Il 22 settembre scorso si è tenuto on-line un convegno organizzato da D.I.Re., ovvero il coordinamento nazionale italiano degli interessi e dei giochi di potere legittimati dalla leggenda della dilagante violenza maschile contro le donne, operante attraverso la fittissima rete dei centri antiviolenza sparsi nel Paese. Le ampie risorse di cui godono queste organizzazioni e la loro legittimazione internazionale fa sì che ai loro convegni partecipi il gotha delle istituzioni. Ecco allora presenziare nientemeno che il ministro Cartabia, il ministro Bonetti e la senatrice Valente. Gli esiti immediati del convegno vengono presto sintetizzati in un post Facebook che, a leggerlo con attenzione, contiene un’escalation di aberrazioni. Dell’articolato intervento del Ministro della Giustizia si riporta un solo concetto riguardante la Convenzione di Istanbul, che «di fatto non è mai stata adottata nel nostro Paese», così dice. Vedremo tra poco nel dettaglio gli altri concetti espressi dal Ministro. Prima va sottolineata la frase estrapolata dall’intervento di Elena Bonetti (corsivi nostri): «il nuovo Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne che sarà concluso entro il 2023 contribuirà ad eliminare l’istituto della mediazione in materia di affidamento dei figli, che non dovrà basarsi più sulla tutela della bigenitorialità».
Si tratta di una frase che può essere definita con un solo aggettivo: violenta. Contiene in sé una tale quantità di pregiudizi ideologici e di settarismo discriminatorio e, se si vuole, di illegalità, che non può essere definita altrimenti. Per la Bonetti esiste soltanto una violenza in Italia, quella degli uomini contro le donne. A dispetto dei numeri reali, per il ministro essa è tale da richiedere un “Piano” dedicato. I colpevoli, per colei che sarebbe chiamata a tutelare le pari opportunità, sono gli appartenenti a un genere solo e in quanto tali vanno puniti. Come? Togliendo loro ogni possibilità di relazionarsi con i figli dopo la separazione. La frase del ministro slatentizza il suo pregiudizio: la “bigenitorialità” non è un diritto del minore, come riconosciuto ad ogni livello, ma un privilegio del maschio oppressore, che se ne giova anche quando violento e abusante. Una mistificazione: la legge vigente (L.54/2006) vieta l’affido a chi, madre o padre, venga riconosciuto colpevole di violenze. Il passaggio sotteso è un altro: il principio della bigenitorialità attualmente vigente verrà abolito di netto dalla possibilità data dal nuovo procedimento civile di definire “violento e abusante” un uomo anche soltanto a fronte di una denuncia a suo carico. Si polverizza così, senza una vera riforma della legge su separazioni e affidi (e qui sta l’aspetto a nostro avviso illegale), il diritto del minore ad avere due genitori, ma anche il già comatoso principio dell’innocenza fino a prova contraria e a sentenza. Un principio eversivo, una deriva alla spagnola. Torniamo allora a bomba: la frase della Bonetti è aberrante e violenta e sfidiamo chiunque a dimostrare il contrario.
Più condanne con i “tribunali speciali” per gli uomini.
Al sabba dell’odio antimaschile e antipaterno non poteva non aggiungersi una delle più attive condottiere del femminismo politico nell’attuale Parlamento, la senatrice Valeria Valente, che esulta perché nei processi civili di separazione non si parlerà più di “conflitto”, ma di “violenza”. Di fatto con “conflitto” i giudici da sempre definiscono la situazione dove una madre impedisce al padre di vedere la prole, portandolo all’esasperazione e a tentarle tutte dal lato giudiziario per poter esercitare i propri doveri di genitore. Già così la palese colpa materna veniva derubricata in una colpa condivisa. Con la riforma disegnata dal femminismo politico italiano ci sarà un ribaltone: niente più conflitto, si parlerà di violenza. Naturalmente dell’uomo nei confronti dell’ex moglie. Inoltre, trattandosi della Valente, non poteva mancare una norma “ad-Massarum”: viene abolito l’intervento della forza pubblica nel caso il minore rifiuti le decisioni di un giudice in materia di affidamento. In sostanza viene abolito lo strumento esecutivo della decisione di un giudice, si legalizza l’illegalità, si legittima la disobbedienza. I giudici che disporranno l’ablazione di un minore sapranno che non esistono mezzi per far eseguire il proprio decreto e dunque? Semplice: smetteranno di decretare le ablazioni. I minori così saranno destinati a rimanere con genitori giudicati, dopo molti esami e approfondimenti, inadeguati o dannosi. Il che capita in una manciata di casi a carico di alcune madri (mai capita al contrario), tra cui il simbolo di questa aberrazione, la spesso citata Laura Massaro. Strano che non le intestino direttamente questa riforma, sarebbe più che dovuto.
