Due giorni fa si è diffusa la terribile notizia dell’insegnante 33enne che in Calabria si è dato fuoco. Immediatamente alcune testate giornalistiche, tra cui alcune piuttosto importanti, hanno ipotizzato che il gesto dell’uomo derivasse dalla disperazione per essere stato sospeso dal lavoro in quanto non vaccinato o per le generali limitazioni alla libertà connesse allo stato vaccinale. Sulla scorta di questi primi resoconti giornalistici, per molti quell’uomo è diventato subito un nuovo Jan Palach. I media mainstream all’inizio hanno ignorato la notizia, che in questi termini è circolata soprattutto sul web e sui social. Noi stessi, prendendo per buone le prime cronache pubblicate, l’abbiamo rilanciata, generando numerosi mal di pancia in molti follower. È stata un’ottima occasione per individuare tra di essi le persone cariche di un cinismo disumano intollerabile, dunque meritevoli di un’espulsione dai nostri canali social, tuttavia siamo stati costretti poche ore dopo ad affrontare la retromarcia dei media ufficiali. Scoperto che l’uomo era bivaccinato, tutto il mainstream, prima molto reticente, si è gettato sulla notizia, additando il mondo “no-vax” con l’accusa di aver speculato sulla vicenda. In realtà il marcio e la malafede stanno proprio nei media, da cui molti, noi compresi, hanno preso spunto per elaborare i commenti in una prima fase, ma non è questo il punto. Il punto è la domanda che molti follower ci fanno rispetto al nostro posizionamento dubbioso rispetto ai vaccini anti SARS-Cov2 e al loro funzionamento, ma soprattutto la nostra radicale contrarietà al green pass. «Occupatevi di diritti maschili», ci viene rimproverato, come se non fossimo liberi di parlare un po’ di quello che ci pare. Però questo tipo di protesta merita una risposta più articolata di quella che in genere diamo sui social ovvero: ci opponiamo al green pass perché è lesivo delle libertà individuali e collettive. In genere questa risposta non soddisfa, e per questo vorremmo ora spiegarci meglio, recuperando un prezioso intervento pubblicato su Facebook da Andrea Zhok, professore associato presso l’Università di Milano. Lo riportiamo qui integralmente perché molto rilevante in generale, ma anche perché contiene un’indicazione assolutamente cruciale, che segnaliamo con un nostro corsivo. Eccolo di seguito.
«È noto come la Commissione Europea avesse progettato sin dal gennaio 2018 l’implementazione di un pass sanitario per i cittadini UE (vaccination passport for EU citizens). L’intento dichiarato concerneva la mobilità tra paesi dell’UE e la “road map” che era stata proposta aveva il 2022 come data di implementazione definitiva. Il fatto che questo progetto fosse inteso soltanto come limitazione agli spostamenti tra paesi non deve trarre in inganno circa la radicalità del progetto. Infatti è da tempo che le normative europee non contemplano alcuna distinzione netta tra la mobilità interna a ciascuno stato dell’UE e la mobilità tra stati, e dunque un passaporto vaccinale che potesse porre limitazioni alla mobilità tra stati implica di principio una legittimazione generale a porre limitazioni ad ogni mobilità territoriale, a qualunque livello. È anche interessante notare che la proposta del 2018, una volta resa pubblica e commentabile dalla cittadinanza venne subissata da una debordante quantità di critiche, al punto che i commenti pubblici sulla pagina dedicata nel sito della Commissione Europea vennero bloccati nel marzo 2018. Dopo questa accoglienza il progetto sembrava sospeso. Ora, assumiamo ragionevolmente che la Commissione Europea ignorasse l’emergere futuro della pandemia di Sars-Cov-2. La domanda interessante da porre sotto queste condizioni è: quale era la ratio originaria di tale passaporto vaccinale? Questa domanda si impone perché: 1) nella legislazione UE un blocco alla libera mobilità è una cosa assai seria, implicando di diritto un’esclusione generalizzata ad accedere a luoghi e possibilità di lavoro; 2) non c’erano state nella storia europea degli ultimi cento anni eventi epidemici di peso tale da lasciar prevedere serie necessità di contenimento.
Un nuovo radicale controllo sulla popolazione.
