La Fionda

Il caso Ilaria Salis e la magistratura impermeabile

Il caso di Ilaria Salis è emblematico di come le cose funzionino in Italia e più genericamente nell’area occidentale colonizzata dall’anglosfera, e di come invece funzionino altrove. La cronaca: Ilaria Salis è una donna di 39 anni, di professione maestra, residente a Monza. Nel febbraio 2023 viene arrestata e incarcerata a Budapest, Ungheria, con l’accusa di aver procurato lesioni a due uomini, in concorso con altri due di nazionalità tedesca, uno dei quali ha già patteggiato una pena di 3 anni, dopo essersi confessato colpevole. Il processo della Salis invece prosegue e la donna rischia una condanna fino a 24 anni di carcere, perché l’accusa non le attribuisce soltanto l’aggressione ma anche la premeditazione. Secondo la pubblica accusa ungherese, infatti, la donna avrebbe organizzato la sua trasferta-pestaggio, individuando in anticipo gli obiettivi e concertando l’assalto. Questa è la vicenda, raccontata in base ai fatti nudi e crudi che risultano dalla lettura di diversi organi di stampa che se ne sono occupati e dai quali, per esempio, non si riesce a trovare una fonte affidabile che dica quanto gravi siano state le lesioni subite dalle due vittime. Sapere l’ungherese e leggere i media locali aiuterebbe, ma fin lì non arriviamo.

Arriviamo però a leggere la stampa italiana e quella in lingua inglese, cosa che ci permette di raccogliere qualche impressione aggiuntiva utile ad arricchire il quadro. Tanto per cominciare, in nessuno dei media italiani da noi compulsati si parla dell’ipotesi di premeditazione. In compenso la Salis viene qualificata non come maestra o monzese, ma unanimemente come “militante antifascista”. Di contro, i due uomini vittime della sua presunta aggressione vengono unanimemente definiti “neonazisti”. Sì, perché pare che a Budapest si tenga periodicamente una sorta di celebrazione del defunto Terzo Reich che richiama gente da tutta Europa. Una celebrazione controversa, che le autorità ungheresi vietano uno anno sì e un anno no, e nell’anno no la autorizzano con una presenza di forze dell’ordine doppia rispetto a quella dei partecipanti. Due di questi nostalgici della croce uncinata pare fossero il bersaglio delle botte che la Salis è accusata di aver dato, insieme a due compari tedeschi. Nel raccontare tutto questo, non c’è giornale italiano che non sbrodoli solidarietà e indulgenza nei confronti della maestra monzese. D’altra parte è donna e, nel caso, avrebbe soltanto mazzuolato due neonazisti uomini, che male c’è?

L’inquinamento della politica.

Diversa è la musica se si leggono media ungheresi (ad esempio questo) e non (ad esempio la britannica BBC) in lingua inglese. Magicamente sparisce la glorificazione della “militante antifascista” e i fatti vengono tendenzialmente riportati per come sono, con alcuni particolari di fonte ungherese che qui in Italia non leggerete mai. Da essi si trae che l’arresto della Salis e dei suoi presunti complici rientra in una strategia più generale atta a interrompere le frequenti aggressioni a sfondo politico che da tempo avvengono a Budapest e più in generale in Ungheria. Pare infatti che, un po’ come i viaggi organizzati a Lourdes, gli “antifa” d’Europa organizzino veri e propri pellegrinaggi nella capitale centroeuropea e lì si diano a battute di caccia al neofascista o al neonazista, talvolta dopo aver tenuto campi di training per simulare le aggressioni che poi realizzeranno in loco. In rete circolano anche diversi video di queste aggressioni che appaiono particolarmente brutali e non quei buffetti che i giornali italiani tendono a raccontare. Qui sopra ne postiamo uno, non è chiaro se sia quello che è servito a mettere la Salis sotto accusa, dalle fonti non si capisce. Si capisce però, anche dal sangue sul volto dell’aggredito, che non si tratta di qualche ceffone.

