Guerra tutta sarda quella che sta avvenendo a Cagliari tra il Sindaco Paolo Truzzu e Michela Murgia. In città di recente sono apparsi alcuni manifesti che le cronache definiscono “no vax”. In effetti riportano informazioni sicuramente non conformi alla narrazione dominante sul tema virus e dintorni, visto che parlano di vaccinati contagiosi e di vaccino come “siero sperimentale”. Di fatto il contenuto non è importante: i manifesti sono stati affissi su spazi di concessione privata, ovvero un tizio proprietario di spazi pubblicitari ha venduto agli autori dei manifesti un tot di tempo di esposizione, è stato pagato e l’autore o gli autori dei manifesti hanno affisso i loro messaggi. Così funziona, semplicemente. Con questa procedura si può affiggere tutto ciò che si vuole, purché non confligga con la legge. Un manifesto antisemita o razzista, o contenente immagini porno o violente, non potrebbe essere affisso, nemmeno in uno spazio privato.
In altre parole, il messaggio dei “no vax”, fondato o meno che sia (non di questo vogliamo parlare), non viola alcuna legge, è perfettamente legale (almeno per ora) ed è dunque legittimo che stia dove sta. Se non che alla Murgia questa cosa non sta bene. Da buona femminista contemporanea, si mostra perfettamente allineata al pensiero dominante (d’altra parte il femminismo oggi ne è parte integrante) e bacchetta il sindaco Truzzu, colpevole di non far rimuovere i manifesti. La risposta del primo cittadino non si è fatta attendere, ed è da manuale: «Siamo in una democrazia solida e non deve essere la politica a stabilire cosa si possa dire e cosa no. E quei manifesti sono affissi in concessioni di un privato, non del Comune». L’unica parte discutibile è che la nostra sia una democrazia “solida”, per il resto è semplicemente l’ABC delle libertà costituzionali e una lezione di liberalismo alla Murgia. Quando la politica stabilisce cosa si può dire e cosa no, si è in dittatura. Idem sul resto: gli spazi sono privati, il messaggio non viola la legge, non ci sono margini per un’inaccettabile ingerenza del Comune.
Paolo Truzzu, Sindaco di Cagliari
Dettare legge in modo arbitrario.
Un orrido mansplaining da parte del Sindaco alla pasionaria del transfemminismo italiano, insomma, che infatti risponde per le rime. E la sua risposta, al di là delle questioni sì vax-no vax, è davvero da manuale: «in nessuna città è sufficiente che qualcuno voglia affiggere qualcosa e paghi la tassa di affissione perché quel contenuto sia automaticamente pubblicabile negli spazi urbani», tuona la Michelona. «Impedire la diffusione di un contenuto palesemente dannoso per la salute pubblica non è un’ingerenza politica, come sembra pensare il sindaco, ma un dovere istituzionale ineludibile». Non sa, anzi fa finta di non sapere, l’opinionista, che ciò che è “palesemente dannoso” per lei o per quelli come lei, può non esserlo per altri che abbiano un pensiero diverso da suo. A dirimere la questione, come detto, è la legge, non altro. E la legge non sanziona (ripetiamo: per ora) le opinioni no vax. Rimane il fatto che se la politica invade uno spazio privato per censurare un pensiero ritenuto soggettivamente “dannoso”, fa una cosa fascista o comunista, totalitaria insomma. Di quelle che piacciono un sacco alla Michelona: d’altra parte sul come fare i fascisti ha scritto un best-seller, che forse, a questo punto, in futuro verrà riqualificato come autobiografico.
Non paga, però, la Murgia, incontenibile quando si tratta di conculcare le libertà altrui, aggiunge (corsivi nostri): «dire che il vaccino sia inutile, sperimentale o addirittura dannoso è un’opinione personale legittima, ma solo se la dico a cena a tavola con gli amici. Se invece viene affissa su un cartellone in uno spazio pubblico di cui non è nemmeno chiara la committenza, si trasforma in un messaggio dall’aria autorevole e dal linguaggio invasivo che assale senza contraddittorio qualunque passante vi posi lo sguardo sopra». Insomma, decide lei in quale contesto certe cose si possono dire o no. Non la legge: è lei, Michela Murgia, che decide se e quando un’opinione è legittima. Il sogno tirannico di Michelona e delle femministe sta tutto lì: dettare legge in modo arbitrario, al di sopra (molto al di sopra) della legge e sulla base di proprie opinioni personali, considerate a prescindere come buone, giuste, vere, sacrosante, tanto quanto quelle opposte sono, sempre a prescindere, manifestazioni d’odio, omofobia, maschilismo, eccetera eccetera. Basterebbe questo per indicare una volta di più quale sia la natura di gente della schiatta della Murgia, ma quanto dice dopo è assai più rilevante.
