La Fionda

Il lupo e l’agnello: una storia che si ripete anche col femminismo

L’odio e la menzogna sono le due facce della stessa medaglia, giustificano e alimentano qualunque conflitto. Nel Ruanda, “Radio Machete”, che andò in onda dall’8 luglio 1993 al 31 luglio 1994, fu il mezzo di comunicazione più potente e seguito nel Paese. Durante quei mesi le trasmissioni, in una escalation crescente, incitarono la popolazione Hutu ad abbattere, casa per casa, la minoranza Tutsi, accusata in nodo strumentale di essere la causa dei mali del Paese. Il genocidio causò un milione di morti. La distruzione della federazione Jugoslavia, con annesse stragi, venne preparata spargendo i semi della discordia e appellandosi all’autodeterminazione dei popoli. I diktat d’oltreoceano, sommati all’aizzare dell’U.E. sui rispettivi nazionalismi, provocarono la secessione di Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Macedonia. Poi, nel 1999, arrivò l’intervento umanitario in Kosovo sotto forma di bombardamenti, missili cruise, tomahawk, B 52, F117, distruzione e morte. Il dossier relativo all’Iraq (che, per insaziabili appetiti coloniali, doveva essere attaccato dagli angloamericani nel 2003) mostrò immagini satellitari da cui, secondo i sostenitori della “guerra preventiva”, era possibile vedere i luoghi in cui erano nascoste le temibili armi di distruzione di massa, mai trovate dagli ispettori dell’Onu. Con l’occupazione militare si sono perdute le tracce di oltre diciotto miliardi di dollari appartenenti al fondo sovrano iracheno.

Nel 2011 il gruppo “Civili Britannici per la Pace” e altri pacifisti internazionali, anche avendo indagato per diversi giorni, non trovarono alcuna prova o testimonianza dei bombardamenti sui civili da parte dell’esercito di Gheddafi, in tre regioni di Tripoli o in altre città della Libia occidentale, come riferito dai media internazionali e così come affermato nella risoluzione Onu n.1973/2011. Prima che inizi un impressionante lancio di bombe, le banche straniere confiscano 150 miliardi di dollari investiti all’estero dallo Stato libico. Nel Nicaragua odierno, dove alcune forze mirano a ribaltare la situazione politica, la pandemia di Covid-19 sta diventando un’opportunità per generare il panico nella popolazione, negare la veridicità delle fonti ufficiali, manipolare i dati e fomentare l’odio in maniera ossessiva. La rimozione sistematica e capillare delle grandi ideologie, con i loro limiti ma anche con il loro portato ideale, ha lasciato spazio ai sentimenti basilari quali attrazione o repulsione, odio o amore, amico o nemico, buono o cattivo. La linea di demarcazione tra i due campi è tracciata con le notizie false, destinate a prendere di mira il “diverso” o l’ostacolo che intralcia un determinato cammino. Più è labile il confine tra bugia e verità e più è difficile da identificare. Ovunque servono odio e menzogne da usare contro qualcosa o qualcuno, per motivazioni culturali, razziali, religiose, nazionali o storiche, e a questo scopo ci sono dottrine prêt-à-porter.

kosovo

La sessualità e il suo nesso con il potere.

È facile così rinvenire sui telai della divulgazione narrazioni corrosive, distruttive e provocatorie, come ad esempio quelle ispirate dall’ideologia femminista. In prevalenza il femminismo degli anni ruggenti era capace di trasversalità, sia sociale che ideologica. Era capace d’interrogarsi profondamente sul sé e sugli altri, evitava e temeva l’abuso di semplificazione. Poi vennero gli anni nei quali iniziò a chiedere il riconoscimento della differenza sessuale, manifestando orgoglio per i naturali attributi femminili, andò oltre la semplice rivendicazione della parità in campo normativo per entrare nel terreno della specificità di genere. Furono gli anni in cui opere come Le Deuxieme Sexe (1949) di S. De Beavoir, The Femminine Mistyque (1963) di B. Friedan e Sexual Politics (1970) di K. Millet affrontarono la discriminazione da diversi punti d’osservazione: in relazione alla sessualità, alla famiglia, al lavoro e all’istruzione. Il femminismo cominciò a predicare il sovvertimento della famiglia patriarcale ed entrò in conflitto con i valori portanti della tradizione religiosa. Per raggiungere il traguardo della libertà femminile, nell’ acquisire una nuova consapevolezza identitaria, rifiutò le forme logiche del pensiero e il connesso linguaggio maschile, in quanto esso stesso strumento di discriminazione.

