Ci era colpevolmente sfuggito il report pubblicato nell’ottobre scorso dal Servizio Analisi Criminale, Dipartimento della Polizia di Stato, sugli esiti dell’applicazione del cosiddetto “Codice Rosso”. Fortunatamente l’abbiamo recuperato e ci è possibile analizzarlo. Graficamente è un prodotto pessimo, niente a che vedere con le pubblicazioni patinate tipo “Questo non è amore”, che la Polizia pubblica in occasioni specifiche (ogni 25 novembre). Tuttavia il layout sarebbe nulla se il contenuto fosse significativo. Invece il problema sta proprio lì: dopo una breve premessa, un estratto sintetico dei contenuti e una sintesi della Legge 19 luglio 2019 n.69, appunto il “Codice Rosso”, incomincia l’analisi dell’applicazione della norma a dodici mesi dalla sua approvazione, sulla base delle quattro fattispecie nuove che era suo obiettivo andare a colpire: la costrizione o induzione al matrimonio, la deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (il cosiddetto revenge porn), la violazione di provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
Nelle parti introduttive, c’è solo un aspetto da sottolineare, piccolo ma assolutamente degno di nota. Il “Codice Rosso”, per poter essere legittimamente legge dello Stato, regolamenta casistiche “a-sessuate”, dove la vittima può essere sia uomo che donna. Se non lo facesse e stabilisse una norma valida solo per un genere, andrebbe contro la Costituzione e in breve verrebbe cancellato. Così dovrebbe funzionare, e così funziona, però solo sulla carta. Oltre al fatto che già esistono leggi che discriminano tra uomini e donne, in barba alla carta fondamentale, va considerato che le norme poi devono trovare un’applicazione pratica nella realtà. Ecco allora che basta indottrinare chi è chiamato ad applicarle a farlo in modo settario o mirato e i diritti costituzionali vengono scavalcati in un attimo. La prova è nell’abstract del report della Polizia, a pagina 4, dove dice che il Codice Rosso «ha ampliato il sistema di tutele per le donne vittime di violenza di genere». Ipse dixit: ciò che la Polizia di Stato sa a tutti gli effetti è che quella norma è stata fatta per le donne. Come tale, dunque, la applica e ne registra gli esiti statistici. Qualunque uomo abbia provato ad appellarvisi, infatti, può testimoniare dell’accoglienza avuta… Certo rimane da capire chi abbia detto al corpo della Polizia (e dei Carabinieri e di ogni altro componente delle Forze dell’Ordine) che si tratta di una legge solo per donne. Ma è facile immaginare chi sia.
Basta non dare l’informazione completa.
Questo iniziale, sfuggito nell’abstract, è un imprinting che porterà a una gestione clamorosamente falsata dell’intero report, come vedremo. A partire dal fatto che, in ogni rilevazione viene enfatizzata solo l’incidenza delle vittime femminili. Il messaggio sottinteso è che quelle maschili, tante o poche che siano, non contano nulla. Perché il teorema di fondo, ormai pienamente sposato da tutti, anche dalla Polizia, è che ogni donna è vittima e ogni uomo carnefice, e da lì non si può uscire. Nel caso dei matrimoni forzati, fattispecie ai tempi fortissimamente voluta da Mara Carfagna, si parla di 11 casi, 7 vittime femminili e 4 maschili, che però non vengono esplicitate, ci si limita a dire che il 63,64% delle vittime è donna. A margine: i casi per cui la Carfagna tanto si batté non paiono essere così emergenziali, ma la battaglia ideologica non guarda a queste quisquilie. Più significativi numericamente sono i casi di revenge porn, reato incluso nel Codice Rosso a seguito dello scandalo che colpì la parlamentare grillina Giulia Sarti: 718 vittime, di cui 586 femminili e 132 maschili. Nelle conclusioni si dirà poi che per arginare il fenomeno occorre risponde al bisogno dei giovani di «recuperare la cultura di genere». Si sottintendono qui tutte le pratiche di indottrinamento scolastico di cui abbiamo parlato di recente, atte a instillare in tutti i maschi un inestinguibile senso di colpa e in tutte le femmine un senso di supremazia e di diritto al risarcimento.
