La Fionda

di Fabio Nestola. “PD Emilia Romagna: “un reddito di libertà per le donne che subiscono violenza. Il concetto di fondo mi sfugge, temo possa emergere un principio che entra in un feroce conflitto ideologico con il femminismo. La misura del PD emiliano implica che donna sia dipendente dal proprio compagno, viva del suo lavoro e quindi dello stipendio che l’oppressore violento porta a casa. Vorrebbe lasciarlo, ma non può perché senza le risorse dell’aguzzino proprio non saprebbe come vivere. Allora ci vogliono fondi pubblici per dare alla donna vittima di violenza la possibilità di mantenersi da sola, un’ebbrezza nuova che mai ha provato nella vita perché l’oppressore le impediva di realizzarsi. C’è qualcosa che non quadra.

Qualsiasi separazione si conclude con delle misure comuni a tutte, seppure con le varianti del caso: assegnazione della casa coniugale, soldi al coniuge economicamente più debole, soldi per i figli, soldi per le spese extra. Nel caso di cessazione di convivenza viene meno l’assegno al coniuge debole, ma restano l’assegnazione della casa e il mantenimento ai figli più le spese extra. Una casa assegnata in uso gratuito è un innegabile vantaggio economico, del quale nessun uomo separato può usufruire; anche ricevere dei soldi senza averli guadagnati col proprio lavoro è un privilegio del quale nessun uomo separato può usufruire.

Milioni di donne vittime di violenza...

Quindi la separazione dovrebbe essere il primo, più logico e più conveniente passaggio per la donna vittima di violenza, finalizzato a ottenere una serie di vantaggi concatenati tra loro: liberarsi del compagno violento, ottenere la casa e la custodia dei figli, ottenere dei soldi. Oltre all’eventuale costituzione di parte civile (con patrocinio gratuito, cioè a carico dello Stato) nel processo per le violenze subite, il che vuol dire altri soldi. Sembra poi limitativo lasciar credere che ogni vittima di violenza sia mantenuta dal compagno, la narrazione dominante dice che la violenza domestica colpisce tutte, è trasversale a qualsiasi età, qualsiasi livello culturale, qualsiasi fascia di reddito, qualsiasi estrazione sociale.

Quindi sarebbero vittime di violenza milioni di impiegate della PA, insegnanti di ogni ordine e grado, infermiere, psicologhe, psichiatre, assistenti sociali, avvocate, giudici, criminologhe, pedagogiste, farmaciste, fisioterapiste, ginecologhe, cardiologhe, dietologhe, diabetologhe, radiologhe, pediatre e medici in generale; architette ed ingegnere, arredatrici d’interni, wedding planners, giornaliste della tv e della carta stampata, conduttrici televisive e lavoratrici dello spettacolo in generale; poliziotte, carabiniere, vigilesse, finanziere, forestali, guardie carcerarie, militari in marina, esercito ed aviazione, oltre alle titolari di attività proprie come centri estetici, palestre, scuole di danza, parrucchiere, lavanderie ed attività commerciali di ogni tipo, dall’erboristeria al bar, dall’agenzia immobiliare all’abbigliamento.

Ha la colpa più grande che lo esclude dalle priorità di questo inizio di secolo: non è una donna.

Milioni e milioni di donne che producono reddito autonomo, per non parlare di fasce di reddito superiori come dirigenti d’azienda, parlamentari, imprenditrici, donne di successo: la Marcegaglia, la Santanché, la Pivetti, la Murgia, la Lucarelli e la Gruber, giusto per fare degli esempi, non sarebbero costrette a rimanere con l’eventuale compagno violento altrimenti non saprebbero come sfamarsi. Eppure tutte – ma proprio tutte – sono a rischio di violenza sessuale, fisica o psicologica, per cui bisogna prevedere dei fondi con i quali poterle aiutare.

È curioso constatare come la richiesta di fondi sia la costante che unisce qualsiasi rivendicazione femminista, sembra un’assalto militare alle casse pubbliche. Fondi per le campagne informative, per le Commissioni parlamentari ad hoc, per le ricerche mirate, fondi per il 1522, per i centri antiviolenza, per le vacanze, per gli orfani di femminicidio… sembrano richieste (o pretese?) basate esclusivamente sull’ideologia che deve portare in primo piano qualsiasi “emergenza” legata al femminile, la quale tutelando la donna inquantodonna scavalca tutto, diventa più importante e urgente rispetto a qualsiasi altra emergenza. Infatti nessuno chiede a gran voce dei fondi per gli orfani dei morti sul lavoro. Il muratore che cade dall’impalcatura è un uomo, ma anche un padre e spesso l’unica fonte di reddito per la famiglia. Ma ha la colpa più grande che lo esclude dalle priorità di questo inizio di secolo: non è una donna.



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