Ha fatto abbastanza scalpore, ma non tanto quando avrebbe dovuto, la notizia che il Governo abbia stanziato circa 80 mila euro, presi dal capitolo del Dipartimento Pari Opportunità, per finanziare corsi di formazione destinati ai giornalisti, finalizzati a insegnare loro quali parole e quale linguaggio usare per evitare discriminazioni etnico-razziali e sessuali o di genere. Alcuni parlamentari sono andati a vedere le carte e hanno scoperto che l’iniziativa, come prevedibile, nasconde diverse magagne, a partire dai molti riferimenti al delirante documento prodotto dall’UNAAR intitolato “Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LGBT“. Sembra cioè che sotto le mentite spoglie della “formazione” e sotto il manto buonista dell’inclusione si nasconda un tentativo di condizionare la stampa per manipolare e condizionare le coscienze dei cittadini. Anche da ciò è nata la sacrosanta interrogazione parlamentare con cui i senatori Malan, Rauti e Pillon hanno chiesto al Governo, tra le altre cose, se “imporre lunghe serie di definizioni e proibirne molte altre, anche quanto non costituiscono oltraggio o ingiuria, sia in contrasto con la libertà di espressione garantita dalla Costituzione”. In realtà la replica del Governo è inutile, la risposta è ovvia: certo che sì, sono eccome in contrasto con la libertà di opinione. Ma il Governo procederà ugualmente con i suoi corsi d’indottrinamento, poco ma sicuro.
L’assalto alla capacità espressiva dei media è ormai una prassi. E quando non è il Governo a imporre la “neolingua” gradita ai potentati sovranazionali femministi e queer, sono gli stessi organi interni della stampa a imporsi regolamenti compiacenti, come il “Manifesto di Venezia“, o a farsi dettare le regole da presunti intellettuali e maître(sse) à penser, campioni di oppressione e odio. La cosa certa è dunque che ciò che ci raccontano i portavoce del mainstream, oltre ad essere fake news 95 volte su 100, è manipolato già a monte, nell’uso della lingua, allo scopo di orientare le coscienze e il sentore delle masse. Sarebbe già grave così, se non fosse che si tratta di una prassi ormai affermatasi anche fuori dal giornalismo. Passa infatti come del tutto normale, ad esempio, che i centri antiviolenza facciano “formazione” a organismi che rappresentano gangli fondamentali per la tutela dei diritti collettivi. Qui, ad esempio, il centro antiviolenza “Differenza Donna” propone e impone, sempre con la benedizione e i soldi del Governo, la propria visione della realtà a quelle Forze dell’Ordine poi chiamate a valutare se è in atto o no una violenza domestica, se e quanto dissuadere una donna dal presentare una denuncia palesemente infondata o ad approcciare con scetticismo una querela o un esposto presentato da un uomo. E sono le stesse forze dell’ordine che poi stilano i report statistici adulterati del 25 novembre e che si rifiutano di rendere pubblici i dati della app YouPol per la parte delle violenze di genere.
È in atto, sotto lo sguardo di tutti, un regime senza scrupoli.
Non basta ancora come livello di gravità? Ebbene si può andare anche oltre. Sempre “Differenza Donna” organizza incontri di formazione destinati a magistrati e tirocinanti presso gli uffici giudiziari, il tutto sempre con il contributo del solito Dipartimento per le Pari Opportunità. Dopo aver indottrinato poliziotti e poliziotte sul fatto che la donna è sempre la vittima e l’uomo è sempre il carnefice, il sistema di manipolazione chiude il cerchio, assumendo dal Governo in persona il compito di indottrinare anche i magistrati. Se qualcuno si fosse chiesto il motivo per cui a parità di reato un uomo viene condannato più severamente di una donna, per cui le denunce di uomini per aver subito violenze da una donna vengono disincentivate quando non rimbalzate, per cui insomma il doppio standard di genere è diventato un brocardo giuridico di valore pari di quelli derivati dal diritto romano, ora ha una risposta molto chiara. Si tratta di un cerchio perfettamente chiuso: chi deve descrivere la realtà lo fa in modo ideologicamente orientato, chi produce la realtà viene indotto a fare il massimo possibile per rendere la realtà stessa conforme al racconto ideologico fatto dai media. A questi punti di snodo della vita collettiva viene imposto un paradigma che spaccia il concetto di parità elaborato nella versione vendicativa del femminismo o del genderismo: oppressi per secoli, ora meritiamo un risarcimento a danno dell’oppressore. Dati reali alla mano, qualcuno può davvero dire che, tra mass media, condotte delle forze dell’ordine e orientamenti giudiziari, non sia esattamente questo lo schema che viene pedissequamente seguito?
Lo hanno raccontato in mille modi i romanzieri degli scenari distopici, l’hanno sottolineato i grandi studiosi della sociologia, della scienza politica e della linguistica: chi governa la parola, governa le masse. Impugnare le redini della comunicazione pubblica o della formazione/istruzione, significa avere la possibilità di realizzare una vera e propria dittatura, un regime totalitario capace di opprimere violentemente senza sparare un singolo colpo d’arma da fuoco. Perché ogni suo atto ostile verso la parte individuata come nemica non solo non troverà l’opposizione di nessuno, ma anzi sarà accompagnato dal plauso della stragrande maggioranza, che grazie all’uso di alcune parole e l’abolizione di altre, grazie all’indottrinamento somministrato sotto la specie dell’istruzione o formazione, sarà convinto che quelle condotte e quelle decisioni siano giuste e buone. Così i nativi americani, legittimi occupanti del territorio, vennero chiamati “selvaggi”, per poterli sterminare col consenso dei più. Per rendersi conto degli effetti devastanti di questo regime è sufficiente scorrere le pagine di questo sito, nella sua sezione “Storie” o quella dedicata ai media. E dev’essere chiaro che, se ciò che denunciamo pare porre la sua attenzione solo sul lato maschile, che è il bersaglio principale di questa ondata di odio ideologico, in realtà il fenomeno interessa tutti, uomini e donne, le loro capacità relazionali e le loro potenzialità collaborative nella costruzione di un futuro migliore. È in atto, sotto lo sguardo di tutti, nell’inerzia di tutti, un regime senza scrupoli. Chi finge di non vederlo, chi si adegua o collabora attivamente, ne è complice. E ne risponderà.