Ancora riecheggia il boato dello squilibrio universale generato dalla sparata femminista di quell’imbecille a stelle e strisce, il deputato democratico Emanuel Cleaver, che se n’è uscito qualche giorno fa con una versione politicamente corretta della formula rituale “amen” (“awomen”), e già la narrazione tossica di stampo femminista inanella altre assurdità, perché il lavaggio globale del cervello non deve mai cessare. Si ricorderà, tra le varie ossessioni donniste durante la fase acuta della pandemia, il mantra mediatico secondo cui i paesi governati da donne avrebbero gestito assai meglio l’emergenza di quelli governati da uomini. Si citavano a questo proposito frau Merkel, ma anche la finlandese Sanna Marin e soprattutto l’iper-abortista neozelandese Jacinda Ardern. Come loro nessuno mai al mondo, troppo avanti rispetto ai vari ometti e omuncoli leader di mezzo mondo. Il tutto per tornare a ribadire l’adagio obamian-gruberiano: “ah, se il mondo fosse governato da donne!”. Ebbene, a distanza di tempo si dimostra che, quand’anche fosse, non cambierebbe nulla, anzi forse le cose andrebbero peggio.
Alcuni ricercatori inglesi e americani hanno infatti analizzato, in una ricerca pubblicata su una rivista scientifica di settore, i dati sui decessi da coronavirus in 175 paesi del mondo a partire dall’inizio della pandemia e, sorpresa! (ma nemmeno troppo), non c’è un numero che sia uno a supporto dell’idea femminista che le femminucce al governo abbiano gestito meglio la questione degli uomini di governo. Piuttosto, si nota, le differenti risposte sistemiche al coronavirus sono dipese da una varietà di fattori legati ai territori e alle società, primi tra tutti i valori culturali specifici di un paese. Tuttavia la mediatizzazione dell fattore politico ha fatto sì che si sottolineassero le performance non soddisfacenti di Donald Trump (USA) e Boris Johnson (Gran Bretagna) e si esaltassero quelle dei capi di Stato donne, sebbene a conti fatti queste ultime risultino “statisticamente irrilevanti” nel contenimento dei decessi causati dal coronavirus. Tutto abbastanza ovvio e normale: non è certamente il genere di appartenenza bensì la capacità individuale a rendere buoni un politico o una persona di Stato, e i ricercatori lo confermano. Ciò che resta nella memoria collettiva è però è l’idea falsa, tossica e sessista che essere donne sia un “plus” e essere uomini un “minus”.
C’è poi, a inaugurare il nuovo anno, il contributo indispensabile di Cosmopolitan, nota rivista di moda e costume indirizzata al mondo femminile. Propone per il suo numero di febbraio una serie di copertine (qui sopra) oggettivamente inguardabili dal lato estetico e soprattutto pericolose nel loro messaggio politicamente corretto. Campeggiano diverse donne obese, tipica strategia contro il cosiddetto “bodyshaming”, e fin qui siamo nel normale parossismo cui ormai molti si sono abituati. Cosmopolitan però va oltre e sotto le moli elefantiache non scrive l’usuale “grasso è bello” o simili, ma “This is healthy”, ovvero: “questo è salutare”. Sui gusti non si discute, per carità, e può esserci qualcuno che ritiene esteticamente sopraffine le forme obese, ma da lì a dire che il sovrappeso (o il sottopeso, che poi è lo stesso) sia salutare, ce ne passa, e pure molto. Specie considerando che l’obesità è una delle maggiori cause di malattie e morte nel mondo occidentale ricco e opulento. Se la retorica sulle governanti donne migliori degli uomini avvelena il clima delle relazioni tra generi, il che è già grave, messaggi politicamente corretti spinti così oltre alla fine sono un boomerang proprio per le donne a cui sono indirizzate: il femminismo isterico, odiatore della bellezza e della salute, vuole tutte le donne strabordanti ciccia, illuse non solo di essere belle ma anche il ritratto della salute. Di fronte a quelle immagini, medici e specialisti sono saltati sulla sedia e non si contano le condanne per quelle copertine: possibile che il mondo della moda e della comunicazione non riescano a trovare un compromesso tra modelle mangiate dall’anoressia e balene improponibili candidate al diabete, al mal di cuore o all’ictus? E pensare che il femminismo politicamente corretto si spaccia per essere a favore delle donne…
Questa non è l’unica narrazione che viene smentita. L’altra riguarda la standing ovation del femminismo mondiale per l’approvazione in Argentina di una legge che consente l’aborto volontario in qualunque condizione, superando i vincoli precedenti per cui era possibile solo in caso di violenza sessuale o rischio di vita per la madre. Ovunque si parla di grande conquista, di strenua lotta delle donne argentine sfociata finalmente in vittoria. Tale pare, anche alla luce dello stupefacente silenzio del Papa argentino sulla questione, mentre i giornali si inzeppano della parola “diritti”. Pochi sottolineano che la legge è stata approvata per mero scambio di favori politici in Parlamento, atti a tenere in piedi il governo attuale, meno ancora quelli che descrivono la reale situazione socio-culturale del paese sudamericano che, oltre al resto, è una delle maggiori centrali internazionali del femminismo più intransigente e folle. Così oggi, invece di dare una regolata sensata a una pratica traumatica e controversa che attiene alla vita degli individui, invece di far presente al popolo argentino che esistono modi per far sesso senza innescare gravidanze, si celebrano “le donne argentine” e la loro conquista. Se non fosse che le donne di cui si parla sono in realtà un’accolita di fondamentaliste che, a vederle festeggiare, ricordano più un gruppo di frequentatrici di centri sociali o centri di recupero per le tossicodipendenze impegnate in un sabba, che un gruppo di donne consapevoli di aver acquisito un diritto delicatissimo da gestire e dal quale non dovrebbero essere esclusi gli uomini. Chissà perché, ma abbiamo il sentore che là, come qua, queste fanatiche fuori di testa rappresentino soltanto se stesse e non le donne d’Argentina.