La Fionda

Follia CIO: via la marcia dalle olimpiadi perché sessista

Alla notizia andrebbe applicato l’ormai noto tag “no, non è Lercio”, per quanto è assurda. Eppure è tutto vero: il CIO – Comitato Internazionale Olimpico settimana scorsa ha cancellato in un colpo una delle gare simbolo della più famosa competizione internazionale: la marcia 50 chilometri. Si tratta della gara che ha reso famosi atleti come Damilano, Brugnetti e Schwazer, una tradizione che durava dal 1932, oltre che uno dei più significativi simboli sportivi e competitivi. È infatti una delle gare più defatiganti tra quelle olimpiche: gli atleti, con la loro tipica andatura un po’ innaturale, devono attraversare il percorso più lungo tra quelli previsti nelle varie competizioni e per allenarsi a raggiungere la meta durante l’anno si abituano a caricare fino a 100 chilometri a sessione. Una disciplina durissima insomma, una vera sfida di resistenza, anche per questo considerata fra le più nobili. Che però nell’edizione parigina delle olimpiadi, previste nel 2024, non ci sarà.

Motivo? È discriminatoria, così ha deliberato il CIO. Per ragionevolezza verrebbe da chiedersi se nelle sue regole non sia per caso previsto un qualche uso del pene o se non sia stata dimostrata la sussistenza di un qualche vantaggio agonistico nel possedere prostata e testicoli. Nulla di tutto ciò: non ci sono criteri o imposizioni che abbiano mai reso la marcia inaccessibile alle donne. Forse l’imbarazzo di stare in mutandoni in mezzo agli uomini ha sempre tenuto lontane le fanciulle dalla disciplina. Per toglierle dall’empasse nel 2017 si era creata una sezione apposita, la marcia femminile, sempre di 50 chilometri. Partecipanti: 7 atlete. Nel 2019 andò un po’ meglio: 23, ma sempre un numero risibile rispetto all’omologa gara maschile. Insomma pare non ci fosse verso di convincere le sportive di tutto il mondo a scegliere liberamente uno sport che in nessuna sua caratteristica o regola le avrebbe penalizzate, eppure niente, un vero flop, alle donne non piace.

marcia

Deliri da appallottolare e lanciare come un peso olimpionico.

Ecco allora la rivoluzione: la libera e autonoma scelta femminile fa ricadere sul groppone di una disciplina sportiva lo stigma pesantissimo di essere “sessista”. Dunque occorre riequilibrare con qualche discriminazione “positiva”: la marcia 50 chilometri verrà sostituita con una gara “mista”, probabilmente avente natura di staffetta. Per non far sfigurare le atlete donne probabilmente lo starter impugnerà una pistola vera e sparerà alle ginocchia degli atleti uomini e, qualunque sarà il risultato della competizione, per il podio si applicheranno le quote rosa, dunque almeno due piazzamenti su tre saranno femminili. In numero maggiore per compensare anche le discriminazioni del passato remoto, dall’uomo di Neanderthal ad oggi. Qui si scherza ma a ben rifletterci non si è tanto lontani da follie del genere, se si pensa che, cancellata la marcia, il comitato organizzatore ha usufruito della possibilità di inserire nuove discipline promuovendo a sport olimpico una roba come la breakdance. Prossimo passo, sempre in un’ottica di risarcimento delle discriminazioni secolari, l’inserimento del twerking (solo femminile) con denuncia automatica per molestie a carico di qualunque uomo assista alla gara.

Il mondo dell’atletica leggera, tutto, quello maschile e femminile insieme, è rimasto sconcertato dalla decisione di abolire la marcia, ma ciò non serve a nulla. L’andazzo rispecchia esattamente quello che accade quotidianamente nelle società di tutti i paesi occidentali: il capriccio, le scelte e le non-scelte di un genere ricadono come colpe su qualcosa o su qualcuno, determinando nuove disposizioni valide per tutti quanti, penalizzanti, folli e paradossali, con un’opinione pubblica che resta ammutolita, attonita e immobile. Si lascia fare in parte perché “sì, chissà, forse” davvero serve ribilanciare le discriminazioni “di sempre” (tanto nel profondo è entrata la bugia), ma in parte anche per una forma di logora passività che la società ha sviluppato di fronte alle interminabili brutalizzazioni del buon senso da parte del femminismo. Si sta più o meno tutti a peso morto, senza fare resistenza alcuna, speranzosi che questa follia conduca tutti quanti da qualche parte, o forse rassegnati a finire su un binario morto. Eppure basterebbe il risveglio di pochi per appallottolare questi deliri e lanciarli nell’iperspazio, a una distanza da record, da dove non possa più tornare.



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