Le avanguardie più radicali spostarono gli obiettivi dell’emancipazione, intesa come conquista di una posizione giuridica paritaria, verso una completa liberazione delle donne, a prescindere dalla richiesta d’ eguaglianza e andando ben oltre la realizzazione della stessa, mettendo alla berlina ogni istituzione e ogni tradizione. Il movimento femminista si ricollocò politicamente tramutandosi in “movimento di liberazione della donna” e, nel volgere di poco tempo, divenne irriducibile, difficilmente inquadrabile secondo canoni già conosciuti o comunque predefiniti. Il femminismo, giunto in quella fase, fa sentire le donne prigioniere nella trappola di quella comunità naturale che è la famiglia. La progressiva conquista di un’autonomia giuridica, economica e simbolica dai padri e dai mariti adesso permette loro di lottare meglio contro la discriminazione di genere che ritengono persistente in tutte le società. Nel corso degli anni Settanta, in Italia, le più radicali del movimento pongono in primo piano la sessualità e il suo nesso con il potere respingendo le convinzioni naturalistiche di un diverso destino biologico riservato ai due sessi. Tale teoria, nelle sue più esasperate forme, arriva ad affermare che il legame tra il potere e le espressioni linguistiche è talmente pervasivo da inficiare la stessa possibilità di enunciare adeguatamente quanto vogliono le donne ed è ancor meno adeguato a garantire l’affermarsi di verità e cambiamenti rivoluzionari.

movimento di liberazione delle donne

Uno dei tanti inganni: il gender paygap.

Nel “Manifesto di Rivolta Femminile” e in “Sputiamo su Hegel”, pubblicati nel 1970, C. Lonzi, esponente dell’ala più radicale del movimento, scrive: «L’uguaglianza è un tentativo ideologico per asservire la donna a più alti livelli… è quanto si offre ai colonizzati sul piano della legge e dei diritti, mentre la differenza è un principio esistenziale che riguarda le caratteristiche peculiari della donna come soggetto e le permette di esprimere il proprio senso dell’esistenza». Tra le attiviste, nel corso di quegli anni, finisce per prevale la rivendicazione della specificità di genere, si passa dal “vogliamo essere uguali” al “rivendichiamo di essere diverse”, per saltare al successivo “siamo migliori dei maschietti”. In questo avanzare, la poliformia femminista ha finito per collocare donne ed uomini in una logica di supremazia che va oltre la stessa diversità sessuale. Il femminismo va letto anche e soprattutto nella sua dialettica padrone-servo e in questo senso va dunque filtrato il giudizio storico sulle sue ricadute. Il pensiero femminile, pur lontano dall’ elaborazione logica delle categorie filosofiche, si è contrapposto al dominio secolare “fallo-logo-centrico”, ha prodotto un’insperata fecondazione dei linguaggi e dell’agire politico, ha alimentato gli odierni panorami sociali. Rifiutando il modus ponens del ragionamento formale e astratto, in quanto prerogativa del maschio e della sua opprimente cultura patriarcale, d’un sol balzo ha superato tutti gli ostacoli, introducendo l’idea della diversa “razionalità” femminile, guadagnando una collocazione sociale preminente per la “différence sexuel”.

La longevità del femminismo si deve anche a quel carattere ambiguo che gli permette di far convivere l’emancipazione e la sua critica, la pratica istituzionale e l’anti-istituzionalismo. Ha giocato e gioca un ruolo lo spirito gregario delle donne che per secoli si sono accucciate a ridosso del potere detenuto dagli uomini come ministrante. In tal modo, accovacciate nel cono d’ombra dell’altro sesso, quando valeva la pena, ne sono diventate complici e ne hanno tratto vantaggi, pronte a prenderne il posto. Gli argomenti che primeggiano nel rivendicazionismo femminista si basano sulla miriade di limiti che caratterizzano il vivere maschile. Dunque le frottole, anche le più feroci, da impiegare contro gli uomini sono solo un espediente per guadagnare status. Una vecchia fandonia è quella relativa alle retribuzioni. La propaganda femminista asserisce che gli uomini vengono pagati di più delle donne. È vero invece che il monte retribuzioni degli uomini è più alto di quello delle donne in quanto rispetto a queste sono lavorativamente occupati in numero maggiore. È vero invece che il monte orario lavorato dagli uomini è superiore a quello delle donne, che prediligono il part-time ed evitano gli straordinari. È vero che nelle alte gerarchie (con emolumenti più elevati) ci sono più uomini che donne. Dunque è normale che il totale delle remunerazioni degli uomini superi quello delle donne. Sottacendo quanto sopra si lascia intendere ingannevolmente che la differenza di compensi esiste a parità di qualifica e di prestazione.

