A proposito della polemica sulle parole di Barbero: “Le donne possono fare tutto quello che fanno gli uomini” è il mantra femminista ed è falso (ciò stupisce qualcuno?). Vero è invece il contrario: gli uomini possono fare tutto quello che fanno le donne e, in aggiunta, molto altro. Ciò è talmente evidente che può negarlo solo chi sa di poter mentire spudoratamente e impunemente. La costituzione fisica dei due è tanto diversa che non potrebbe essere superiore. Secondo la narrazione femminista la preponderanza fisica maschile esiste sì, ma viene utilizzata solamente per esercitare la violenza machista. In altri campi non si applica, non è essenziale: è irrilevante. Per questo “…le femmine possono fare tutto quello che…”. Questo racconto, che ha del demenziale, acquista una minima credibilità solo per il fatto che quel “tutto” viene riferito a un unico segmento delle attività e viene letto alla luce deformante del presente.
È chiaro che le donne possono svolgere tutte le attività intellettuali immaginabili e tutte quelle materiali compatibili con la loro struttura/complessione fisica. Ora, lo sviluppo della tecnica ha reso praticabili anche un numero enorme di professioni sin qui fuori dalla loro portata. Oggi qualsiasi donna può guidare non solo jet e astronavi, ma anche dei semplici camion, pale meccaniche, macchine operatrici da cantiere o da campagna e ovviamente treni e navi, da quando l’era del vapore è finita. Ciò vale per un’infinità di attività il cui esercizio era impossibile alle femmine del passato, mentre però ne restano moltissime tutt’ora impraticabili, regolarmente dimenticate. Perciò in questi giorni l’unica (sic!) boscaiola del Veneto (foresta del Cansiglio) può ripetere il mantra: «Come in tutti i lavori le donne possono fare tutto. Basta crederci» …e soprattutto basta fingere che le macchine oleodinamiche siano sempre esistite o che siano superflue. Con gli strumenti tecnici del XXI secolo sembra però che sia davvero così: le donne possono fare tutto. Una fiaba.
Pericolo sì, pericolo no.
Sembra tutto possibile se ci fermiamo al dimorfismo fisico, divario compensabile con le macchine o con gli esoscheletri, e in questo errore cadiamo spesso in modo irriflesso, come se quello fisico fosse l’aspetto più importante. In ciò sbagliamo perché trascuriamo il versante decisivo, quello psicologico che separa/divarica i due anche là dove la differenza fisica non conta niente. In sintesi si tratta della propensione al rischio di cui le femmine sono prive, giacché esse sono radicalmente autoprotettive. Lo sono per natura perché il loro valore biologico è superiore, perciò rifuggono dai pericoli manifestando sempre una grande prudenza diretta e raccomandando ossessivamente ai loro uomini di stare in guardia dai pericoli, conoscendo bene l’opposta disposizione maschile al riguardo. Gli uomini oscillano tra la prudenza e l’amore per il rischio, lo cercano persino, come sedotti, come se regalasse loro una sorta di voluttà. Se ci concentriamo sulle differenze fisiche perdiamo di vista l’aspetto psicologico che invece è quello determinante perché governa ogni comportamento.
È ovvio che deve esistere una connessione di origine evolutiva tra la prestanza fisica e la propensione al rischio, come è chiaro che un certo tipo di software presuppone una determinata potenzialità hardware, ma sono aspetti diversi. Quello che gestisce il comportamento è il primo ed è là che bisogna guardare altrimenti troppe cose restano senza spiegazione. Guardiamo allo sport. Tutte le discipline pericolose e tutti gli sport estremi, che non sono certo vietati alle donne, vedono gli uomini presenti in quote assolutamente preponderanti, anche là – valga per tutti il paracadutismo – dove appunto la prestanza fisica non conta assolutamente nulla. Le donne evitano le attività pericolose, siano esse della vita quotidiana, ludiche, sportive o professionali. Questa è la ragione per la quale non fanno tutto ciò che fanno gli uomini, ben al di là dei limiti dettati dalle prestazioni del corpo. I rischi inoltre non riguardano solo l’aspetto fisico/materiale (ferite, traumi, mutilazioni e morte), ma anche quelli economici, civili e penali, e anche qui si riverbera lo stesso orientamento, la stessa refrattarietà al pericolo. Non si tratta di egoismo di genere ma di pulsioni naturali connesse ai vantaggi filogenetici, in termini di prole già generata o potenziale, derivanti dalla sopravvivenza e dall’integrità fisica delle femmine.
Sentenza indiscutibile di Darwin.
Le attività umane spaziano da quelle svolte in sicurezza assoluta a quelle pericolosissime. Gli uomini possono ben svolgerle entrambe, le donne invece no. Esse evitano sistematicamente le seconde, ne rifuggono istintivamente, e qui viene il bello, perché ciò significa che è possibile imporre agli uomini tutte le attività sicure (femminili), ma non è possibile fare il contrario. Non esistono attività “da donna” giacché entrambi le possono svolgere, esistono invece “lavori da uomo” quelli che il femminismo bolla beffardamente come “cosiddetti maschili” e che sono davvero tali per natura: quelli che comportano pericolo (ben oltre la prestanza). Sì, gli uomini possono fare il bucato, stirare, spolverare, cambiare i pannolini, insegnare, educare, assistere persone malate o in difficoltà. Se si mostrano refrattari si può imporglielo, le donne invece non possono essere costrette alla pesca in mare aperto, al disgaggio delle frane, a lavorare nelle cave, a salire sui ponteggi, a stare in prima linea e via elencando. E questo è software, è psiche. Al di là del corpo dunque, è la psiche maschile che consente agli uomini di fare tutto il fattibile. Viceversa, ben prima del corpo, è la psiche delle donne ad impedir loro di fare altrettanto. Ciò è certamente cosa buona e giusta (e fonte di salvezza per la specie). Questo ha sentenziato Darwin e perciò non sono ammesse obiezioni.