Tutto questo, si badi, non è teoria, non sono annunci compiacenti buttati lì da esponenti politici nell’ambito di un convegno organizzato dalla più potente lobby femminista suprematista del Paese. Questi sono fatti, decisioni già prese, modifiche di legge già in atto. È la famosa “riforma del procedimento civile”, cui l’Italia è forzata se vuole arraffare il mega-debito del recovery fund. Il femminismo politico tossico si appiglia allora con le unghie a questa forzatura per far passare ogni follia legislativa antimaschile e antipaterna tra quelle che aveva in agenda, in buona parte dettate e “coperte”, come abbiamo segnalato recentemente, da vere e proprie leggi europee. A dirigere l’orchestra di queste modifiche di legge che andranno a determinare il destino dei figli e dei padri del futuro è il Ministro della Giustizia, la blasonata giurista Marta Cartabia. Che nell’esordio del suo intervento (qui leggibile integralmente), dopo aver ringraziato la Bonetti e la Valente per i loro contributi alla modifica del processo civile, riconosce l’importanza fondamentale dei centri antiviolenza per il «supporto emotivo e psicologico» dato alle donne, «indispensabile a trovare la forza di denunciare». Oltre a esplicitare che tale supporto costa alle casse pubbliche svariati milioni di euro all’anno, noi modificheremmo la frase del ministro in “denunciare falsamente”: questo suggeriscono i dati. Ma ancora per poco: il prossimo passo, dettato dalla normativa europea, lo si è detto, saranno i “tribunali speciali” per gli uomini, creati apposta per incrementare le condanne.
Capite ora perché abbiamo chiesto perdono?
Colei che tira i fili della riforma della giustizia definisce poi preoccupante il fatto che «nella maggior parte dei casi i tribunali civili e per i minorenni non danno il giusto peso ai contesti di violenza, nonostante le denunce, i referti, le misure cautelari emesse in sede penale, declassandola a mera situazione di conflitto». Cioè il Ministro della Giustizia è preoccupata del fatto che i tribunali civili non prendano decisioni sulla base di prove o indizi che il giudice penale deve ancora valutare, e dunque in permanenza dello status di innocente per l’accusato, ma lo facciano ancora sulla base di vere e proprie sentenze di condanna, che è l’unico caso in cui di fatto lo status di innocente decade. Marta Cartabia è insomma preoccupata del fatto che i giudici rispettino il brocardo dell’innocenza fino a prova contraria. Alla faccia della blasonata giurista. E, lo ripetiamo, è lei a dirigere la riforma del processo civile. È lei ad auspicare una formazione più specifica degli operatori di giustizia sulla “violenza di genere” (intesa implicitamente come soltanto maschile verso le donne), tanto da aver sensibilizzato in questo senso anche la Scuola Superiore della Magistratura. Che dunque si organizzerà per indottrinare i futuri magistrati sulla base di due bugie: esiste un solo tipo di violenza, quella maschile verso le donne; si tratta di una violenza diffusa a livello emergenziale.
Ma è la conclusione del ministro a essere davvero rilevante: «il Ministero partecipa all’esperienza della Cabina di Regia diretta dalla Ministra Elena Bonetti per l’attuazione del piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023. […] Le leggi sono sì importanti e necessarie, ma da sole non bastano mai a cambiare i costumi, la cultura, lo stile delle relazioni – spesso basate sulla sopraffazione e sul dominio – in cui si radica la violenza di genere». Dunque abbiamo un Ministero della Giustizia partecipe a un pool chiamato a elaborare un piano che, escludendo gli uomini dal novero delle possibili vittime di violenza e includendoli tutti nella categoria dei violenti, opera sulla base di un’aperta discriminazione antimaschile. Non solo: nel riferirsi a costumi, cultura e a relazioni basate sulla sopraffazione e sul dominio, il Ministero dichiara ufficialmente di aderire in toto alla teoria femminista del patriarcato, dell’oppressione storica e attuale delle donne da parte degli uomini come modello strutturale incarnato nella società. Si tratta di un’adesione ideologica a un postulato destituito di ogni fondamento, settario e violentemente criminalizzante della metà esatta della cittadinanza nazionale, in spregio tra l’altro dell’Art.3 della Costituzione. Il Ministero lo fa suo e, diciamolo ancora, è lo stesso Ministero che sta riformando il processo civile e il processo penale, attuando direttive UE improntate a un esplicito odio verso gli uomini. Il tutto senza che nessuno muova un dito per fermarlo. Capite ora perché abbiamo chiesto perdono ai figli e ai padri del futuro?