Dunque, perché spingere tale proposta, al tempo stesso ricca di implicazioni e priva di forti motivazioni sanitarie? Per tentare una risposta dobbiamo chiederci quali sono le caratteristiche intrinseche di un tale passaporto, a prescindere dalla specifica, eventuale, emergenza sanitaria. Un passaporto sanitario così concepito ha caratteristiche specifiche, del tutto diverse da qualunque altra “licenza” ordinaria. Se desidero guidare un’automobile, o portare una pistola, farò una domanda per ottenere una patente di guida o un porto d’armi. Guidare o portare un’arma sono “poteri ulteriori” che acquisisco rispetto alle persone che mi stanno attorno, e tali poteri possono mettermi nelle condizioni di esercitare una minaccia verso il prossimo. Le relative licenze vengono perciò erogate a seguito di una serie di esami volti ad assicurare l’idoneità, la capacità e l’equilibrio di chi potrà in seguito circolare su un’automobile o con una pistola. Se desidero ottenere una facoltà supplementare mi sottopongo ad un esame che rassicura la collettività intorno alla mia capacità di gestirla. Un passaporto vaccinale invece opera in modo inverso: anche se io non chiedo né pretendo nulla, esso mi sottrae alcuni diritti primari di cittadinanza, come i diritti di movimento o accesso, fino a quando io non abbia dimostrato di meritarli. Questo è il primo punto che deve essere sottolineato: qui siamo in presenza di una sottrazione di diritti generali della cittadinanza, e non di una richiesta personale di accesso ad ulteriori facoltà (come per le “licenze” di cui sopra). In stretta connessione col primo punto sta il secondo: il passaporto vaccinale crea un’inversione dell’onere della prova. La situazione è tale che io ho accesso ai miei diritti di cittadinanza solo se dimostro di esserne degno, mentre nelle condizioni antecedenti io avevo intatti i miei diritti fino a quando non fossi stato dimostrato indegno di essi. Quest’inversione dell’onere della prova rappresenta un cambiamento di paradigma gravido di implicazioni: ora sta a me dimostrare di essere normale e di poter vivere in modo normale; e se per qualche motivo non sono in grado di dimostrarlo (foss’anche per un malfunzionamento tecnico), immediatamente ciò mi mette in una condizione di grave deprivazione (spostamenti, istruzione, salario, lavoro).
C’è infine una terza caratteristica decisiva: un passaporto vaccinale è concepito come testimonianza di una condizione intesa come durevole. La condizione di normalità (la non patologicità) è ora qualcosa che deve essere provato da ciascun soggetto in pianta stabile, a tempo illimitato. È importante notare come la condizione emergenziale (reale o presunta) è stata sì richiamata per introdurre questo lasciapassare, ma non è stata più richiamata per definirne i limiti. La sua introduzione non è stata accompagnata da alcuna definizione delle condizioni sotto cui esso sarebbe stato tolto. Anzi, nonostante ripetute sollecitazioni i governi che hanno adottato questa soluzione si sono sistematicamente rifiutati di chiarire sotto quali condizioni il lasciapassare sarebbe venuto meno in quanto superfluo. In questi giorni si parla di “durata illimitata” per chi ha fatto la terza dose, e il punto importante di questa proposta non sta naturalmente nel numero delle dosi ritenute imperscrutabilmente bastevoli dai nostri esperti da avanspettacolo, ma nell’idea che comunque il meccanismo implementato rimarrà in vigore senza limite temporale. Quand’anche le condizioni specifiche per il conferimento del lasciapassare verde venissero allentate, tale allentamento sarebbe sempre revocabile, proprio in quanto è l’istituzione del lasciapassare in quanto tale a rimanere in vigore. Veniamo così alla questione finale, quella determinante. Non sappiamo quali fossero le intenzioni originarie per l’introduzione di questo lasciapassare nella proposta del 2018, ma abbiamo tutti gli elementi per capire che, quali che siano state tali intenzioni, tale dispositivo consente di esercitare un nuovo radicale livello di controllo sulla popolazione.
Il degrado della libera cittadinanza.