A margine della vicenda, visto che né il governo, né tanto meno la magistratura ungherese hanno intenzione di porre la Salis sotto il regime giudiziario italiano, forse perché sanno che verrebbe immediatamente messa in libertà, media e politici si sono concentrati sui trattamenti a cui la donna sarebbe sottoposta, dall’essere tratta ammanettata davanti al giudice alle pessime condizioni della cella dov’è detenuta. Pur di interferire con la giustizia magiara, si è arrivati a scomodare mamma Unione Europea (che già con l’Ungheria non va tanto d’amore e d’accordo), il padre della donna con annessi appelli sui media, un po’ di ONG e pure un partito italiano di sinistra o estrema sinistra nelle cui liste per le europee, secondo “Il Foglio”, la Salis sarà candidata, onde garantirle l’immunità (cosa però poi smentita dai leader del partito in questione). Ancora non si sa se Mattarella le abbia già firmato il decreto di conferimento del cavalierato della Repubblica, ma probabilmente non manca molto. Ora la domanda è: perché ci occupiamo di questo caso? Per due motivi. Il primo è banale: mostrare una volta di più quanto schifo viene a galla quando la politica o le ideologie si infiltrano nelle questioni. Il secondo invece è un po’ più profondo e complesso.

ilaria salis mobilitazione

Dove le leggi funzionano e dove no.

Le leggi sono neutre e neutrali sono coloro che hanno il compito di farle rispettare. Se rompo la schiena a un pedofilo, commetto un reato. Io vado in carcere e lui riceve da me un risarcimento. Se lo ammazzo, lui non riceve risarcimento, ma io resto in carcere a vita. E questo rimane vero e giusto anche se l’ho picchiato o ammazzato perché aveva violentato mia figlia. Che debba essere così, piaccia o no, sta alla base, in ogni paese civile, di quel comune accordo fondativo del sistema giudiziario a cui si delega il monopolio della coercizione e che agisce a nome dello Stato (cioè di tutti). O così, oppure è l’anarchia della vendetta personale, con tutto ciò che ne consegue. Si tratta di un meccanismo delicato che, per funzionare bene, deve essere lasciato lavorare in pace, sotto la sola regola della legge. Traspare invece da ogni giornale italiano l’idea: “eh, ma è l’Ungheria del sovranista Orbàn”, “eh, ma erano neonazisti”, “eh, ma lei è antifascista”. Da nessuna parte, stranamente, traspare “eh, ma è una donna”, ma non stupirebbe vederlo scritto: il modo ideologico con cui si eccepisce alla detenzione e al processo a Ilaria Salis è infatti assolutamente identico, cambiando i termini, al doppiopesismo che, con ben maggiore efficacia, si impone nei casi di violenza cosiddetta “di genere”.

Non si contano le leggi repressive declinate (e raccontate) al femminile. Il “Codice Rosso” è per proteggere le donne, la legge “anti-stalking” serve contro gli uomini che non si rassegnano, l’uccisione di una donna è “femminicidio” mentre quella di un uomo è un banale e ordinario “omicidio”, e così via. Certo, sulla carta valgono per tutti, ma nella pratica hanno un’applicazione quasi del tutto unidirezionale. Basta paragonare le pene comminate, a parità di reato, a condannati donne e uomini per averne la prova. Nel momento in cui la narrazione si attesta su qualcuno che rappresenta il bene assoluto (la donna, l’antifascismo, eccetera) e qualcuno che rappresenta il male assoluto (l’uomo, il neonazismo, eccetera), ci si allontana anni luce dalla giustizia, che è chiamata a interpretare le cose solo come “Tizio/a ha provocato lesioni a Caio/a”, considerando specifici corollari al massimo come aggravanti, punto e stop. Molti media, politici e gruppi di pressione italiani sono profondamente indispettiti da come la giustizia ungherese si stia dimostrando impermeabile alle narrazioni italiane, comunitarie e occidentali e stia procedendo sulla strada dettata dalla legge. Qualcosa che in Italia, tra una riforma e l’altra, tra un taglio di bilancio e l’altro, tra un’infiltrazione ideologica e l’altra, non si vede tanto tempo. Con tutto ciò, sia detto per chiarezza, per noi la Salis è e resta innocente fino a una sentenza che dica il contrario, emessa dopo un giusto processo, e non può essere concepibile, nell’Europa del 2024, che una carcerata venga detenuta in condizioni disumane, qualora le descrizioni che se ne fanno corrispondano alla verità. Ne abbiamo parlato non perché il suo caso singolo ci interessi. L’abbiamo detto all’inizio: a noi interessa il sistema per come funziona in Ungheria, per poter dire come e perché, a termini ideologici mutati, non funzioni dalle nostre parti.



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