«Fissando gli occhi negli occhi di Beatrice, Dante è rapito anima e corpo dal Paradiso terrestre al cielo. È un “trasumanar”, un’esperienza che non si può tradurre in parole, e che lascia il poeta stupito e attonito di fronte alla luce dilagante e all’armonia delle sfere celesti. In questo modo miracoloso si compirà poi sempre l’ascesa di cielo in cielo, sino all’ultimo rapimento in Dio. E di cielo in cielo sfolgora sempre più la bellezza di Beatrice, sino a toccare i vertici dell’ineffabile, dinanzi a cui il poeta si confessa vinto. Beatrice nel Paradiso è la guida intellettuale di Dante: ogni dubbio trova in lei piena e pacificante soluzione. E se talora Beatrice, nel risolvere ardue questioni teologali, assume modi eccessivamente dottrinari che quasi fanno dimenticare la sua fisionomia umana, la sua figura si arricchisce tuttavia di un complesso gioco di sentimenti: la premura sollecita e talora quasi materna per l’anima affidatale, la gioia dell’insegnare e del fugare le tenebre dell’errore, la certezza trionfante di possedere la verità ultima dell’universo, attinta dalla visione diretta di Dio». Il testo, così come le citazioni che verranno successivamente, è tratto da un semplice libro scolastico, Storia della letteratura italiana (G. Getto, Sansoni Editori, Firenze, 1988, p. 78), quando ancora nelle scuole italiane (e occidentali) si studiava (1988). Nella Divina Commedia Beatrice è l’insegnante di Dante, cioè degli uomini, tra l’altro sulla disciplina più importante dell’epoca: la teologia. Beatrice è sinonimo di paradiso maschile, come lo sono state le donne nell’immaginario di tutti gli altri paradisi e utopie maschili idealizzate.
Non bisogna essere molto intelligenti per capire che c’è un cortocircuito tra la realtà proclamata dalla narrazione storica femminista e la lettura di questi o altri paragrafi simili. Secondo la narrazione storica femminista le donne sono «oppresse» e vivono in «schiavitù». Il mondo patriarcale non ha alcuna considerazione di loro. Per nominare l’esponente più in vista e nota del movimento femminista, Simone de Beauvoir – da alcune seguaci femministe definita la «madre del femminismo» –, che ha scritto l’opera “Il secondo sesso” – da alcune seguaci femministe definito la «Bibbia del femminismo» –, «le donne non hanno un passato, una storia, una religione», come abbiamo accennato nell’intervento della settimana scorsa. La narrazione storica de Il secondo sesso e i racconti dei testi letterari e storici di quell’epoca collidono. Senza necessità di dover leggere, basta la semplice visione di un quadro dell’antichità, dipinto da un uomo, il Giardino delle Delizie di Bosch, per constatare che nell’Inferno e nel Paradiso ci sono tanti uomini quanto donne (per citare un altro esempio, nell’inferno del Giudizio Universale di Michelangelo gli uomini sono in maggioranza). Dai dipinti e dagli scritti dell’epoca si può desumere che gli uomini consideravano le donne alla stessa stregua degli uomini. Il sottoscritto ha scritto un’opera, La grande menzogna del femminismo, dove confuta la narrazione femminista con molteplici esempi, esempi che nella storia scritta dell’umanità sono pressoché infiniti. Non c’è bisogno di adoperare quelli già usati sull’opera, continuerò a servirmi della letteratura classica italiana, poiché i lettori sono in prevalenza italiani.
La concezione medievale della donna.
