A seguito del dibattito “Movimenti maschili e gli Incel in Italia – Facciamo il punto”, organizzato dall’associazione “Bon’t Worry”, ho realizzato un primo intervento che verteva sulle mutilazioni genitali e su quanto era stato affermato a questo proposito erroneamente dagli associati di Bon’t Worry. Nel presente intervento vorrei fare una considerazione sul dogmatismo ideologico, per la precisione su quello femminista, oggigiorno dominante, e sulle negative conseguenze che provoca, tanto a livello individuale come sociale, come si sono potute apprezzare durante il dibattito. Prima di addentrarmi nel discorso, qualche chiarimento preliminare sui partecipanti di Bon’t Worry. Primo, Bon’t Worry non è un’associazione femminista, i loro associati così l’hanno dichiarato durante il dibattito. Malgrado l’esplicita presa di distanza, le loro idee e dichiarazioni rivelano la loro adesione alla dottrina femminista, come vedremo. Secondo, si tratta di persone istruite, tre avvocati e una titolare di un dottorato (PhD, Philosophiae Doctor). Terzo, si tratta di persone aperte e disponibili al confronto, e la prova irrefutabile è la realizzazione di questo dibattito. Bon’t Worry è una ONLUS, il loro attivismo è rivolto a beneficio degli individui della società che si trovano in gravi difficoltà. Questi elementi forniscono un identikit di grande interesse: non siamo di fronte a femministi ignoranti, noncuranti, radicali e fanatici; gli interlocutori sono persone istruite, preoccupate del bene comune e guidate da alti valori sociali e morali. Ne terremo conto più avanti.
Il dibattito, che doveva vertere sui “movimenti maschili e gli incel”, finisce per occuparsi delle sofferenze e problematiche femminili, cioè di femminismo. Ad un certo punto la PhD. Guerreschi, emulando Hillary Clinton, senza lo stesso ghigno sardonico e tono saccente, ma guidata dallo stesso spirito, accusa la controparte di non sapere di cosa parla perché non sa cosa vuol dire “femminismo”. PhD. Guerreschi: «lei parla di femminismo, e io vi chiederei una volta per tutte in Italia di dare al termine il significato reale di questa parola che […] è un termine di parità di genere, parità di diritti, […] io direi che sarebbe ora di iniziare ad usare il termine con il significato corretto storico» (min. 59:34). Si tratta di un controargomento femminista da manuale, forse il più diffuso, che chiude qualsiasi controversia in maniera tranchant: chi può sostenere di essere contro la “parità”? Si tratta però di un argomento fallace, perché femminismo non è parità. Il dott Stasi si difende, pone una domanda “provocatoria”: «lei rivendica che il femminismo è un movimento per la parità […], e allora perché non si chiama paritarismo?» (min. 1:01:51). PhD. Guerreschi: «lei deve parlare all’interno storico». Dott. Stasi: «all’interno storico […] non esiste una battaglia fatta dalle femministe che riguardasse un problema, una necessità, un diritto puramente maschile». Le definizioni non vengono assegnate alle parole secondo il frutto del nostro desiderio. Le parole, ancora di più se si tratta di concetti astratti, non sono quello che vorremo che fossero. Non basta dire “pace” né “parità”, né ripeterlo continuamente, né proclamarlo in tanti, per far diventare il fascismo pace o il femminismo parità. Le parole acquisiscono il proprio significato da un contrasto analitico della realtà. Sono i fatti che definiscono le cose, le parole si riconoscono dai frutti: «Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete» (Vangelo, Mt 7, 15-16). Quali sono i frutti del fascismo? Quante campagne, iniziative, discorsi fascisti hanno promosso la pace e quante la guerra? Quali sono i frutti del femminismo? Storicamente quante campagne, iniziative, discorsi femministi hanno promosso la parità degli uomini e quante hanno promosso la loro esclusione?
Un danno ampio, con effetti diffusi.
In attesa che la PhD Guerrischi ci fornisca la lunga lista delle iniziative e campagne femministe che, in oltre un secolo e mezzo di storia del movimento, hanno cercato di risolvere problemi, necessità e diritti puramente maschili, rileviamo con piacere che sono gli altri partecipanti, lungo il dibattito e a loro insaputa, a definire con esattezza cos’è il femminismo. Avv. Sedu: «storicamente, dall’alba dei tempi che l’uomo ha sempre avuto una sorta di predominio che noi non possiamo assolutamente negare sulle donne. E ora che queste donne finalmente abbiano una loro capacità e una loro chance di esprimersi» (min. 46:00). Avv. Piccirillo: «le donne rimangono ancora la fascia debole che ha bisogno di interventi affinché sia restituita la parità» (min. 18:00). Avv. D’Amico: «in questo momento questa parità di diritti a mio parere nel nostro sistema ancora non ha trovato una piena realizzazione a discapito delle donne» (min. 1:48:56). L’avverbio temporale ancora sta a indicare l’attuale discriminazione/oppressione della donna che proviene dal passato (storica). Quindi, per l’ennesima volta, il femminismo è l’ideologia che sostiene l’oppressione storica e attuale della donna per mano dell’uomo, in un sistema denominato patriarcato. Questa è la tesi alla quale aderiscono tutti i femministi, compresi i membri di Bon’t Worry, e questa adesione, concepita come un dogma di fede, un assioma che non deve essere provato, una verità autoevidente – che la donna è oppressa e l’uomo è il suo oppressore –, rende la persona femminista. Di conseguenza, si promuovono «i diritti e gli interessi delle donne» per liberarla dalla sua oppressione storica e raggiungere, si presume, la parità. Si tratta di una tesi legittima ma, come qualsiasi altra convinzione, deve essere provata. Se questa tesi si rivelasse falsa, come noi sosteniamo, saremo di fronte alla più universale e duratura bufala e violazione dei diritti umani a danno degli uomini, all’occultamento sistematico delle sofferenze e problematiche maschili, una fabbrica di ingiustizie a favore delle donne camuffate dalla ricerca della parità.
