Settimana scorsa, all’interno del programma “Agorà” della RAI, si parlava di vaccini, in particolare il dibattito era se risulti davvero più utile ed efficace mescolarne di diversi tipi, se meglio con ghiaccio, limone e vodka o lisci e così via. Tra gli ospiti c’era anche il giornalista Gianni Riotta che, dal suo ruolo in LUISS, costantemente in collegamento con gli USA, raccontava il suo punto di vista a partire proprio da ciò che si registra oltreoceano. A un certo punto, però, devia il discorso e si lancia in una riflessione che, giustamente, ha fatto il giro del web. Questa, ascoltate bene:
Il concetto è chiaro: chi dissente, non va interpellato, non va fatto partecipare a dibattiti pubblici perché rischia di ampliare il numero di quelli che lo seguono, e questo è male. È male perché la scienza è scienza e non si può mettere in discussione. Non può saltar fuori un “no-vax” qualunque e mettere in dubbio la parola di un Prof. Garattini. L’auspicio è dunque che non capiti mai o non capiti più che si invitino persone con argomenti capaci di mettere in dubbio ciò che le autorità o gli autorevoli proclamano. In studio tutti fanno sì convintamente col capoccione e la conduttrice Luisella Costamagna si spertica a rassicurare, con la sua voce armoniosa, che su quelle cose lei non scende a compromessi: lei persegue la verità, non insegue l’audience a tutti i costi. Chissà come saranno contenti gli inserzionisti delle pubblicità che interrompono Agorà…
La micidiale conventio ad excludendum.
Ora, il discorso medicina, scienza, pandemia, vaccini è del tutto fuori dal campo d’azione di queste pagine, tuttavia nelle parole di Riotta e nel consenso che hanno raccolto si ritrovano pari pari i principi di quella conventio ad excludendum (accordo più o meno tacito a escludere qualcuno) che colpisce anche noi e le nostre tematiche precipue. È con quel tipo di accordo più o meno tacito che si costruisce da un lato la narrazione cosiddetta “mainstream”, e dall’altro l’impenetrabile muraglia che non lascia passare alcuna voce contraria al mainstream stesso. Intendiamoci: ci sono ragioni per tenere su quella muraglia, alta e stabile. Sfortunatamente il web ha dato voce alle famose “legioni di imbecilli” evocate da Umberto Eco. Talvolta addirittura più uno è imbecille, più ha follower e, piaccia o meno, oggi la popolarità si misura in follower. Dunque il rischio di invitare in studio un personaggio improponibile solo perché famoso sul web c’è, e non è un rischio da poco. Non per le ragioni esposte da Riotta («gli diamo una visibilità che non deve avere e così aumenta il suo seguito»), bensì perché un folle in trasmissione può farti perdere spettatori, dunque soldi. Tuttavia le redazioni sono composte più o meno tutte da persone con discernimento, capaci di distinguere il fenomeno da circo dal personaggio che può portare contenuti significativi. Non è poi così difficile, basta vedere che argomenti e che dati usa per sostenere le proprie tesi, come li espone e da quanto si occupa di un determinato tema.
Dunque la conventio ad excludendum in atto, e che Riotta esorta a rafforzare, non è basata sulla competenza, ma su altre ragioni, che potremmo definire “politiche” in senso lato. Ci sono versioni della realtà che diventano oggetto di discussione e la comunicazione/informazione ufficiale deve sposarne per forza una, tagliando fuori le altre, per motivi che nulla hanno a che fare con la “linea editoriale”. Motivi di compiacenza (o paura) verso il gruppo di potere più influente o più forte, quello sostenuto politicamente o sul piano del business. Ecco, Riotta ha auspicato, con spiccato fascismo, che il servizio pubblico continui a fare così, a conformarsi al dettato dominante. È evidente nel momento in cui non sollecita semplicemente a evitare di invitare in trasmissione degli incompetenti, ma quelli che lui chiama “disinformatori”. Fossero anche virologi affermati ma contrari ai vaccini, costoro vanno tenuti fuori dal dibattito. Posto che, quando si tratta di cercare la verità (a questo serve il dibattito), la differenza tra competenti e incompetenti è giusto che sia irrilevante, proprio perché in gioco c’è la verità, qualcosa a cui avvicinarsi attraverso un sentiero stretto e irto di ostacoli. La differenza tra l’imposizione di una versione univoca della verità e un dibattito vero sta proprio lì: nel primo caso c’è qualcuno che arbitrariamente indica una strada e non tollera chi propone vie alternative. È questa la soluzione che piace a Riotta e a quelli come lui che hanno in mano l’informazione-indottrinamento delle masse.