Dante ha scritto il Convivio tra il 1304 e il 1307. Nel disegno di Dante, l’opera doveva essere una vasta enciclopedia, in cui si raccogliesse tutto lo scibile umano; doveva comprendere quindici trattati. «Nel primo trattato l’autore espone i fini dell’opera: egli vuole offrire un banchetto di sapienza, ma non ai dotti, bensì a tutti coloro che per “cure familiari e civili” non abbiano potuto dedicarsi agli studi, pur essendo dotati di spirito “gentile”, elevato e virtuoso, cioè, diremmo noi, alla classe superiore: “principi, baroni, cavalieri, e molt’altra nobile gente, non solamente maschi, ma femmine; che sono molti e molte in questa lingua, volgari e non litterati”. Per questo non scrive in latino, come la tradizione imponeva per le opere dottrinali, ma in volgare. Nel Convivio culmina dunque quella tendenza alla divulgazione, sintomo delle esigenze della società laica che mira ad impadronirsi di quella cultura che era stata per secoli monopolio dei chierici». (Storia della letteratura italiana, p. 54). Durante l’ultimo periodo del Basso Medioevo, durante il Rinascimento e la Rivoluzione Scientifica, nasce nel mondo occidentale un tentativo di «divulgazione», di diffusione della «cultura», di alfabetizzazione, e le donne non sono escluse. Stessa considerazione. Anzi, non di rado le donne erano un gradino al di sopra. Già nei poeti siciliani, i primi della letteratura italiana, i temi ricorrenti sono: l’omaggio feudale alla dama, sede di ogni virtù e di ogni pregio, di fronte alla quale l’amante è nella posizione del fedele vassallo nei confronti del suo signore; le lodi della dama, la speranza di ottenere la ricompensa dei servigi; l’umile rassegnazione se la dama per “orgoglio” spregia l’omaggio; il timore di manifestare il proprio amore. Nel Dolce stil novo, Dio rimprovera di aver anteposto all’amore per lui l’amore per una donna, e di aver tributato ad essa le lodi spettanti a lui solo. Risulta il motivo centrale e basilare dell’amore cortese: il conflitto tra l’amore di Dio e l’amore mistico per la donna. Guido Guinizzelli [1235-1276] si salva con un elegante epigramma: «Tenne d’angel sembianza / che fosse del tuo regno; / non me fu fallo, s’in lei posi amanza »
«In Vita Nuova di Dante l’amore per Beatrice si innalza a un livello ben superiore a quello cantato dai trovatori. La donna è un miracolo, un dono di Dio, è la guida alla perfezione e alla salvezza; la “salute” che proviene dal suo saluto è la salvezza dell’anima secondo la concezione cristiana […] è l’«Amor che move il sole e l’altre stelle», come lo definirà Dante stesso nell’ultimo verso del Paradiso. Quando Guinizzelli [1235-1276] e Cavalcanti [1258- 1300] lodavano la donna come angelo del cielo, non si trattava che di un’iperbole retorica, che rientrava in una precisa convenzione poetica. Ma nella Vita Nuova la prosa che accompagna le liriche attesta che non si tratta di metafore dell’uso poetico, e risponde della profonda serietà di tutto il discorso» (Storia della letteratura italiana, p. 51). Per gli anni bui del “Patriarcato” la donna è l’angelo del cielo. Per gli splendenti anni del femminismo l’uomo è il demone dell’inferno. Interessante il modo nel quale si è evoluto il pensiero dell’umanità. Nella Divina Commedia, Piccarda Donati è il primo personaggio che Dante incontra nel Paradiso. Per andare nell’inferno, persino prima di entrare, il primo personaggio che incontra è Virgilio (ospite dell’Inferno, ma anche del Limbo); prima di incontrare la prima donna nell’Inferno, Francesca, Dante incontra altri ospiti, tutti uomini. E questa la concezione che gli uomini “patriarcali” avevano degli uomini e delle donne.
Cosa ha letto Simone de Beauvoir?
Sulla stessa linea Giovanni Boccaccio e la sua opera più nota, il Decameron. L’opera ha fini morali e il suo disegno è ascendente: le novelle che la compongono vanno moralmente dal peggio al meglio. «Tra le novelle che la compongono , tutte un po’ esili, spicca nettamente quella di ser Ciappelletto, “il peggior uomo forse che mai nascesse”, macchiato di tutti i vizi più turpi […]. Ser Ciappelletto è un artista del traffico e dell’imbroglio […]. Infatti quest’arte di vivere, risolta in pura astuzia, è la forma più bassa in cui, agli occhi del Boccaccio, possa incarnarsi il saper vivere, e perciò, nella segreta coscienza ordinatrice del libro, è posta al gradino più basso di quella scala in cima alla quale si troveranno gli atti magnanimi e le eroiche virtù cortesi celebrate nella giornata decima». (Storia della letteratura italiana, p. 114). Nella decima giornata, propria nell’ultima novella: «Griselda, fanciulla di modesta condizione sposata dal marchese di Saluzzo, sopporta per lunghi anni le prove durissime a cui la sottopone il marito, finché questi, riconosciuta la sua virtù e nobiltà d’animo, la riporta al suo grado, dimostrandole rispetto e affetto. Questa celebrazione commossa delle forme più alte e nobili di saper vivere costituisce quasi il suggello del Decameron: non per nulla la virtù di Griselda (l’unica autentica santa concepibile nell’universo mondano del Decameron) si trova al termine del libro, cioè al punto culminante e all’estremo opposto dell’astuzia di ser Ciappelletto, a segnare il grado supremo di una precisa gerarchia di valori, la meta ideale a cui tende tutta la narrativa del Boccaccio». (Storia della letteratura italiana, p. 122). Un uomo simbolizza l’esempio più abietto da rifiutare; una donna, il modello encomiabile da imitare: ecco quali modelli proponevano gli insigni scrittori “patriarcali” nei loro capolavori, ampiamente diffusi e letti in società. C’è una netta differenza tra «schiave» e «insegnante» oppure modello da emulare. Chissà quali opere classiche ha letto Simone de Beauvoir. Ormai arrivati a questo punto, forse è meglio rimandare Francesco Petrarca e il suo amore per Laura ad un’altra occasione.