Con la colorazione delle regioni tendente al rosso ripartono le limitazioni imposte dalla pandemia, e parallelamente riparte anche l’allarme per la violenza domestica. Abbiamo scritto più volte, rilevando le contraddizioni dei centri antiviolenza perché i contatti erano in calo, narrazione prontamente modificata in “chiamate in aumento”. Il lockdown costringerebbe le donne italiane in casa (tutte) con il proprio carnefice (lo siamo tutti), quindi l’unica possibilità per salvarsi dal femminicidio sarebbe quella di fuggire. L’allarme deve per forza essere il più grave possibile, persino l’ONU durante la prima ondata del Covid 19 ha paventato l’aumento delle violenze e dei femminicidi legato al lockdown. E adesso si ricomincia, ormai il meccanismo è rodato, non verrà ripetuto l’errore dell’altalena meno contatti – più contatti, l’allarme per questa seconda ondata sarà comunque oltre i livelli di guardia. C’è però qualcosa di nuovo: molti uomini hanno cominciato, già adesso, a chiamare il 1522 a causa di una serie di violenze subite, da quelle fisiche e quelle psicologiche, comprese le violazioni di diritti in generale e delle frequentazioni con i figli in particolare.
Qualcuno ha chiamato per chiedere un aiuto concreto, qualcuno per ricevere suggerimenti su come comportarsi, qualcuno solo per chiedere informazioni. La gamma delle situazioni descritte è ampia, va da chi ha ricevuto schiaffi e calci a chi è stato minacciato con forbici e coltelli, e poi capelli strappati, unghiate sul viso, lancio di oggetti, insulti ed umiliazioni, impedimenti nel vedere i figli. Abbiamo raccolto diverse testimonianze di questi uomini che hanno chiamato il 1522, tutti concordano sul fatto di aver ricevuto risposte sempre deludenti, in alcuni casi irridenti. Mauro di Ladispoli (RM), Mauro di Roma, Sergio di Taranto, Mauro Carlo di Aosta, Aurelio di Roma, Luciano di Pescara e Francesco di Tuturano (BR) riferiscono che le operatrici del 1522 in alcuni casi si sono mostrate dispiaciute per non poter fornire aiuto: “mi dispiace, questo è un Numero Rosa dedicato alle donne”. C’è poi la risposta arrogante della tizia che mostra fastidio nel dover rispondere alle domande di un uomo: “senta, che ci posso fare se la rete è antiviolenza donne? Voi maschi potevate organizzarvi”. Ha detto proprio così, maschi, secondo la immancabile contrapposizione imposta dall’ideologia tossica: donne-maschi. Non donne-uomini o femmine-maschi, rigorosamente donne-maschi per cui donna è un termine alto e nobile mentre maschio è squalificante a livello animale, il maschio del cinghiale, del cervo, del topo. Termine utilizzato come dispregiativo, quasi una tara della quale doversi vergognare.
L’elenco delle vittime maschili bisogna rastrellarlo tra le piccole testate locali online.
Inoltre la risposta faziosa dimostra l’incompetenza di chi la dà. Ciò che la signora insinua essere una mancata organizzazione di “noi maschi” è in realtà una scelta politica ben precisa, quella di non riconoscere la possibilità che la metà maschile del mondo possa subire violenza. L’impegno massiccio di ogni forza politica a favore delle donne, sempre delle donne, esclusivamente delle donne comporta non solo l’erogazione di fondi pubblici da ogni ente nazionale e territoriale, non solo la creazione di un numero verde istituzionale dedicato esclusivamente alle donne, non solo il finanziamento di centri antiviolenza e case di fuga solo per donne, non solo il finanziamento di studi e ricerche istituzionali esclusivamente sulle criticità femminili, ma anche e soprattutto una copertura mediatica incessante per far si che ad ogni ora del giorno e della notte si susseguano dibattiti ed approfondimenti sulla terribile discriminazione dell’universo femminile, attraverso bufale diramate a reti unificate e per questo assurte al rango di “credibili” come conseguenza della ripetizione sistematica. Col risultato di riuscire a condizionare le coscienze, Goebbels docet.
Il gender pay gap, i numeri del femminicidio, i numeri delle denunce, l’impossibilità di chiedere aiuto nel lockdown… tutte bufale smontate più volte. Si esprime chiunque, dai parlamentari di ogni schieramento a improbabili opinionisti della TV del dolore, e tutti sgomitano per dichiararsi in prima linea contro la violenza subita dalle donne. Esiste solo quell’argomento, gli uomini vittime di violenza non esistono. Ad una enfatica narrazione delle vittime femminili corrisponde il sistematico oscuramento delle vittime maschili di violenza. L’unico decesso come conseguenza di attacco con l’acido è un uomo, ma non ne ha parlato nessun TG nazionale, non si è stracciato le vesti nessun politico, non sono partite raffiche di conferenze stampa e comunicati, non se ne sono occupati i talk show sulle reti pubbliche e private come succede quando la vittima dell’acido è una donna. È solo un esempio, l’elenco delle vittime maschili – consultabile in parte anche su questo portale – bisogna rastrellarlo tra le piccole testate locali online, i media nazionali non ne parlano mai.
Dal 2010 non è cambiato nulla.
Oscurare le notizie non è l’unica strategia finalizzata a disconoscere le vittime maschili, che si tratti di una scelta politica emerge prepotentemente osservando il proliferare di studi sulle vittime femminili e la totale assenza di studi a ruoli invertiti. ONU, Consiglio D’Europa, ISTAT, Ministero dell’Interno, Censis, Eures ed Eurispes divulgano con assiduità dati solo sulle vittime femminili, neanche un euro viene investito e/o una risorsa umana viene impiegata per studiare il fenomeno inverso. Ecco il loop: sulle vittime maschili non devono esserci dati per poter dire che il fenomeno non esiste in quanto non ci sono dati. Da un’operatrice del 1522 arriva anche il tentativo di spiegazione sul perché gli uomini vittime di violenza non possano contare su alcun aiuto istituzionale: “il 98% delle violenze sono subite dalle donne”. È un dato fantasioso, ma non è una novità. Le fonti dove sono? Nessuna delle persone indottrinate all’ideologia tossica si preoccupa di documentare i numeri che spara a caso.
Resta che in sostanza non bisogna occuparsi degli uomini vittime di violenza perché le donne sono di più. Principio folle che abbiamo sottolineato più volte: nessuno sosterrebbe che non bisogna occuparsi dei diritti degli omosessuali perché gli etero sono di più, o che non bisogna occuparsi dei diritti dei disabili perché i normodotati sono di più. Il principio vale solo per le vittime maschili, che non avrebbero alcun diritto di tutela perché le vittime femminili sono di più. Si chiama sessismo, discriminazione in base al sesso, ancora più grave in quanto sessismo istituzionale Non si tratta solo dell’opinione di una singola operatrice, il sessismo istituzionale dilaga. Se altri uomini volessero riferire la propria chiamata al 1522, le richieste fatte e le risposte ricevute, noi siamo qui a renderne conto. La preghiera è solo quella di registrare la conversazione, noi ci preoccupiamo di poter dimostrare ciò che sosteniamo. Già lo facemmo 10 anni fa portando alcune registrazioni alle Iene, che con Giulio Golia andarono a chiederne conto all’allora Ministro Carfagna. Dal 2010 non è cambiato nulla, il sessismo istituzionale continua a regnare incontrastato, proviamo a ripetere l’esperimento.