Immaginiamo due scenari. Nel primo scenario tutta la popolazione accoglie senza fare resistenza questo dispositivo. Se questo accadesse chi governa avrebbe mano libera per effettuarne ulteriori “upgrade”, estendendo le funzioni di un sistema così ben accetto. A questo punto qualunque “virtù” che venisse efficacemente rappresentata come “di interesse pubblico” potrebbe divenire una nuova condizione da dover provare su base individuale per avere accesso alle condizioni di cittadinanza normale. Nel secondo scenario una parte della popolazione fa resistenza a questo dispositivo. Ciò permette a chi governa di presentare i “resistenti” come problema fondamentale del paese, come origine e causa dei malfunzionamenti e delle inefficienze che lo assillano. Se solo questi nostri concitttadini fossero virtuosi e non renitenti, i problemi non sussisterebbero. Questa mossa sposta la responsabilità dalle spalle di chi governa a quelle di una sezione della società, concentrando l’attenzione pubblica su di un conflitto interno alla società. Dal primo scenario si può passare al secondo quando gli “upgrade” del dispositivo diventano momentaneamente troppo esigenti, producendo una resistenza nella società. Dal secondo scenario si può passare al primo, quando la popolazione stremata finisce per rassegnarsi alle nuove condizioni.
Ecco, io non so se qualcuno abbia escogitato questo dispositivo a tavolino, con tali finalità. Se lo ha fatto possiamo complimentarci per l’ingegno, oltre che per il cinismo. Oppure nessuno lo ha inteso, ma semplicemente esso emerge come punto di caduta casuale di altre dinamiche. Ma questo non ne sottrae affatto le caratteristiche esiziali e la possibilità di essere utilizzato esattamente in questo modo. Di fatto un tale dispositivo può funzionare come un collare a strozzo per qualunque libertà e qualunque diritto, consegnando a tempo indeterminato un potere nuovo e radicale ai governi centrali sulla propria popolazione, accedendo ad un nuovo livello di controllo sociale e di compressione degli spazi di libertà. Questo è il momento decisivo in cui si determinerà il sentiero che andremo a prendere. In questo momento il lasciapassare verde, oltre ad essersi dimostrato un fallimento per ciò che prometteva di ottenere, risulta sempre più chiaramente sia inutile sul piano sanitario che dannoso su quello economico. Questo è il momento per cancellarlo. Se si permette che esso sopravviva, magari in una forma ad apparente “basso voltaggio” per qualche mese, esso diventerà un tratto definitivo della nostra vita, portando a compimento un processo di degrado irrevocabile nelle forme della libera cittadinanza».
Le “virtù” decise dall’alto.
Ecco, l’elemento chiave del solido ragionamento del Prof. Zhok sta proprio nella frase che abbiamo messo in corsivo: «A questo punto qualunque “virtù” che venisse efficacemente rappresentata come “di interesse pubblico” potrebbe divenire una nuova condizione da dover provare su base individuale per avere accesso alle condizioni di cittadinanza normale». Tra quelle virtù decise dall’alto potrebbero esserci tante cose: l’essere in regola con le tasse, la fedina penale pulita, una condotta di vita sana (che escluderebbe ad esempio i fumatori), ma anche altri aspetti più orwelliani, come l’assenza di prese di posizione pubbliche contrarie a una narrativa “virtuosa” definita come tale dall’alto. In parole povere, e centrando il tutto sui temi di nostra competenza: in futuro chi non si adeguasse ai diktat femministi o omosessualisti, ad esempio, potrebbe vedersi ritirato o invalidato il green pass del futuro, in quanto affetto da maschilismo o omofobia. Oppure si pensi a qualcuno che ha protestato perché sul lavoro gli è passata avanti una donna inquantodonna anche se meno capace e preparata; o a qualcuno che ha osato fare ricorso per non essere stato ammesso a una facoltà universitaria a causa delle quote rosa; o ancora qualcuno che sia stato denunciato per violenza da una donna (e poco importa se poi è stato assolto). Il concetto che sta alla base del green pass può essere ampliato oltre ogni limite pensabile. Fantascienza? Be’, l’avreste mai detto tre anni fa che avreste vissuto in un paese dove serve esibire un certificato qualificato connesso al vostro status farmacologico per prendere un autobus, un tram, un treno o per poter esercitare il vostro diritto di lavorare? Il totalitarismo è una malattia terribile, difficilissima da debellare. La chiave di tutto è cercare di prevenire la patologia con ogni mezzo. Ecco perché siamo e saremo sempre radicalmente contro il green pass e ogni altra forma similare di controllo sociale.