La Fionda

Il DDL Zan esce dall’agenda del Senato (ma il pericolo resta, ed è altrove)

L’urgentissimo, indifferibile, improrogabile, emergenziale, irrimandabile e immarcescibile DDL Zan è uscito ieri dall’agenda estiva del Senato. Se ne parlerà (forse) a settembre, alla riapertura dopo le ferie di agosto. Così ha deciso la maggioranza, svelando quanto poco urgente fosse il provvedimento, se non per motivi puramente ideologici e politici. Il cambio di rotta si deve al vero e proprio diluvio di emendamenti che si è abbattuto sulla proposta dell’On. Zan: più di 1.000. Uno sfregio all’irrigidimento del Segretario del PD Enrico Letta, che si è sgolato per settimane proclamando «o così com’è o niente». Paradossalmente, però, a indurre al ritiro dall’agenda della legge sedicente contro l’omotranslesbofobia e l’abilismo, sono stati solo quattro emendamenti nello specifico, quelli presentati da Italia Viva. Teoricamente parte della maggioranza, il partito di Renzi aveva annunciato che non avrebbe depositato nulla, e invece… Si tratta di un segnale politico chiaro: se si votasse oggi, il DDL verrebbe bocciato. Ecco allora che si preferisce prendere una pausa: nelle prossime settimane probabilmente il PD e il M5S, maggiori sponsor del DDL Zan, cercheranno di capire cosa Renzi voglia in cambio del proprio appoggio alla proposta di legge. Sempre che questa riesca a riposizionarsi in un’agenda istituzionale che da settembre sarà densa di appuntamenti oggettivamente più urgenti, a partire dalla legge di bilancio.

Non c’è da cantar vittoria, però, perché la politica italiana è imprevedibile e su quella proposta di legge si sono addensate contrapposizioni identitarie molto forti, un braccio di ferro che prefigura quello futuro elettorale. Al momento gli oppositori hanno conquistato una posizione avanzata e i sostenitori sono dovuti arretrare, niente di più. Occorre col tempo consolidare la posizione, fortificarla e pianificare un ulteriore balzo in avanti capace di disperdere anche solo l’ipotesi che possa ripresentarsi un disegno di legge di quel tipo. In realtà i maggiori motivi di ottimismo rispetto a quanto accaduto stanno altrove. Prima dell’approdo del DDL al Senato e dell’inizio della sua discussione, dilagava un senso di sostegno generalizzato, con poche minoranze fanatiche ad opporvisi. Dall’inizio della discussione, anzi poco prima, con la presa di posizione formale del Vaticano, il vento è cambiato. Il fronte dei sostenitori alla fine si è mostrato per quello che è: una minoranza colorata, rumorosa e livorosa a confronto con un mood generalizzato e una mobilitazione di personalità e idee in vari gradi contraria alla legge e ai suoi pilastri. Il passo fatto dalla Santa Sede deve aver dato coraggio a molti ostili al DDL Zan ma impauriti dal clima di caccia alle streghe instaurato dai trombettieri del politicamente corretto color arcobaleno. Alla fine, anche grazie a sincerissimi scivoloni comunicativi dello stesso Zan, l’ostilità alla sua proposta è emersa in tutta la sua maggioritaria solidità. Il rinvio di un mese serve proprio per cercare di spegnere questo entusiasmo consapevole e non è improbabile che nelle prossime settimane il braccio di ferro prosegua sul piano della propaganda.

Senato italiano
Il Senato della Repubblica italiana.

Il DDL Zan a confronto, era una quisquilia.

Ipotizziamo tuttavia per un attimo, ottimisticamente, che con ieri il DDL Zan sia effettivamente morto e sepolto. Chi come noi vi si opponeva ha motivo di gioire sinceramente e profondamente? Sì nella misura in cui si potrà proseguire a dire la verità, ovvero che i figli nascono da madri femmine e padri maschi e che i sessi in natura sono due, mentre i generi sono al massimo i mariti delle figlie, il tutto senza timore di finire davanti a un giudice o in carcere. No nella misura in cui si considera uno degli articoli più controversi della proposta di legge, quella che, secondo la vulgata, aprirebbe al gender le porte delle scuole, dalle elementari in su. Nell’ipotesi che il DDL Zan tramonti in modo definitivo, comunque non c’è da rallegrarsi su quel fronte, per una ragione che, durante il dibattito appena trascorso, è stata curiosamente sottaciuta. Ovvero per la ragione che il gender è già entrato nelle scuole. Orientativamente da sette anni. E in piena legittimità. Lo racconta bene Elisabetta Frezza in questo video, che tuttavia è molto lungo e complesso (come tutte le cose fatte molto bene), dunque ci prendiamo l’incarico di focalizzare la questione per iscritto in queste righe, rinviando alla legge che di fatto ha aperto le porte delle scuole di ogni ordine e grado all’indottrinamento gender, la Legge 107/2015, denominata (forse ironicamente) “Buona Scuola”. Auspice una lunga lista di donne: Elsa Fornero, Maria Chiara Carrozza, Stefania Giannini, Valeria Fedeli.

