Quello che ci viene raccontato praticamente ogni giorno è che il femminismo sia un’ideologia orientata alla parità, anzitutto, ma anche all’ecologismo, alla giustizia sociale, all’inclusione, alle relazioni empatiche, attente alle minoranze e ai sentimenti di tutti. In sostanza una filosofia di vita pacifica e giusta che si pone in netta contraddizione con la maschilità, cui si attribuiscono i caratteri deteriori della forza, della violenza, della competizione spinta, della gerarchia con le relative marginalizzazioni. In poche parole: il maschio significa guerra e ingiustizia, la femmina significa pace e giustizia. È sulla base di questo schematismo ipersemplificato che in molti, sempre troppi, auspicano “un mondo governato dalle donne” che, in quanto tale, sarebbe più quieto, pacato, sensibile ed equilibrato rispetto a quello che si è avuto finora, governato dal fantomatico “patriarcato”. C’è chi queste cose le afferma per puro spirito settario, chi per alimentare una propria visibilità personale o un business specifico, chi ancora per ritagliarsi una nicchia di potere, ma ciò che più conta è che una schiacciante maggioranza di persone, se interrogata, si direbbe a prescindere e genericamente d’accordo con le istanze femministe. Una delle chiavi della pervasività del femminismo è proprio questa: essere riuscito ad affermarsi su scala globale, trasversalmente ai generi e ai ceti sociali, come uno strumento di equità, giustizia e pace. In una parola come qualcosa di buono, che come tale non può essere messo in discussione.
Questi presupposti hanno creato e creano il brodo di coltura ideale per il fiorire di eccezioni, privilegi, primazie concesse non tanto alle donne in generale, quanto a chi esibisce la propria appartenenza o militanza al movimento femminista. Dall’altro lato quel brodo di coltura riesce a persuadere persone di ogni genere, comprese quelle apparentemente più lucide, del fatto che davvero si starebbe meglio se governati dalla sola componente femminile della società. Ciò crea quel fiancheggiamento silenzioso che approva ogni passo fatto dal femminismo politico nella direzione di una sorta di ginarchia sessista, dove l’essere uomo, in particolare se bianco ed eterosessuale, è equiparato ad appartenere a una razza divenuta inferiore dopo aver immeritatamente spadroneggiato la storia umana per secoli. Sul piano mistico, e solo sulla carta, il femminismo è la religione che innalza alla divinità il femminile, gettando negli inferi il nuovo Lucifero, rappresentato dal genere maschile. Tutta teoria, tutta filosofia, anzi ideologia, in realtà. Chiacchiere che si possono fare perché ancora il femminismo non è stato chiamato alla prova dei fatti. E questo deficit si deve in parte alla sua capacità di sottrarsi al confronto, da un lato, ma anche alle resistenze che in moltissime aree ancora vengono opposte al suo dilagare. Ci sono paesi come la Spagna, ad esempio, dove il femminismo politico è riuscito in vent’anni a instaurare un vero e proprio regime del terrore contrario a ogni carta fondamentale dei diritti dell’uomo. Purtuttavia in terra iberica non manca un’opposizione istituzionale, il partito Vox, che grazie ai suoi successi elettorali viene chiamato obbligatoriamente a dire la propria opinione sulle bugie femministe e, anche se in modo disorganico, non gliele manda a dire. È capitato qualche giorno fa, ad esempio, durante le celebrazioni per il voto femminile in Spagna, dove non si è potuto fare a meno di dare la parola a Macarena Olona, deputata di Vox, che ha a modo suo fatto a pezzi tutta la retorica mistificata delle femministe (video qui sotto, in lingua spagnola).
Nessuna remora ad aggredire la polizia.
