Giovanna Boda era un’alta dirigente del Ministero dell’Istruzione. Ora, mentre scriviamo, è in fin di vita, ricoverata in ospedale, dopo aver tentato il suicidio lanciandosi dalla finestra della propria abitazione. Un gesto estremo con buona probabilità conseguente a una perquisizione effettuata presso le sue proprietà dalla Guardia di Finanza, nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Roma su una sospetta corruzione. Secondo gli inquirenti, la Boda avrebbe incassato nel corso del tempo un totale di circa 680 mila euro sotto varie forme. Soldi e benefit che sarebbero stati messi a disposizione dall’altro protagonista della vicenda, lo psicoterapeuta Federico Bianchi di Castelbianco, nelle ipotesi degli inquirenti il corruttore. In cambio delle prebende, quest’ultimo avrebbe ottenuto alcune commesse e affidamenti diretti sotto-soglia dalla Boda per la realizzazione di alcuni progetti nelle scuole. Una serie di appalti su cui la Procura sta indagando con una serie di attività investigative che hanno incluso le perquisizioni proprio nelle proprietà della Boda. La quale, poco dopo l’intervento delle Fiamme Gialle, ha commesso l’insano gesto.
Non è il caso ora di sbilanciarsi sul merito della vicenda. Al momento le uniche due cose da fare sono augurarsi che Giovanna Boda si ristabilisca presto e bene, e considerare la stessa e gli altri indagati per ciò che sono: innocenti fino a prova contraria e a sentenza definitiva. Come ogni altro cittadino, d’altra parte. Ma è davvero così? Vedremo che no, non è affatto così, per lo meno in termini di comunicazione. Al momento, va detto, l’unica certezza è che il movente possibile del gesto estremo della Boda può essere solo l’impossibilità di reggere il peso delle accuse, e non cambia nulla che siano infondate o fondate. Stiamo parlando di una dirigente dallo stipendio annuo di 142 mila euro, quindi sicuramente non bisognosa di “arrotondare”, di una donna che si è distinta negli anni in attività dedicate alla legalità, tanto da valerle il Premio Borsellino: è chiaro che con questo retroterra anche la più piccola ombra, fondata o meno che sia, può scatenare reazioni fuori controllo. Certo è che una persona così tanto impegnata sul fronte della legalità dovrebbe sapere che anche l’accusa più infamante trova la propria risoluzione non nel togliersi la vita, ma nella propria strenua difesa nelle aule di un tribunale dove, se si è portatori di un’innocenza cristallina, non si ha poi moltissimo da temere. Ed è in buona parte su questo aspetto che si innescano altre riflessioni, diverse e lontane dal merito della vicenda giudiziaria, ma che però rimangono emblematiche.
Il presunto corruttore è anche l’editore dell’agenzia D.I.Re.
In prima battuta si è cercato di attribuire la spinta suicidaria di Giovanna Boda al fatto che un giornale, La Verità, avesse pubblicato la notizia delle indagini in corso al Ministero dell’Istruzione e dintorni. Alla pressione giudiziaria, insomma, si sarebbe aggiunta quella mediatica, che avrebbe fatto crollare le resistenze della dirigente. Il gioco di politicizzare la questione puntando il dito su una redazione “non allineata” però finisce subito: la Boda ha commesso il suo gesto poco dopo le perquisizioni e prima che La Verità parlasse dell’indagine. Non potendo incolpare il giornale “scomodo”, il sistema ha reagito in modo massiccio e compatto spendendosi in ogni modo per garantire, mano sul fuoco, l’onestà della dirigente e la sua alta caratura umana. Tutto il mainstream ha riportato le reazioni di tutti gli ex ministri dell’istruzione che l’hanno conosciuta, da Stefania Giannini in su (eccetto forse la Azzolina, che pare non avesse buoni rapporti con la Boda), che si sperticano in espressioni di solidarietà. Non si contano gli articoli che ripercorrono la carriera della dirigente, le sue medaglie, i suoi meriti, senza parlare nemmeno indirettamente delle ombre che gli inquirenti pensano invece di aver rilevato nelle sue attività al Ministero. Solo qualche testata piccola e locale, come sempre, svela qualche elemento interessante in più. Qui ad esempio si scopre l’amicizia che legava Giovanna Boda al PD, con un circolo di Casale Monferrato che si spende in espressioni solidali. Fino al punto più alto (in realtà più basso, come vedremo) de “Il Foglio”, che nel condannare le gogne mediatiche menziona il proverbiale “mostro sbattuto in prima pagina” ed evoca con forza la “presunzione d’innocenza”.
