Questo:
Era vero, i tre stavano soltanto votando, nessun saluto fascista. Alzano il braccio in modo automatico e svogliato, ma sfido chiunque a farlo con entusiasmo stando all’opposizione nel consiglio di un piccolo comune, a votare provvedimenti sulla «disciplina del canone di occupazione del suolo pubblico». Come che sia, i tre non stavano facendo il saluto romano. Nonostante questo, la tempesta non si è calmata e la Lega, con una pusillanimità olimpica, ha confermato la sospensione dei tre consiglieri, che ora cercheranno di ottenere ragione querelando il sindaco che ha diffuso la foto e la fake news. Ma sarà inutile. Di fatto i tre sono marchiati a vita e la nomea della Lega come partito “nostalgico” esce rafforzatissima da questa falsificazione.
La non-verità nell’epoca della post-democrazia.
Ma perché, per la nostra passeggiata nella latrina, vi mostro una faccenda che non ha a che fare con le nostre tematiche usuali? Semplice: perché è un paradigma, un modello, uno standard. Tecnicamente, dal punto di vista della comunicazione, è ormai una prassi trasmettere all’opinione pubblica soltanto una minima frazione della verità: un frame, una foto, una parte parziale dei dati. Tutto scelto accuratamente per sostenere una versione ben precisa e settaria della realtà. A quegli scampoli selezionati con dovizia si accompagna poi sempre una narrazione mistificata, tramite una lettura ideologica delle immagini o dei dati. Sono tutte cose che si sono sempre fatte in realtà: la novità sta nella potenza penetrativa di queste falsificazioni, che ha raggiunto livelli impensabili in passato. Chi fabbrica queste falsità sa perfettamente ciò che sta facendo. Sa anche che con buona probabilità arriverà qualcuno a smentirlo, ma non ha timori in questo senso. È consapevole che la potenza di fuoco espressa è tale, e dall’altra parte l’inerzia e l’indottrinamento dell’opinione pubblica sono ormai così cronicizzati, che comunque la verità distorta resterà la verità di tutti. E se giungerà qualcuno un po’ più convincente del solito a smentirla, è sempre pronto il cannoneggiamento delle etichette: fascista, razzista, omofobo, misogino, eccetera. La chiave per godervi la nostra passeggiata è dunque questa: la assoluta e sfacciata tranquillità con cui specifici gruppi di potere manipolano e impongono una verità, la loro, quella più vantaggiosa, che come tale è una non-verità. La non-verità nell’epoca della post-democrazia.
Andiamo avanti nella nostra passeggiata tenendo sempre presente il “modello Cogoleto” e affrontiamo ora la recente notizia per cui la crisi pandemica ha generato un’enorme perdita di posti di lavoro. In particolare, dice la notizia che è circolata in questi giorni, nel dicembre 2020 gli impieghi sfumati sono stati 101 mila, di cui 99 mila femminili e soltanto 2 mila maschili. È perfettamente inutile che io faccia riferimento qui a qualche articolo che abbia riportato queste statistiche rilevate dall’ISTAT come un orrore, uno scandalo assoluto, nonché la dimostrazione della sussistenza in Italia di un regime patriarcale, sessista e maschilista. Tutto il fronte femminista su questi dati ha festeggiato per un paio di giorni, evacuando articoli e articolesse indignate a getto continuo. Eppure anche qui in realtà è stato utilizzato il “metodo Cogoleto”. Il dato riportato infatti riguarda l’andamento dei posti di lavoro nel solo mese di dicembre 2020. Un dato talmente parziale da essere pressoché irrilevante, tanto che se si va a vedere il dato di ottobre 2020 le proporzioni sono esattamente rovesciate, con uno sfacelo di uomini che ha perso il lavoro rispetto alle donne. Per trovare dati più più sensati occorre andarsi a cercare l’intera ricerca ISTAT e lì scovare che in tutti i 12 mesi del 2020 si sono persi 444 mila posti di lavoro, di cui il 30% maschili e il 70% femminili. Un dato che conferma il trend registrato a dicembre, ma su proporzioni decisamente diverse. Non solo: nel 2020 è cresciuto moltissimo il dato delle persone “inattive”, cioè quelle che non si danno da fare per cercare lavoro. In particolare nel 2020 gli inattivi donna risultano complessivamente quasi il doppio degli inattivi uomini, e nel confronto 2020/2019 le prime sono triplicate rispetto ai secondi.