Ma non è dappertutto così. Ci sono paesi che si sono consegnati totalmente, imbavagliati e ammanettati, all’ondata del femminismo suprematista. Uno di questi è il Messico, grazie al quale è possibile aprire uno squarcio su cosa potrebbe essere davvero un futuro in mano alla setta femminista. Il 28 settembre scorso si celebrava in tutto il mondo la “Giornata d’azione globale per l’accesso all’aborto legale e sicuro”. Comunque la si pensi sull’interruzione di gravidanza, su una cosa si può essere tutti d’accordo: il suo esercizio libero e indiscriminato è uno dei capisaldi assoluti dell’ideologia femminista. In molti paesi, specie dove il femminismo è lasciato a briglia sciolta, come appunto il Messico, le celebrazioni menzionate sono state l’occasione per mostrare davvero la natura profonda del femminismo. Una natura che non è sfuggita alle telecamere delle TV prima e ai social poi, anche se in Italia nulla si è visto di quanto accaduto. Diamo dunque un’occhiata insieme a come questa filosofia di inclusione e pace si è espressa in Messico. L’affermazione del diritto all’accesso a un aborto legale e sicuro si è manifestata ovunque con atti di teppismo e vandalismo:
Sapendo il rischio connesso a questo tipo di manifestazioni, le autorità messicane un po’ ovunque hanno schierato le loro forze dell’ordine. Per legge da quelle parti, in presenza di manifestazioni femminili-femministe, si devono dislocare soltanto agenti donne. Forse con ciò si spera che, in caso di intervento di forza, possano fare meno danno o che la “sorellanza” abbia il sopravvento e tra donne non sorgano conflitti. Le immagini parlano chiaro: i cortei femministi non si sono fatti remore a provocare e attaccare violentemente le forze di polizia schierate, dileggiando, spruzzando vernice e arrivando tranquillamente allo scontro fisico. Guardate con attenzione queste immagini, vedete se notate qualcosa. Ci torneremo sopra tra poco.
Va detto, a guardarle attentamente, queste ragazze o ragazzotte che si scagliano contro l’arredo urbano o contro le agenti di polizia fanno quasi tenerezza. Emerge alla vista tutta l’inadeguatezza fisiologica della donna alla violenza fisica. Si muovono e colpiscono in modo sbilanciato, goffo, impacciato. Per distruggere una vetrata necessitano di una ventina di urti laddove a un uomo ne basterebbero un paio e quando si scagliano contro gli scudi delle forze dell’ordine sembra quasi un gesto svogliato, da quanto è mal portato. Insomma viene da pensare che si tratti di colpi puramente simbolici, niente che voglia davvero far male. D’altra parte, lo si è detto, le femministe sono portatrici di una ideologia di pace ed empatia, no? Altri video parrebbero smentire sia le nostre impressioni che questo luogo comune: tra gli agenti si registra infatti un gran numero di feriti.
Semplici black block con il seno.
C’è un che di anarcoide e antagonista nel modo con cui le femministe manifestano: il diritto all’interruzione di gravidanza non c’entra più nulla con quello che accade in piazza, tutto sembra interpretato come una generica aggressione contro il sistema, contro il potere costituito. Anche per come sono agghindate, più che femministe sembrano una riedizione dei black block di triste memoria, ma in salsa strillante e con il seno. In quest’ottica i loro attacchi feroci alla polizia potrebbero avere un senso. Il problema è che non si sono limitate a questo. I loro bersagli sono state tutte le persone che incontravano lungo il percorso della manifestazione, purché di sesso maschile. A quel punto sono partite le provocazioni verbali e le aggressioni fisiche, di fronte alle quali i più sceglievano la fuga.
Non tutti però riescono a fuggire. Qualcuno viene circondato e aggredito con violenza. A nulla valgono i blandi tentativi di difesa: qualunque uomo, in Messico (come in molti altri paesi) ha timore a reagire a una donna, sa che rischia il carcere, anche se agisce per tutelare se stesso. Ecco allora il risultato:
L’uomo stava provando a parlare con alcune manifestanti. Viene prima preso a calci, poi spruzzato di vernice, infine aggredito dal branco e gettato a terra. Impressionano la rabbia e l’accanimento con cui una delle ragazze gli schiaccia la testa al suolo e lo prende a calci in faccia. L’esito dell’attacco è testimoniato da alcune fotografie successive.
