La Fionda

Femminismo, la falsa panacea per il voto alle donne

Semmai un giorno le donne cinesi, o le donne nordcoreane, o le donne cubane, o gli altri milioni di donne che lungo la geografia mondiale non sono ancora riuscite ad esercitare il diritto di voto, riusciranno a votare, sarà merito del femminismo? Sarà questa una conquista femminista, da accreditare d’allora in poi al movimento femminista? E se nel contempo anche gli uomini cinesi, nordcoreani o cubani riusciranno a votare per la prima volta, per quale misterioso motivo, differente da quello delle donne, avranno raggiunto gli uomini questo stesso diritto? Se per queste donne la causa delle cause sarà il femminismo, quale sarà stata la causa delle cause per gli uomini, che hanno conquistato lo stesso diritto allo stesso tempo delle donne? Da un punto di vista logico, oggigiorno ci potrebbe sembrare un assurdo attribuire il merito della presunta futuribile conquista del voto delle donne cinesi, nordcoreane o cubane, alle lotte femministe, anche perché gli uomini connazionali, pure, ne sono privi. Eppure questa logica, che attribuisce sempre al movimento femminista il merito della conquista del suffragio femminile, per quanto assurda possa sembrare, è la stessa che viene adoperata nel racconto storico in ogni dove, dalle istituzioni e dagli storici, anche nei libri scolastici, e nella rete, dove si possono trovare numerose liste per paese e anno del raggiungimento del suffragio femminile, conquista attribuita esplicitamente o implicitamente al movimento femminista – tanto per i paesi dove il voto femminile è stato conquistato pacificamente, senza proteste né rimostranze delle donne di alcun tipo, come per i paesi dove i suffragi universali maschile e femminile sono stati conquistati in contemporanea!

Senza andare molto lontano, il film C’è ancora domani del 2023 offre un esempio patrio. Neanche in maniera molto velata, il film attribuisce la conquista del suffragio femminile in Italia nel 1946 al sacrificio e alla persistenza delle donne italiane, cioè al femminismo, motivo del successo del film tra il pubblico. Il film sorvola sul fatto che anche gli uomini riconquistavano il suffragio – il suffragio universale maschile venne esercitato per la prima e unica volta in Italia nelle elezioni politiche di novembre 1919. Così come facevano le donne italiane, milioni di uomini, i più giovani, votavano per la prima volta. Per tutti loro rappresentava dunque la stessa conquista – attribuita nell’immaginario collettivo al femminismo per le donne e, a non si sa quale misterioso quanto trascurabile motivo per gli uomini. Al contrario di quello che successe nel Regno Unito, o negli Stati Uniti, in Italia il suffragio femminile fu conquistato senza manifestazioni femministe, né lotte, né proteste, né attentati terroristici da parte delle donne. Su questo aspetto bisogna dire che il film, C’è ancora domani, fotografa la realtà storica così come fu: non ci sono nel film né manifestazioni, né lotte, né proteste, né attentati terroristici da parte delle donne italiane per ottenere il suffragio, perché effettivamente non ci furono. In altre parole, in Italia il movimento femminista ebbe un ruolo marginale, per non dire nullo, nella conquista del suffragio femminile. Ma come succede per tutti i paesi del mondo, anche per l’Italia la conquista viene sistematicamente attribuita al femminismo, alle lotte suffragiste delle “sorelle” britanniche e americane, che prima di loro avevano combattuto per questo stesso diritto nei loro paesi.

suffragette USA voto

La lotta universale del femminismo.

La narrazione storica femminista non contestualizza, né geograficamente né temporalmente, le proteste e le lotte suffragiste delle “sorelle” britanniche e americane, ai soli paesi del Regno Unito e degli Stati Uniti. Queste proteste e queste lotte vengono intese in maniera universale e atemporale a favore di qualsiasi donna nel mondo, e il diritto conquistato viene e verrà attribuito alle lotte di queste suffragette britanniche e americane, cioè al movimento femminista. Per questo motivo, ad esempio, l’attuale diritto di voto delle donne italiane, spagnole, polacche o russe, è ritenuto una conquista femminista, malgrado all’epoca in questi paesi non ci fossero significative proteste né manifestazioni femminili/femministe in questo senso, e il contributo storico del movimento femminista alla conquista del suffragio femminile fosse minimo, per non dire nullo (ciò spiega perché i testi scolastici, quando affrontano l’argomento del suffragio femminile, non si soffermano sulle lotte nazionali nei rispettivi paesi, lotte che in linea di massima non sono mai avvenute, ma la materia di studio riguarda le lotte suffragiste nel Regno Unito e negli Stati Uniti). Questo stesso motivo, che attribuisce dunque alle lotte femministe la conquista del diritto di voto per le donne italiane dopo il periodo fascista, verrà quindi proclamato per le donne cinesi, nordcoreane o cubane, o qualsiasi altra donna nel mondo che in futuro riuscirà a conquistare questo diritto. E lo stesso discorso vale per il passato, per il voto delle donne svedesi, o le donne corse, o le donne toscane, o di tutte quelle donne che esercitarono il diritto di voto prima ancora dell’esistenza del femminismo (!?).