Mary Daly
Mary Daly

«La proporzione dei maschi deve essere ridotta e mantenuta a una percentuale pari al 10% della razza umana».

Altra mistificazione riguarda l’ambito delle violenze. A giugno 2020 la Rete Nazionale Antiviolenza a tutela del sesso femminile sostenne che tutte le donne durante il lockdown erano tenute prigioniere in casa dagli uomini e subivano angherie. Grazie all’ingannevole allarme, il Ministro per le pari opportunità e per la famiglia sbloccò 30 milioni di euro da destinare ai centri antiviolenza. Il report ferragostano della Polizia di Stato poi smentì tutto. In vero, nel corso del 2020, si sono verificati episodi di violenza femminile contro gli uomini. Disponendo soltanto (come unica fonte) delle notizie apparse sui mass-media si sono contati 341 casi. A questo link vengono elencati soltanto i reati di stalking, lesioni, percosse, aggressioni, danneggiamenti, maltrattamenti, tentati omicidi, omicidi, molto spesso contro mariti/compagni/fidanzati o ex. Dalle recenti indagini effettuate dall’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali: “Crimes, safety and victims’ right”, si evince che l’Italia è l’ultima in classifica per fenomeni di violenza, ovvero, e va rimarcato per rispetto della verità, è il Paese più sicuro d’Europa. Essendo l’ordine di scuderia, che proviene dai maggiori centri di potere, quello di gonfiare certi numeri ogni qual volta se ne presenti l’occasione, l’osservatorio di Repubblica sui “femminicidi” ne denuncia 112 per il 2020. Ad una verifica dei dati risulta che in realtà ci sono stati 44 casi e non 112. È inutile sottolineare che sarebbe auspicabile non avere un pur solo episodio all’anno di questo tipo. Quando si pongono al vaglio di un attento esame le cifre o le pseudo-statistiche che vengono fornite da posizioni faziose, come quelle occupate da femministe militanti, si riscontrano dei falsi seriali.

Il 10 marzo 2021 è stato pubblicato un report relativo a un sondaggio effettuato per l’UN Women, ossia l’osservatorio sulle donne delle Nazioni Unite, che l’ha sparata più grossa del solito: “il 97% delle donne è vittima di molestie sessuali”. Come per giustificare la predazione di territori e nazioni, così per condurre la guerra femminista, servono bugie e pretesti. Fedro, con la favola del lupo e dell’agnello, entrambi in procinto di abbeverarsi sulla riva di un torrente, ci insegna che contro la menzogna e la forza non esistono argomenti giusti e fondati: «… Pater, Hercle, tuus – ille inquit – male dixit mihi! Atque, ita correptum lacerat iniusta nece» (“Tuo padre, per Ercole – disse quello – ha parlato male di me”. E così, afferratolo, lo fa fuori con ingiusta uccisione). La piaggeria della politica, che fiancheggia e promuove l’impostura del pensiero femminista, trova spiegazione nelle prioritarie finalità del movimento: denaro e potere. La dissoluzione della famiglia, obiettivo storico, bersagliato da decenni, ha prodotto milioni di unità “autonome”, non comunicanti tra loro, ma dipendenti da desideri temporanei, dagli stimoli dei mercati, da insoddisfacenti possessi transitori, incapaci di scrivere e narrare la propria specifica storia di vita. Attualmente le donne, e sarebbero in percentuale ancora più alta se prive di ogni residuo freno, rappresentano l’85% delle decisioni di acquisto a livello mondiale. Per biologia e per cultura millenaria le donne non hanno la stoffa per combattere a muso duro fino al sacrificio estremo. Conquistato tutto il potere politico “visibile”, saranno di certo meno coriacee e meglio ricattabili degli uomini nel momento in cui si troveranno ad affrontare quello “invisibile”. Dai tempi in cui Mary Daly (docente del celebre Boston College nel Massachusetts) affermava che «La proporzione dei maschi deve essere ridotta e mantenuta a una percentuale pari al 10% della razza umana» è passato un quarantennio. Con il dogma femminista si sta rimuovendo anche la ragione ontologica della donna quale madre.



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