Continua la solita informazione deviata e deviante, che in occasione di un “femminicidio” strilla «è la Xesima vittima dall’inizio dell’anno!», lasciando intendere che tutte le donne uccise siano classificabili come “femminicidi”, quindi delitti generati dalla gelosia morbosa, dal possesso, dalla mancata accettazione della libertà femminile, dalla prevaricazione di genere. I numeri reali sono questi: 10 vittime di “femminicidio”, 11 contando l’episodio di Taurisano e quello di Roma, dall’inizio dell’anno. La narrazione delirante però ne spaccia più del doppio. Informazione-spazzatura, figlia del delirio ideologico e della disonestà intellettuale.
Si tratta del solito stratagemma patogeno: tutte le donne decedute di morte violenta sono spacciate per “femminicidi”, come ad esempio Antonella Salamone uccisa ad Altavilla Milicia dal delirio satanista del marito Giovanni Barreca, che nel suo folle proposito di liberare la famiglia dal demonio ha torturato e ucciso la moglie e i due figli maschi con la complicità della figlia 17enne, attivamente coinvolta nelle torture e negli omicidi. Mai pentita, tra l’altro. Tre vittime nella stessa famiglia, con lo stesso autore e le stesse modalità, ma il percorso si sdoppia solo per il movente: Barreca ha ucciso i figli Emanuel e Kevin per liberarli da Satana, invece ha ucciso la moglie perché odia le donne, è oppressione di genere, quindi è “femminicidio”.
Le manipolazioni mediatiche.
Ecco come nasce la recente menzogna “21 femminicidi dall’inizio dell’anno”. La strategia di gonfiare i dati è un obbligo dal quale tutte le fonti mediatiche e istituzionali non possono astenersi, altrimenti i circa 40 casi di fine anno non potrebbero mai diventare i circa 120 che consentono di lanciare lo slogan ideologico “un femminicidio ogni tre giorni”. Falsificazioni che denunciamo da anni, oggi ben visibili nel nostro “Osservatorio statistico“. Va detto, a onor del vero, che qualche mezzo d’informazione comincia a mostrare un minimo barlume di ragionevolezza o quanto meno di decenza, come SkyTG24, che nel suo paginone iper-retorico sui femminicidi, oltre a copiarci biecamente l’osservatorio (sfruttando il suo accesso diretto al database della Polizia di Stato, che noi non abbiamo), mette per iscritto che «La stessa definizione di “femminicidio” , dopo tutto, non è uniforme a livello internazionale». Un modo prudentissimo e un bel po’ stitico per dire che una definizione in realtà non esiste.
Chiariamo ancora due aspetti, anche se lo ripetiamo da anni: anche solo UNA persona morta ammazzata, uomo o donna che sia, è troppo. Se facciamo le nostre analisi non è per sminuire o negare i fenomeni omicidiari, ma per sgonfiare una narrazione ideologica tossica in quanto a senso unico, che alimenta un’emergenza in realtà inesistente (in Italia muoiono 60 volte di più donne per incidente domestico che non per mano del marito, compagno o ex, per dire…). In secondo luogo, per analizzare i fatti di cronaca e come i media li comunicano, siamo costretti a utilizzare anche noi il termine “femminicidio”, pur non riconoscendone la validità. Il “femminicidio” infatti non esiste nel codice penale, né come fattispecie autonoma di reato, né come aggravante. Si tratta quindi di un termine di esclusiva origine mediatica, privo di qualsiasi caratteristica giuridica. Non esiste una definizione ufficiale di “femminicidio”, non esistono criteri certi ai quali debba rispondere un determinato episodio per essere classificato come tale ed è anche questo che permette di definire tutto e il contrario di tutto come “femminicidio”. Basta che la vittima sia una donna e si faccia credere che il carnefice è sempre un uomo e il gioco dell’inquinamento delle coscienze, nonché l’antico e mai tramontato divide et impera, è fatto.