Nella narrazione storica femminista la lotta al Patriarcato, che include il suffragio femminile, è una lotta universale e atemporale. È quindi naturale riconoscere in maniera universale e atemporale il movimento femminista come la causa delle cause della conquista del suffragio femminile, lotta che oltrepassa i limiti geografici e temporali: non ha alcuna importanza se alcune donne storicamente abbiano potuto esercitare il diritto di voto prima ancora dell’esistenza del femminismo stesso, o se la maggior parte delle donne l’abbia conquistato nei loro paesi pacificamente, senza lotte né proteste di alcun tipo, talvolta addirittura senza averlo mai richiesto. La lotta femminista contro il Patriarcato esula dalla logica e dai fatti storici, si combatte in un altro universo, concettuale e astorico, nel mondo delle idee, dove l’uomo e la donna sono due archetipi: il primo è l’essere prevaricatore che opprime la donna e le nega il diritto di voto; il secondo è la sempiterna vittima, alla quale non è permesso votare. Questa interpretazione primordiale e simbolica della Storia risolve un secondo problema logico, che riguarda questa volta gli uomini. Se la teoria femminista, nella lotta contro il Patriarcato, assegna, in maniera incontestabile e inamovibile, il ruolo di vittima oppressa e discriminata alla donna e quello dell’oppressore privilegiato all’uomo, motivo per il quale le donne non potevano votare, come si concilia questo pensiero con il fatto che lungo la Storia dell’umanità, e anche attualmente, ci fossero tanti uomini, per definizione privilegiati, che non godevano di questo diritto, mentre nel contempo molte donne, per definizione oppresse, lo esercitavano?

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Suffragette americane a inizio ‘900.

E le donne che si opponevano?

Come si sposa logicamente il pensiero femminista con il fatto che in tutte le società a suffragio censitario, in quelle dove era permesso votare alla donna che raggiungeva lo standard richiesto, ad esempio nel Medioevo in Francia o nell’Ottocento nel Granducato di Toscana, ci fossero migliaia e migliaia di uomini che non potevano votare? Come giudicare il fatto che nella prima metà dell’Ottocento il destino di milioni di uomini del continente indiano fosse deciso dal voto di poche azioniste (e azionisti) britanniche? Come giudicare il fatto che, nel XX secolo, negli stessi paesi dove milioni di donne, e suffragiste, esercitavano il diritto di voto, contemporaneamente a milioni di uomini, imprigionati in certe categorie sociali, veniva precluso questo diritto, come succedeva negli Stati Uniti agli indiani, agli asiatici o addirittura, fino al 1966, a certe categorie di poveri, disoccupati o analfabeti, nell’Impero britannico (ad esempio, in Sudafrica o in Kenya) agli uomini di colore, in Australia agli uomini aborigeni, ecc.? Una volta conquistato il diritto di voto, le suffragette, senza alcun pudore, scordarono di portare avanti le loro lotte e i loro discorsi a favore dei più sfortunati rimasti esclusi da questo stesso diritto. La storiografia femminista non ha mai tentato di spiegare per quale motivo la lotta di queste femministe della prima ondata, così impegnate socialmente contro le ingiustizie del Patriarcato, le discriminazioni e per la parità, si sia dileguata in un batter d’occhio una volta conquistato il proprio diritto.

La verità è che le suffragette – come la lotta femminista in genere – lottavano esclusivamente per i propri diritti e se ne infischiavano delle sofferenze e delle discriminazioni altrui. Oggigiorno raramente viene commemorata la conquista del suffragio universale maschile, là dove questa conquista “dimenticò” una fetta importante dell’umanità: le donne. Al contrario le commemorazioni, pubbliche e private, della conquista del suffragio universale femminile si susseguono ogni anno, ovunque nel mondo, anche là dove questa conquista “dimenticò” di allargare questo diritto a una fetta importante e sfortunata della società, che interessava migliaia di donne e di uomini.  Ma nemmeno questo fatto intacca la narrazione trionfale femminista che attribuisce la conquista del suffragio femminile al movimento femminista. Nell’universo astorico concettuale femminista, che esula dalla logica e dai fatti storici, la conquista del suffragio femminile da parte del femminismo rimane una pietra miliare della lotta femminista contro il Patriarcato, e non importano (prima obiezione) se prima dell’esistenza del femminismo stesso alcune donne già potevano votare o il modo nel quale questo diritto è stato raggiunto dalla maggior parte delle donne nel mondo, se pacificamente o addirittura senza averlo mai richiesto, senza alcun intervento del movimento femminista, o (seconda obiezione) a quante donne e a quanti uomini, e per quanto tempo, è rimasto precluso questo diritto dopo la proclamazione trionfale della conquista del voto delle donne (finalmente, a dir loro, suffragio universale) da parte del movimento femminista. Ma rimane un’ultima e terza obiezione, che non trova collocazione né soluzione in questo universo archetipico e astorico femminista, da approfondire nel prossimo intervento: le femministe che si opponevano al voto delle donne.



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