Il dott. Stasi elenca due norme che discriminano gli uomini (una sulle molestie sul lavoro e l’altra sulle mutilazioni genitali), a difesa della propria tesi. E qui avviene il cortocircuito dei nostri interlocutori, perché la dottrina femminista sostiene che la vittima è sempre e ovunque la donna. In una società patriarcale queste discriminazioni a danno dell’uomo non possono esistere. Il dibattito si svolge quindi in un paradosso incomprensibile: da un lato, la parte femminista proclama con sufficienza le donne vittime, senza nominare alcuna legge o norma a sostegno della propria tesi, e senza sentire affatto l’onere di doverlo fare. La controparte ne nomina due che violano il principio di parità a danno dell’uomo, obiettive, reali e irrefutabili, che nulla dimostrano a chi è già in possesso della verità. Il modo migliore per difendere un tesi indifendibile è sorvolare sull’argomento. Come si può difendere in nome della parità l’esclusione degli uomini vittime di molestie sul lavoro? Infatti l’argomento viene completamente ignorato. Ma sulle mutilazioni genitali non si riesce a sorvolare, il dott. Stasi ha messo sul tavolo della discussione dei bambini morti. La prudenza di persone istruite e impegnate nella lotta contro la sofferenza infantile avrebbe consigliato di dire “non lo so, mi devo informare”. Invece il dogmatismo ha preso il sopravvento: è stata negata la veridicità di quanto riferito, inimmaginabile nell’universo dottrinale femminista, falso, impossibile che l’ONU, l’UE, i media, il governo, nessuno intervenga per correggere un’ingiustizia che provoca la morte di bambini maschi. Eppure è tragicamente vero. La loro fede, il loro dogmatismo li ha spinti a negare a priori, senza conoscere, senza sapere, senza ascoltare. Non solo hanno commesso un grave errore, danneggiato fortemente la loro autorevolezza in quanto avvocati e mostrato zero sensibilità nei confronti della sofferenza infantile maschile, le loro dichiarazioni inesatte rimangono pubbliche, e perpetueranno in molti di quelli che ascoltano la stessa posizione sbagliata e dogmatica a danno dei bambini maschi.
Serve un esame di coscienza.
Per chi è cresciuto nella fede femminista, nessuna concessione può essere fatta. L’ammissione che il dott. Stasi potesse avere ragione sulle mutilazioni genitali sarebbe un atto sconvolgente. Rappresenterebbe la smentita della propria fede, uno squarcio sulla diga di tutto l’impianto dogmatico. Se su questo ambito specifico la critica antifemminista ha ragione, come si può avere d’ora in poi la certezza, posseduta prima, di non essere in torto anche sul resto degli argomenti (violenza, separazione, reddito, diritti,…). In questo modo le proprie convinzioni vacillerebbero, germoglierebbe il sospetto che fossero il prodotto di un grossolano indottrinamento ideologico. Per molti una situazione inaccettabile, più comodi rimanere nella zona di comfort aggrappato alla propria fede. A nulla serve dunque presentare loro dati, richiamare leggi e sentenze, contare i morti, i dogmatici rifiutano a priori l’evidenza. Se dopo centinaia di articoli pubblicati nei più svariati forum e nelle più svariate lingue smentendo la frottola del gender pay gap, ancora oggi è usato nei dibattiti come argomento a sostegno della discriminazione femminile, vuol dire che non sono serviti a nulla. Deprimente e scoraggiante. A cosa serve pubblicarne altri? A cosa serve confrontarsi con un muro, se il muro non ascolta? È utile il dialogo con la controparte femminista, che spesso si dimostra un muro dogmatico? Serve a qualcosa? Non lo so. So soltanto che il dogmatismo può colpire tutti, anche persone istruite e benintenzionate come erano i quattro interlocutori di Bon’t Worry, con ricadute negative sul resto della società, che dopo la visione del dibattito non riterrà prioritario difendere il diritto all’integrità del corpo dei bambini maschi come si fa per le bambine. Posso solo augurarmi che almeno uno di loro faccia un esame di coscienza e ammetta onestamente di aver sbagliato, prenda a cuore la sofferenza delle mutilazioni genitali maschili e promuova la parificazione (cioè il divieto) con quelle femminili. E magari questo squarcio riesca a frantumare la diga dogmatica che lo tiene prigioniero.