Ma c’è di meglio e di molto più sottile: l’omissione. Il campione in questo è l’agenzia di stampa D.I.Re., a noi ben nota, essendo uno dei maggiori megafoni del femminismo d’affari italiano. Se digitate “Giovanna Boda” sul motore di ricerca del sito dell’agenzia, vengono fuori molte notizie dove si rende conto di alcune attività della dirigente del ministero, anche quando si tratta di minuzie come la consegna di uno scuolabus per l’istituto taldeitali o il coro della talaltra scuola. Sulle accuse di corruzione e il tentato suicidio non c’è praticamente nulla, se non una brevina con le dichiarazioni di Federico Bianchi di Castelbianco, il presunto corruttore. Che incidentalmente, guarda un po’, è anche l’editore della stessa agenzia di stampa D.I.Re. Cui evidentemente ora non fa più gioco parlare di empowerment femminile, di importanza della presenza femminile in ruoli direttivi (dalle indagini pare per altro che la Boda usasse come intermediaria delle sue presunte attività corruttive una sua collaboratrice, donna, anch’essa sotto indagine) e robe simili. Ora D.I.Re. preferisce omettere il fatto, non entrare nel merito, forse nel timore che emerga un fatto incontrovertibile: non è il genere di appartenenza a fare la differenza nei posti direttivi, così come non è il genere a fare la differenza per altri aspetti, ad esempio l’inclinazione a commettere violenze. Un tema delicato, oggetto di martellante propaganda, che non può essere smentito dai fatti. E così l’agenzia D.I.Re. e il suo editore optano per la scelta più semplice: rimuovere i fatti stessi.
Un regime di Serie A e uno di Serie B.
Ora però spostiamo un attimo il focus. Potremmo prendere, così a spanne, più di un migliaio di esempi tratti dalla cronaca degli ultimi cinque anni, ma ci limiteremo a questo articolo recente che parla delle molestie sessuali sui minori in ambito sportivo. Vi si riportano alcune statistiche della Procura Generale del CONI, secondo cui negli ultimi sei anni ci sono stati 96 procedimenti, più un numero imprecisato che rimane “sommerso”, dunque ipotetico. Non è dato sapere in quali percentuali gli autori fossero uomini e in quale donne, l’articolo non lo dice, così come non è chiaro quanti casi sono esitati in condanna. Si nota tuttavia che i termini usati sono “orco/orchi” (non “orchesse”), “mostro” (il femminile non esiste), “personaggi squallidi e pericolosi”, “pervertiti” (non “pervertite”), “molestatori” (non “molestatrici”), il tutto associato a termini come: “allenatore”, “mister”, “istruttore”, “tecnico”, tutti questi “magari insospettabili padri di famiglia“. Come se le allenatrici non esistessero o fossero comunque immuni da istinti pedofili, nonostante ciò che dicono le cronache italiane, europee ed extraeuropee, per lo meno quelle poche che vengono pubblicate perché, si sa, la pedofilia femminile non esiste… Ebbene questo è solo un vergognoso esempio recente, ma abbiamo in archivio, ripetiamo, migliaia di articoli di questo genere, dove il colpevole o l’abusante è sempre e solo uomo, da un lato, e dall’altro è sempre colpevole, ancor prima che un regolare procedimento lo dichiari tale.
Cosa ha a che fare questa digressione con il caso di Giovanna Boda? Molto, anzi tutto. Quanto accaduto alla dirigente del ministero è, dal lato mediatico, la prova dell’esistenza di diversi regimi nel nostro paese. C’è un regime di serie A, riservato a chi ha manifestato appartenenze politiche “giuste” e ricade nella specie protetta delle donne (ancor più se “in carriera”), e un regime di serie B, riservato a soggetti di genere maschile, ancor più se eterosessuali. Nel primo tipo, se sei sotto indagine, un intero apparato mediatico si muove come un gigantesco carro armato per imporre una verità che anticipa quella giudiziaria, in qualche modo cercando di influenzarla, e che ritiene censurabile la pratica del mostro sbattuto in prima pagina. Ma soprattutto in Serie A la “presunzione di innocenza” torna ad essere quello che è: un pilastro fondamentale del sistema giudiziario, sacro e intoccabile. In Serie B è tutto il contrario: chi non ha aderenze politiche “giuste” (o addirittura le ha “sbagliate”) ed è uomo, a prescindere è mostro, orco e pervertito, uno da sbattere in prima pagina senza tante storie. Naturalmente per costui si inverte il brocardo giuridico: egli è colpevole fino a prova contraria, e magari pure in presenza di una prova contraria perché, dai si sa, gli uomini sono da sempre oppressori e violenti, è una questione di natura, quindi ciò che fa uno è sacrosanto che ricada su tutti gli altri. Migliaia di esempi archiviati, a paragone con il caso Boda, ci dimostrano che le cose funzionano così sistematicamente sui media: un doppio standard che, per altro, non muta di molto all’interno delle aule di tribunale.