L’avanguardia più avanzata, sfacciata e spregevole.
Secondo lei infatti se un messaggio (a suo dire) fasullo viene affisso, acquista un’autorevolezza che assale il passante senza possibilità di contraddittorio. Vero, ha ragione su questo. E a darle ragione, qualche anno fa, ci fu anche il giudice Cecilia Pratesi, sezione civile del Tribunale di Roma, la quale, in riferimento al manifesto riportato qui sopra e ai tempi affisso in gigantografia per tutta la capitale, ne riconobbe la natura farlocca, l’infondatezza dei numeri, il parossismo del messaggio. A contestarlo c’eravamo noi: ne chiedevamo la rimozione in quanto oltraggioso per uomini e donne. La rimozione però non venne concessa perché, disse il giudice Pratesi (che poi scoprimmo essere della corrente di Magistratura Democratica, quella amica del PD), il problema era nostro e di una nostra “idiosincrasia” verso il messaggio veicolato. Una sentenza vergognosa anche perché, a differenza dei manifesti no vax, che si limitano a diffondere il proprio punto di vista, i manifesti del 1522 erano, nella loro falsità, profondamente offensivi per donne e uomini. Un vero e proprio insulto basato su dati infondati che per di più, direbbe la Murgia, diventavano autorevoli e assalivano il passante senza possibilità di contraddittorio. Solo che, ne siamo certi, se glielo chiedessimo, stavolta la Michelona direbbe che il manifesto del 1522 conteneva dati “scientifici” tanto quanto i manifesti dei no vax ne contengono di antiscientifici. D’altra parte decidono lei e le sue amiche cosa va e cosa non va. E in queste condizioni i due pesi e le due misure sono la regola.
Covid, misure restrittive e Green Pass stanno tirando fuori il peggio dalla società, comunque la si pensi su quegli argomenti. A farne le spese sono due cosette che fino a poco tempo fa avremmo considerato non da poco e che ora sembra siano in fondo alla lista delle priorità: la libertà e la democrazia. Il femminismo è stato un apripista rispetto a questo processo: da anni spaccia dati fasulli e li impone all’opinione pubblica sottraendosi a qualunque tipo di contraddittorio con chi potrebbe opporne di scientifici e comprovati. Il brutto è che le femministe sanno benissimo, sulle questioni di loro competenza, di essere le complottiste della situazione. Ma sanno anche di essere un genere di complottiste che ce l’hanno fatta e che per questo tiene la narrazione pubblica per le redini (e per le palle). Così, grazie alla sua contiguità con il potere sistemico, sulla questione vaccini e dintorni il femminismo si schiera dalla parte dei vaccini e del Green Pass, ignorando quale gigantesco corto-circuito rischi. Provate infatti a chiedere a una femminista un parere sull’aborto. Vi risponderà: my body, my choice, il corpo è mio e decido io. Chiedetele poi se è favorevole o contraria al Green Pass, al vaccino obbligatorio (o alla prostituzione). Improvvisamente vedrete che il principio my body, my choice non vale più: anche se il corpo appartiene a ogni individuo, la scelta di cosa farne in quei casi non è più libera e può essere presa da altri. Tutto passa come se fosse normale, perché il femminismo è da sempre l’incarnazione di uno Zelig selettivo: si trasforma come un camaleonte, ma solo per conformarsi a tutto ciò che garantisce posizioni di potere assoluto. Michela Murgia e la sua voglia incontenibile di dettar legge su cosa si può dire e cosa no ne rappresenta l’avanguardia più avanzata, sfacciata e spregevole.