Al comma 16 della Legge 107/2015 si fa un rimando all’articolo 5 comma 2 del Decreto Legge del 14/08/2013. Tutto fatto apposta perché il cittadino ci si perda. Banalmente: la “Buona Scuola” rimanda al decreto cosiddetto “contro il femminicidio”. In quell’articolo si rinvia ulteriormente a un non meglio definito “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”, che viene elaborato dal Ministero Pari Opportunità in conformità con le indicazioni dell’Unione Europea. Ecco la porta permanentemente aperta alle politiche europee verso la scuola italiana, ottenuta tramite rimandi incrociati. Di più, il “Piano” sopra citato viene elaborato da quei ministeri e quelle direzioni dove siedono in pianta stabile, ufficialmente riconosciuti, gruppi di pressione LGBT come l’UNAR: l’esito, ossia il “Piano” stesso, è un atto amministrativo generale, come tale privo di ogni forza di legge, che però viene trascinato al livello di dignità della legge vera e propria tramite i rimandi incrociati che si è detto sopra. Cosa contenga questo “Piano” che detta i contenuti da portare nelle scuole trasversalmente a tutte le materie e da inserire nei libri di testo, lo si può leggere direttamente qui. Vi si troverà il peggio della lobby LGBT sia di livello europeo che nazionale, che ha in questo modo, e già da sette anni, strada spianata per i cervelli dei bambini, con il profumato finanziamento di 10 milioni di euro all’anno, come stabilito dall’Art.16 comma 1 lettera d della legge attuativa del già citato decreto cosiddetto “contro il femminicidio”. Il DDL Zan a confronto di ciò che già è vigente, era dunque una quisquilia.

alessandro zan
L’On. Alessandro Zan

Una porta da murare con il cemento armato.

Ma perché allora si intestardiva a menzionare la scuola, la necessità che gli istituti celebrassero la giornata contro l’omobilesbotransfobia (ma non contro l’abilismo, si badi bene…), se già il gender ha la sua bella corsia preferenziale per le aule scolastiche? Per due motivi sostanziali. Il primo di tipo meramente politico: l’approvazione del DDL Zan varrebbe da bandierina posta definitivamente dall’ideologia queer sul mondo dell’istruzione. Sarebbe stata la fortificazione di un presidio e un terreno segnato in modo pressoché permanente. Una consacrazione, insomma, di quanto già deciso sette anni fa, e che avrebbe facilitato la realizzazione del secondo punto: la concreta attuazione di lezioni di “inclusività, affettività, integrazione, diversità, opportunità di genere, superamento degli stereotipi”, come vengono eufemisticamente chiamate le lezioni di sessualità alternativa ai bambini per meglio venderle ai genitori. Sì perché qua e là in Italia certi progetti sono stati realizzati, tra le proteste successive di madri e padri; altrove ci si è provato, trovando la resistenza degli stessi e magari pure dei docenti rimasti immuni dall’indottrinamento. Troppi scogli ancora, troppe resistenze diffuse. L’articolo del DDL Zan relativo alle scuole serviva per rimuovere quegli ostacoli e imporre finalmente senza intralci la propria “educazione” transumana alle nuove generazioni. Il tentativo al momento non è riuscito, è stato rimandato. Si deve gioire per questo e puntare alla sua polverizzazione. Senza dimenticare però che non è eliminando gli atti politici simbolici come quello contenuto nel DDL Zan sulla scuola che si elimina il problema. L’abbiamo detto: la porta  verso l’istruzione è permanentemente spalancata alla violenza psico-educativa gender già da sette anni. Gioiremo sinceramente solo quando verrà chiusa e murata col cemento armato.



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