Il punto più basso della cloaca.
Eppure la notizia che, nonostante la crisi feroce, gli uomini si diano decisamente più da fare delle donne per trovare lavoro non è passata. Così come non passa un’analisi dei tipi d’impiego perduti, che servirebbe a capire perché la crisi abbia inciso così pesantemente sul lavoro femminile. Si scoprirebbe che le perdite riguardano quel tipo di professioni a bassa specializzazione e con scarse tutele contrattuali (camerieri, collaboratori domestici, operatori sanitari, segretari), molte delle quali appannaggio quasi esclusivo delle donne. Anche in questo caso la notizia non è stata una riflessione sul tipo di scelte professionali femminili, usualmente tali da non garantire resistenza a fenomeni congiunturali improvvisi e gravi. Non è stata una proposta di revisione del diritto di famiglia che riconosca all’uomo il suo ruolo paterno di cura, per consentire alle donne di liberare il proprio potenziale professionale e far sì che le giovani non siano indotte troppo spesso a scegliere percorsi formativi e professionali deboli. No, ci si è limitati al piagnisteo vittimista: si è mostrato al pubblico il fermo-immagine, un dato parzialissimo, e lo si è mistificato a dovere raccontandolo come dimostrativo di una verità settaria. Che da quel momento è diventata la verità tout-court. Con la stessa tecnica oggi si dice che una donna è vittima di violenza ogni 15 minuti, una bugia che deriva da un dato della Polizia di Stato che registrò una denuncia (dato di per sé irrilevante) ogni 15 minuti in media nel solo mese di marzo del 2019. Di nuovo un dato parziale (qui la fonte, pagina 14), un’istantanea che, debitamente manipolata e mistificata, diventa verità diffusa tramite una sua ripetizione ossessiva.
Che c’è, vi gira la testa? L’odore della latrina è troppo forte? Ve l’avevo detto che non sarebbe stata una passeggiata di piacere. Ma siamo quasi in fondo, tranquilli. Stiamo per toccarlo, anzi. E per farlo basta parlare di “femminicidio”. Tutti hanno seguito la vicenda della tragica morte della giovane leccese accoltellata dall’ex. È la terza vittima in pochi giorni, dopo quasi un mese in cui non è accaduto nulla, ma è bastato per far esplodere la propaganda femminista secondo le solite modalità, con tanto di pasticci e imbrogli di cifre laddove la Senatrice Valeria Valente (che dovrebbe avere il conteggio sempre sulla punta delle dita) parla di sei persone, l’associazione “Io Donna” addirittura di dieci, mentre il sito “femminicidioitalia.info” ne conta quattro. Niente di sorprendente: è su quei giochetti di cifre che si basa una propaganda molto mirata e martellante, cui si associano obbedienti i mass media. Si sono infatti subito letti titoli come “la strage delle donne” (su La Nazione) di fronte a un numero di vittime che si conta sulle dita di una mano, mentre i morti sul lavoro (tutti uomini) da inizio anno sono la bellezza già di 48. Insomma il fatto di Lecce ha innescato il solito circo dell’orrore e della disinformazione, che ha agito applicando anche qui il “metodo Cogoleto”. Sappiamo infatti tutto della povera giovane morta accoltellata, quella è l’istantanea che viene trasmessa a reti unificate, con ciò omettendo alcuni dettagli non irrilevanti: l’omicida è uno sbandato, senza fissa dimora, una persona disturbata dal lato psichiatrico che aveva già subito dei ricoveri, pregiudicato e già ampiamente segnalato come persona pericolosa. Per di più il suo obiettivo pare fosse il nuovo fidanzato della ragazza, non la ragazza stessa (se è vero, emergerà dal processo). Sembrano dettagli da nulla, ma in realtà trasformano il “femminicidio” in un omicidio ordinario (posto che anche il “femminicidio” lo è…) e, se diffusi, stroncherebbero tutta la narrativa femminista che ne è scaturita. E che invece si è imposta con la sua tranquilla e sfacciata pervasività presso tutta l’opinione pubblica.
