di Redazione. Lo diciamo subito, a scanso di ogni equivoco: ciò che ha fatto Claudio Baima Poma è orrendo e non ha nessuna giustificazione. Molti sono i motivi che possono spingere un uomo e padre a togliersi la vita, un evento che accade innumerevoli volte all’anno, ma i figli no, quelli non si toccano, per nessun motivo. Mandarli all’altro mondo, le statistiche parlano chiaro anche in questo caso, è prerogativa materna e il deprecabile processo di femminilizzazione della polarità maschile non può e non deve spingersi a quell’infimo livello di imitazione. Ma se nessuna giustificazione può esserci per il gesto di Claudio, ugualmente non può essercene alcuna nemmeno per chi dà alla tragedia un’interpretazione tutta sua, strumentalizzandola ai propri fini, per confermare forzosamente la propria chiave di lettura del mondo o, più banalmente, per dire pubblicamente la cosa più ovvia, quella che attira più applausi. Caricare di colpe Claudio, condannarlo alla damnatio memoriae, e con lui tutto il genere maschile, è la scelta più facile, quella che parla alla pancia della gente, già scioccata dal suo gesto, ma è qualcosa che mistifica i fatti e non aiuta a comprendere lo scenario reale in cui tutto è avvenuto.
Questo tipo di manipolazione, terminata l’orgia elettorale, sta dilagando sui media e sui social. Orde di sciacalli famelici si sono gettati sui corpi non ancora freddi di Claudio e del piccolo Andrea, vomitando parole di condanna e astio nei confronti dell’uomo e dando del tutto la propria personalissima interpretazione. È impossibile qui fare un elenco degli interventi che vanno in questo senso, dunque ne chiamaremo come testimoni soltanto due, forse i più spregevoli e miserabili tra quelli prodotti finora. Il primo viene da Paolo Crepet, psichiatra e personaggio mediatico molto noto, secondo cui si tratta di “un omicidio frutto di una cultura feudale, in cui l’uomo è proprietario, non padre”. Bravo Crepet, l’hai formulata giusta, ora goditi il plauso delle groupies femministe. Il tuo prossimo libro o programma TV grazie a questa uscita avranno di sicuro ottime recensioni. Il sistema ha sicuramente gradito, dunque cachet e compensi garantiti per un po’. Peccato che per dire una cosa del genere hai letteralmente stuprato la tua professione, e a breve ti diremo anche perché. Prima vogliamo citare un secondo soggetto che si è gettato subito sui due cadaveri: Michela Murgia. In un post sui suoi social non ha dubbi: Claudio ha ucciso il figlio “per fare dispetto alla moglie”. Non si dia, dice “l’intellettuale” sarda, la colpa alla depressione. “I depressi non sono potenziali assassini”, continua, improvvisandosi psichiatra e psicologa, “I possessivi invece sì”. Stoccata implicita all’odiata sfera maschile che, secondo la Murgia, include solo possessivi e narcisisti patologici.
Nessuna giustificazione nemmeno per miserabili strumentalizzazioni.
A queste tonalità si armonizzano tutti i media e le pagine social più o meno filo-femministi, facendo i salti mortali per ignorare ciò che, pur non giustificando in nessun modo l’atto atroce di Claudio, aiuterebbe a darne una spiegazione, sgombrando il campo dalle mistificazioni strumentali che parlano di cultura feudale o di possessività o di volontà di “fare un dispetto”. Claudio, prima di commettere l’orrore che ha commesso, ha lasciato sui social un lungo messaggio, leggibile in cinque parti qui: 1, 2, 3, 4, 5. Non serve una laurea in psichiatria (ma in teoria dovrebbe aiutare molto, vero Crepet?) per rendersi conto che a parlare non è un patriarca feudale né un uomo ossessionato dal possesso della moglie o del figlio o dalla volontà di “fare un dispetto” all’ex moglie. Si tratta di una persona trascinata da gravi problemi di salute e di lavoro dentro un profondo e grave stato depressivo, per sollevarlo dal quale nessuno è intervenuto. Non una mano tesa, non una spalla cui appoggiarsi, nemmeno dalla prima che avrebbe dovuto farlo, cioè la moglie, verso cui il messaggio di Claudio suona come un aperto j’accuse. Avevamo costruito una famiglia meravigliosa, cioè “normale”, dice Claudio. Avevamo tutto, ma tu eri insoddisfatta, scontenta, irrisolta. E, caso strano, l’insoddisfazione di Iris, questo il nome della moglie, è diventato irredimibile e sprezzante nel momento in cui Claudio il lavoratore è diventato inservibile per problemi di salute. Il produttore di reddito, la figura teoricamente “forte” del nucleo familiare ha un crollo e chi dovrebbe aiutarlo invece lo accartoccia e lo getta via. Questo dice Claudio nel suo messaggio, testimoniando di come un uomo in difficoltà venga lasciato automaticamente solo, emarginato, disprezzato. Scatta la separazione, la depressione di Claudio, che ha soltanto parole di amore e solidarietà nel ricordare la vita familiare (ma quale possesso??? Quale feudalesimo??? Quali dispetti???), si esacerba, fino all’esito tragico e, ripetiamolo, ingiustificabile.
In quelle ultime parole si trova parte della spiegazione del gesto di quell’uomo e padre. Non era in sé: chi ci è passato lo sa, la depressione ti mangia dentro e ti rende capace di tutto. A meno che a giudicarti non sia Michela Murgia, sempre in prima fila, come tutti, per giustificare le frequentissime donne divenute infanticide o figlicide per “depressione” o “temporanea incapacità di intendere e di volere”, o per i tanti altri alibi patologici che, in casi analoghi, riservano alla donna tanta empatia e indulgenza. “Chissà cosa stava passando per arrivare a un gesto del genere”, “poverina, probabilmente non voleva lasciare il figlio al padre”, “dobbiamo rispettare la scelta dolorosa di questa madre”: questi i commenti soliti, a parti invertite, verso persone cui la società offre per altro un’amplissima rete di sostegno e protezione per superare eventuali tormenti interiori. Una rete che gli uomini non hanno. Nelle pagine social femministe, si legge la disumanità più atroce su questa vicenda: “noi donne non siamo mica le crocerossine di voi uomini”, latrano sbavanti in tante, dopo aver letto l’ultimo messaggio di Claudio. Poco importa che noi uomini si debba essere sostegno economico, psicologico, affettivo delle consorti sempre e comunque, spesso anche dopo una separazione. Non conta nulla che la cura reciproca sia l’onore e il piacere connesso alla realizzazione di una relazione basata sull’affetto o sull’amore. Conta solo la necessità di vomitare vetriolo su un uomo-padre talmente svuotato dalla disperazione da commettere il gesto più inaccettabile tra quelli possibili, condannato a cavarsela da solo anche in condizioni disperate, senza contare su un briciolo di empatia. Chi vuole confermare l’idea diffusa che l’uomo, il maschio, sia il Male, e chi ha fame degli applausi da parte del redditizio conformismo diffuso, non concede spazi all’analisi e alla spiegazione dei fatti. Essi si appropriano di due cadaveri, li masticano e li risputano avvolti nella loro bava schifosa sull’opinione pubblica, pur andando contro ogni evidenza, contro la verità. E contro ogni umanità. Non c’è giustificazione per l’atto di Claudio. Ma non ce n’è nemmeno per questo miserabile genere di strumentalizzazioni.