I terrapiattisti della situazione sono proprio loro.
La dinamica del dibattito, quando è reale e libero, ricalca in qualche modo le dinamiche sportive di un campionato a eliminazione, dove nelle prime fasi i campioni si misurano coi brocchi, facendone strage, per arrivare via via a scontrarsi tra di loro, ovvero, se si parla di idee, tra coloro che sanno sostenere le proprie posizioni con argomenti convincenti e dati solidi. In questo senso il dibattito dovrebbe essere ammesso sempre e comunque, senza alcun timore, compreso nell’ambito scientifico. Riotta dice una sciocchezza colossale quando sostiene che occorre evitare che un “no-vax” dibatta con un luminare. È una sciocchezza per tre solidi motivi: anzitutto non si applica la par condicio che lui evoca. Quella è roba da politici, il cui scopo è di convincere gli elettori a votarli e non quello di avvicinarsi alla verità. In secondo luogo va tenuto conto che i luminari sono tali perché la loro carriera, i loro studi, le loro ricerche sono state sfidate (e ancora lo sono) da un’intera comunità di colleghi desiderosi di fare a pezzi le loro tesi (per prendere il loro posto…). Se sono luminari è perché le loro tesi hanno retto, dunque sono molto vicine alla verità. In questo senso ai luminari non dovrebbe impressionare di essere “attaccati” da chichessia. Anzi dovrebbero adorare il fatto di esserlo, per avere l’occasione di rafforzare le proprie teorie. Riotta invece li eleva al rango di dèi intoccabili, autori di dogmi la cui messa in discussione condanna all’estromissione in eterno dal confronto. Ripetiamo: è una logica valida per le dittature totalitarie, non per scenari di confronto libero.
Il terzo aspetto è poi il più importante e attiene proprio all’assoluta libertà di cui dovrebbe godere il dibattito pubblico: la verità non scende a compromessi. Un esempio estremo: non ci sarebbe nulla di sbagliato a far dibattere un grande scienziato con un terrapiattista. Dati e argomenti alla mano, il secondo ne uscirebbe a pezzi. Raccoglierebbe comunque qualche fesso come follower? Pazienza. Perché anche lo scienziato ne raccoglierebbe, e assai di più. Lo stesso discorso dovrebbe valere per il dibattito sui vaccini: il superesperto virologo, se è vicino alla verità, dovrebbe non veder l’ora di poter sbriciolare le tesi di un “no-vax”. Se poi non ci riesce, vuol dire che la verità non sta tutta dalla sua parte e che qualcosa nelle tesi del “no-vax” potrebbe contenere parti di verità che non devono essere scartate. Il dibattito serve proprio per sgrossare le tesi e andare al cuore di ciò che è vero. Dunque è corretto l’esatto contrario di ciò che dice Riotta: un servizio di comunicazione/informazione pubblico avrebbe il dovere di mettere a confronto soggetti con tesi differenti e capaci di argomentarle con correttezza, governando il dibattito in modo equo e non servile o partigiano. Questo dovrebbe accadere in un mondo ideale, per qualunque tematica cruciale: i vaccini e, cosa che ci riguarda assai più da vicino, le relazioni di genere. Gente come noi de “La Fionda” e come tanti altri siamo il bersaglio strutturale della conventio ad excludendum. I nostri nomi sono sottolineati in nero in tutte le redazioni come “impresentabili”, ed ecco che in TV a dibattere di donne e uomini si trova gente come la Murgia o la Gruber, a fare variazioni su un tema unico, pavidamente al coperto da chi potrebbe contestare la loro narrazione in modo civile, pacato, argomentato e comprovato. Eppure, lo si è detto: se ritengono convintamente di essere dalla parte della ragione, non dovrebbero temere il confronto. Anzi dovrebbero ardere dal desiderio di sbriciolarci come terrapiattisti qualunque. Se non fosse che i terrapiattisti della situazione, in questo caso, sono proprio loro. E lo sanno bene.