L’Italia, si sa, è fortemente legata al mondo del pallone. Il recente caso che ha riguardato l’ex calciatore professionista ed ora allenatore Rino Gattuso, non poteva non avere una forte risonanza mediatica, essendo coinvolto “Ringhio”, uno dei più noti rappresentanti del calcio nostrano. L’avvenimento ha destato ulteriore clamore per l’assurdità della vicenda. Dopo l’esperienza con la Fiorentina, Gattuso ha perso l’occasione di allenare la squadra inglese del Tottenham, a trattativa oramai conclusa. La causa dell’allontanamento è rappresentata da alcune sue passate dichiarazioni, che gli sono valse le accuse dei tifosi del Tottenham di essere razzista, violento, misogino, omofobo e chi più ne ha più ne metta.
La causa di tutto questo? Opinioni personali, espresse con garbo e del tutto ragionevoli. Eccone una del 2013, dopo gli insulti al giocatore Boateng: «Quante volte abbiamo sentito dei boo contro i giocatori bianchi? È successo anche a me, ma non ho dato importanza. Boateng si è di certo sentito offeso, ma continuo a non vedere del razzismo. Si tratta solo dell’ultimo gesto di una minoranza di idioti». Un’altra “pericolosissima” dichiarazione: «Il matrimonio in chiesa deve essere tra uomo e donna, anche se siamo nel 2008 e ognuno fa quello che vuole. Io credo nell’istituto della famiglia da quando sono piccolo e per qualcuno che ha fede il matrimonio omosessuale è molto strano». Gattuso forse non lo sapeva, ai tempi: credere nel matrimonio come unione religiosa tra uomo e donna oggi è pericolosissimo.
Da qui nasce l’hashtag #NoGattuso, che si è diffuso a macchia d’olio nella tifoseria del Tottenham e che ha fatto ritornare sui propri passi il presidente del club, Daniel Levy. Il curriculum di Gattuso però racconta qualcosa di diverso. Nel 2003 fonda la onlus “Forza Ragazzi”, per aiutare gli adolescenti calabresi meno fortunati, ed è noto il suo approccio umano, attento agli ultimi e alle difficoltà delle persone comuni, suoi collaboratori o maestranze del suo ambiente. Roba da nulla: la deriva liberticida colpisce anche lo sport e, al suo interno, chiunque non adegui le proprie idee al “pensiero unico” e al “politicamente corretto”.
Senza allontanarsi dal campo da calcio, se ne è avuto un esempio recente: accade infatti che si scateni la gogna mediatica contro chi non si inginocchi a onorare il controversissimo movimento Black Lives Matter. Sono dunque i gesti e le opinioni, non importa come espressi, che fanno decidere chi sono i buoni e chi i cattivi, ma soprattutto chi può lavorare e chi no. C’è da attendersi un’imminente deriva per cui la disciplina contenuta nel codice civile e nella legislazione speciale del diritto del lavoro dovrà presto confrontarsi con i punti di vista personali del candidato-lavoratore sui temi più “sensibili” prima di inquadrarlo in un impiego.