Stiamo parlando dei “femminicidi”? Macché, noi non parliamo di cose non definite. E per quel poco che è definito il “femminicidio”, quest’anno in Italia siamo ai minimi storici, cosa di cui per altro siamo felicissimi. No, stiamo parlando di un evento che ci ha colpito molto, ovvero la morte della giudice Aurelia Del Gaudio, qualche giorno fa. Stava cucinando, la fiamma dei fornelli ha attecchito ai suoi abiti e l’ha immediatamente divorata, nonostante l’intervento immediato del marito. La corsa al pronto soccorso non ha purtroppo salvato la donna, che di fatto ha perso la vita per uno sciocco incidente. Un incidente domestico. Questo tragico fatto ci ha indotti a chiederci quante volte capitino casi del genere. L’esito di una breve ricerca è stato sconvolgente.
Sconvolgente perché non esiste un dato ufficiale, inteso come prodotto da un ente pubblico, che dia una misura della mortalità conseguente a incidente domestico. Esiste una ricerca ISTAT risalente al 2014 dove il fenomeno viene studiato sotto molti aspetti, ma non quello della mortalità. L’esito della ricerca dà come categorie più a rischio le casalinghe, gli anziani e i bambini, ovvero coloro che passano più tempo tra le mura domestiche e dunque sono più soggetti, sebbene per motivi diversi, a rimanere vittime di incidenti di vario tipo. Esistono altri studi oltre a questo dell’ISTAT, ma molto datati, oppure qualcosa di più recente, ma a livello europeo, dove si parla degli incidenti domestici addirittura come quarta causa di morte (250 mila decessi all’anno).
Nessun benaltrismo, ma pura verità.
L’unico dato italiano abbastanza recente (2017) e di una qualche ufficialità proviene dal Dipartimento di Medicina del Lavoro dell’Ispesl (Istituto per la prevenzione e sicurezza del lavoro), secondo cui i decessi da incidente domestico assommano a una media di 8.000 all’anno. Avete letto bene: banali incidenti in casa si portano via ottomila persone ogni anno nel nostro paese. Fughe di gas, folgorazioni elettriche, cadute, incendi, incidenti con coltelli o lame, sono i casi che più frequentemente generano morti in casa i quali, si conferma, appartengono soprattutto alla categoria delle casalinghe, degli anziani e dei bambini. Non si riesce a reperire il dato dei decessi suddiviso per genere, ma incrociando le statistiche disponibili e facendo una proiezione logica, è ragionevole pensare che le vittime femminili si aggirino tra il 70 e il 75%.
Stiamo parlando di una vera e propria mattanza. Una delle tante che avvengono silenziosamente nel nostro paese e che si associano ad altre carneficine: gli incidenti sul lavoro o per incidente stradale (entrambi a prevalenza maschile) o quelli per infezioni post-ricovero ospedaliero (si stima la raccapricciante cifra di 10.000 persone, equamente distribuiti tra uomini e donne). Perché sono dati importanti, nella nostra ottica? Perché l’accusa di benaltrismo è sempre dietro l’angolo: quando ci vengono a parlare di “emergenza femminicidio” pensiamo subito a casi come quelli citati, ben più gravi e diffusi, dunque prioritari da affrontare da parte dei decisori. Ma se si prova a menzionare qualcosa di diverso, si viene subito tacciati appunto di benaltrismo. Un trucco per dribblare l’accusa? Dire la pura e semplice verità: in Italia è più facile che una donna muoia in un incidente domestico o per un’infezione ospedaliera che per mano del proprio marito, ex marito, fidanzato, ex fidanzato. Provate a dire così, numeri alla mano, se volete vedere una femminista squagliarsi come un vampiro alla luce del sole.