Le immagini dal Messico sono un monito.
Quelle che vi abbiamo mostrato finora sono solo alcune delle foto e dei video raccolti in ampi reportage realizzati dalle TV locali, da alcuni blogger che hanno seguito le manifestazioni e dalle stesse femministe, che non hanno mancato di condividere sui social media le proprie imprese. Nel reportage completo si trova di tutto, specie sui danni arrecati al bene pubblico, ma non solo. Si dirà che sono eventi eccezionali accaduti in un paese dalla democrazia ancora non pienamente compiuta. Ma si sbaglierebbe. Il Messico è un paese moderno, con molti problemi, è vero, ma comunque è parte integrante del mondo occidentale avanzato. Da lì, però, è nato uno dei miti femministi assoluti, il “femminicidio”, e dunque ospita in sé una delle forme più estreme e legittimate della setta femminista. Lo avrete notato nelle immagini delle aggressioni alla polizia: a costoro è concesso tutto. Quando, in un video, una poliziotta accenna a una reazione, viene tirata indietro dalle colleghe ed è costretta a prendersi una gragnola di insulti. Le manifestanti hanno mano libera ad aggredire le forze dell’ordine a imbrattarne scudi e caschi, in una parola risultano intoccabili. L’ordine di servizio per la polizia è di lasciar correre, di non fare nemmeno il più piccolo torto all’ideologia dominante. Al massimo è concesso spruzzare dell’innocuo vapore colorato, che non è lacrimogeno, visto che le manifestanti ci navigano dentro senza problemi. Il concetto è semplice: vogliono distruggere l’arredo urbano di tutti? Via libera. Vogliono aggredire le agenti? Via libera. Vogliono massacrare ogni maschio bianco etero che incrocia il corteo? Via libera.
La parola chiave per comprendere quale possa essere il mondo pacifico e giusto progettato dalle femministe è proprio “intoccabilità”. Questo è l’obiettivo ultimo della setta femminista, non la parità o la giustizia sociale o altro, ma raggiungere uno status di totale privilegio che consenta loro di vivere nella più assoluta anarchia, anche (e soprattutto) a danno di ciò che è pubblico o di singoli individui estranei alla setta. La saldatura, già avvenuta da tempo in ogni paese occidentale (Italia compresa con “Non Una di Meno”), tra l’antagonismo conflittuale e il femminismo conduce proprio agli eccessi messicani che abbiamo appena visto. E non ci si deve illudere che si tratti di un’eccezione, quella è esattamente la meta finale, al raggiungimento della quale contribuiscono i vari rivoli solo apparentemente scollegati tra di loro: le polemiche sulle statue o sulle pubblicità “sessiste”, le leggi apertamente antimaschili, i profili d’odio misandrico sui social network, i finanziamenti e le statistiche a senso unico, la penetrazione della setta all’interno delle sfere del potere (guardate questo video e sentite cosa diceva Jovanotti nel 2015, in particolare al minuto 1.44…), sono tutti affluenti di un grande fiume che ha come sbocco la condizione privilegiata di intoccabili per una classe specifica di persone. Le donne? No, assolutamente: questo è il grande fraintendimento (e il grande inganno), come segnala nel suo intervento la spagnola Macarena Olona. Il privilegio è soltanto per le donne che stanno nel giusto, ovvero che abbracciano acriticamente i dogmi della setta femminista suprematista e antagonista. Una setta che veste una maschera di pace, inclusione, tolleranza ed empatia. Tolta la maschera ci sono violenza, sopraffazione e sangue di chiunque altro, uomini o donne, fuori dal “cerchio magico”. Le immagini dal Messico sono un monito. Altrove lo si saprà cogliere?