L’anomalia settaria comincia a manifestarsi però quando il report tratta delle violazioni ai divieti di avvicinamento, che risultano oggettivamente molti (1.741). Contrariamente alle casistiche precedenti, però, qui non c’è alcuna suddivisione per sesso. La Polizia ritiene non sia rilevante quanti uomini e quante donne abbiano violato quei divieti. Anche perché così è gioco facile lasciar pensare che fossero tutti uomini. Non a caso nel commento del dato, declinato soltanto nella sua articolazione temporale (per sottolineare il calo durante il lockdown) e geografica, si arriva alla solita solfa: chi viola i divieti (sottinteso: tutti uomini) rischia poi di diventare stalker e peggiorare i suoi atti di maltrattamento e violenza. Tanto che, e questa è la soluzione proposta, l’ideale è rafforzare la rete di prevenzione e rieducazione di questi orribili soggetti, con il supporto (leggasi: finanziamento) dei centri specializzati a questo scopo (leggasi: centri per uomini maltrattanti, centri antiviolenza). Qui, tramite la semplice omissione del dato articolato per genere, il messaggio subliminale passa liscio liscio: solo gli uomini, sempre e solo loro violano i divieti per diventare persecutori e proseguire nella loro escalation di violenza verso le donne. Sempre e solo gli uomini. Per poterlo affermare, basta non dare l’informazione completa.
I teoremi antimaschili entrati nel sistema.
Ma è sulla quarta fattispecie che tutto il quadro salta per aria: gli attacchi finalizzati a sfigurare il volto della vittima, casistica inserita nel Codice Rosso in riferimento agli attacchi con acido. Criticammo ai tempi questa cosa per la preminenza data al volto, quasi un’implicita priorità data al danno alla bellezza che non al danno fisico in sé. Come a dire che il fascino perduto di Lucia Annibali o l’occhio di Gessica Notaro vale di più dell’effettiva disabilità di William Pezzulo. Un’insensatezza che però finisce per essere un boomerang: nel corso dei dodici mesi di applicazioni si sono registrati 56 attacchi, nella maggior parte dei casi (43) a danno di uomini. Tutti attacchi con l’acido? No, assolutamente: la norma parla di casistiche in cui il volto della vittima finisce deturpato in qualsivoglia maniera, il riferimento all’acido emerse solo nel dibattito parlamentare e sui media. Fatto sta che sono di più gli uomini vittime, cosa che il report commenta con queste frasi sostanzialmente senza senso: «La norma, sopprimendo l’aggravante precedentemente inserita nell’art. 583, riconosce alla deformazione dell’aspetto attraverso lesioni permanenti al viso, un più grave disvalore rispetto alle altre lesioni gravissime, e vi riconduce anche tutte le violazioni precedentemente annoverate nella diversa fattispecie di lesioni personali gravissime con deformazione o sfregio permanente del viso. Le vittime di genere maschile, pertanto, risultano più numerose». “Pertanto” in che senso? Dove sta il nesso causale tra la norma innovata e la casistica? Mistero. Mentre non è misterioso, anzi è palpabile l’imbarazzo della Polizia nel dover commentare questo dato.
Tutto questo è frutto di malafede? È già evidente che sì, ma qualche dubbio può rimanere. Ebbene, la Polizia di Stato ci tiene che non si abbia titubanze in questo senso. Ecco allora che nel capitolo finale delle conclusioni (pagina 14) si elabora un commento per i dati raccolti sui matrimoni forzati, uno sul revenge porn, uno sulle violazioni dei divieti di avvicinamento e per gli attacchi attacchi atti a sfigurare… NO! Abbiamo letto e riletto più volte, scaricato e riscaricato il documento per vedere se non ci eravamo persi qualche pezzo, ma no, semplicemente la Polizia non elabora alcun commento sulla fattispecie che vede più vittime tra gli uomini. Non una riga, non una parola: omissione totale di ogni osservazione su un dato precedentemente illustrato e significativo, come parte prevista dal Codice Rosso. Qualcuno ha ancora dubbi sulla malafede di report come questi e, lasciatecelo dire, sul degrado ideologico a cui è stata costretta la Polizia di Stato, come già avevamo registrato in precedenza rispetto ai dati della app “YouPol” e in quelli degli ultimi report “Questo non è amore“? Ma soprattutto: il degrado riguarda solo la Polizia di Stato o anche altri gangli fondamentali, ad esempio la Magistratura nel suo complesso? Si tratta di una falsificazione clamorosa e per questo non stupisce che il report sia ospitato all’interno del sito ISTAT. Clamoroso è anche il fatto in sé, che testimonia in modo fin troppo chiaro quale sia l’orientamento operativo quotidiano che un intero sistema mette in atto a danno di un genere specifico, pur in presenza di leggi generiche e costituzionalmente ineccepibili. E di quanto i teoremi antimaschili del femminismo abbiano permeato in modo tentacolare ogni minimo anfratto della vita pubblica, avviando quest’ultima su uno sbilancio ingiustificato di cui fanno le spese gli uomini di oggi e ancor più ne faranno gli uomini di domani.