Si arriva così nel punto più basso della cloaca dell’informazione italiana odierna. Siamo là dove è possibile un virtuosismo impressionante: sommare diverse mistificazioni ottenute con il “metodo Cogoleto” per ottenere un effetto moltiplicatore su una menzogna ancora più colossale. Sembra impossibile, invece si può fare. Per lo meno loro lo possono fare, lo si è detto, nella totale impunità e con la più paciosa nonchalance. Ed ecco dunque il punto più basso della latrina, gentilmente offerto da “Il Fatto Quotidiano”:
Bisogna volerne uscire sul serio.
L’articolo così titolato è il virtuosismo di cui si diceva, realizzato da tale Cristina Sivieri Tagliabue, che scrive per dire due cose essenzialmente. Una di natura puramente emotiva, di quelle che parlano “alla pancia”, anzi più profondo: all’intestino crasso delle persone. Ed è quando declama fin dal titolo «ci stanno facendo fuori». Non è un titolo, è un grido d’aiuto, è un SOS lanciato da un’intera comunità vittima di una persecuzione secolare e oggi, così sembra dall’urlo che proviene dal monitor, quasi a rischio estinzione. Questa greve trovata emozionale serve per introdurre una seconda cosa, appunto il virtuosismo, l’utilizzo delle due mistificazioni sommate, sintetizzabili nel concetto: ci ammazzano come mosche e ci tolgono pure il lavoro. Ad esse aggiunge anche scampoli di una terza mistificazione, relativa all’inaugurazione dell’anno giudiziario, che però non approfondisce perché sa quanto sia scivoloso quel terreno: il Procuratore Generale ha infatti parlato di calo dei reati, aumento delle denunce (statistica che non significa nulla) e ha dato un contentino mentendo sull’aumento dei “femminicidi”. Tutto falso, ovviamente, e il modo di esporre le cose della Sivieri Tagliabue lascia trapelare la consapevolezza della manipolazione (come quando dice «siamo alla preistoria della parità»). Ma la Tagliabue fa tutto questo per mandare quale messaggio? Il solito: dateci i soldi. Il Recovery Fund o la vita! Dopo aver falsificheggiato su posti di lavoro persi e sulle violenze/femminicidi, il messaggio è chiaro. Certo tutto è detto molto furbescamente, tramite uno slogan privo di senso compiuto ma di nuovo molto emozionale («nessuna si salva da sola»), seguito da «occorre che lo Stato ci difenda».
Non posso dirvi, perdonatemi, che al termine di questa passeggiata torniamo a riveder le stelle. La passeggiata in realtà era un pretesto. Quello che ho cercato di fare è di abbattere la scenografia multicolore che ci distrae e mostrarvi come in realtà tutti noi attualmente viviamo, ventiquattr’ore su ventiquattro: circondati da “falsari professionisti dell’informazione” e dai loro mandanti. Il tour nella latrina della comunicazione moderna era solo un tentativo per mostrarvi e dimostrarvi che in quella latrina siamo immersi fino al naso. Provate d’ora in poi ad applicare il “metodo Cogoleto” come chiave di lettura delle cose più importanti che vi vengono comunicate dai media. Provate a verificare che non si tratti solo di istantanee parziali raccontate ad uso e consumo di qualcuno che dalla falsificazione abbia da trarne profitto. Ancora il web, finché è consentito, è un buono strumento di verifica e contro-analisi, e va utilizzato con saggezza da chi voglia provare a trascinarsi fuori dalla melma e a tornare davvero a riveder le stelle. Certo bisogna volerlo sul serio, e anche su questo occorrerebbe capire quanti di noi siano determinati da questo punto di vista e quanti invece si sono ormai avvezzati alla merda fino al naso tanto da starci così a proprio agio da non volerne più uscire. A spanne, i primi sono un manipolo, i secondi una moltitudine.