«Ci sono grandi differenze tra il movimento femminista conservatore dei primi anni del 1900 [il femminismo della prima ondata] e il femminismo radicale e di sinistra degli anni ’60 che ora domina la narrazione. Il primo movimento delle donne si batteva per la parità dei diritti socio-politici e rispettava le differenze tra i sessi. Culminò nel movimento delle suffragette negli anni ’20. Fu caratterizzato da un attivismo di spirito libero, che richiedeva la piena partecipazione delle donne alla vita pubblica. […] …questo primo movimento conservatore [femminismo della prima ondata] era basato sul realismo costruttivo piuttosto che sull’ideologia e quindi produsse risultati migliori. Durante questo periodo non abbiamo assistito al crollo della famiglia né il matrimonio si è trasformato in una zona di guerra. Questo tipo di femminismo non ha prodotto donne infuriate che odiano gli uomini. Mary Wollstonecraft, che all’inizio del 1800 pubblicò A Vindication of the Rights of Woman (Rivendicazione dei diritti della donna), riconobbe la diversa natura di uomini e donne, che la donna, più debole fisicamente, era strutturata in modo tale da assumere naturalmente altri ruoli rispetto all’uomo». Di questo parere è il sito conservatore americano di opinione WorldNetDaily, in un articolo intitolato “I due movimenti femministi: uno fondato sulla ragione, l’altro sulla rabbia“. Un’idea molto diffusa tra i molti contestatori del femminismo attuale. In breve, ci sarebbero due femminismi, uno sano e buono e uno radicale e cattivo. Il femminismo buono sarebbe il femminismo della prima ondata; il femminismo cattivo quello successivo. Si tratta in realtà di un argomento che è stato già affrontato da noi, con una serie di interventi sul femminismo della prima ondata (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8).
A modo introduttivo era stato scritto: «…l’esistenza nell’Ottocento e nei primi anni del Novecento di un femminismo giusto e necessario, ma oggi uscito fuori di senno, è un’idea molto diffusa tra le persone che contestano l’attuale femminismo, anzi a mio avviso è maggioritaria. Spesso è frutto dell’ignoranza, malinformati su cosa sia stato in realtà il femminismo della prima ondata; ha comunque il vantaggio di conferire un’aura di moderazione all’interno dell’universo del politicamente corretto, che li allontana dagli “estremisti e misogini antifemministi” che criticano il femminismo tout court. […] Per coloro che invece contestano il femminismo tout court, si tratterebbe invece di una visione idealizzata del femminismo. Per questi, il germe della discordia e dell’ingiustizia si troverebbe proprio all’interno dell’ideologia femminista, al di là della pratica e del momento storico vissuto. Non può esistere un femminismo “buono” – come ad esempio non può esistere un nazismo buono – perché è intrinseca nella sua dottrina la falsità e l’ingiustizia. Infatti, la posizione “conciliante” crea più problemi logici di quelli che risolve, e ci avvicina pericolosamente alla stessa ideologia femminista previamente sconfessata. Primo, avalla la narrazione femminista, almeno fino ad un certo punto della Storia dell’umanità. Se il femminismo della prima ondata era nel giusto e le istanze erano corrette, allora è legittimata l’esistenza storica di un sistema sociale denominato patriarcato che avrebbe oppresso per secoli le donne a vantaggio degli uomini, appunto fino ai primi del Novecento, quando le lotte femministe riescono a modificare questo sistema. Il femminismo aveva dunque ragione. Secondo, il rovescio della medaglia, se la narrazione dell’oppressione delle donne era giusta, i privilegiati non possono essere nel contempo vittime, dunque prima del Novecento non esistono le vittime maschili né la sofferenza maschile causata dalle donne…».
Il postulato unico del femminismo.
Molti di quelli che contestano oggi la necessità di un movimento femminista, molti di quelli che denunciano la falsità della loro narrazione attuale, ma giustificano l’esistenza di un femminismo storico, muovono la loro critica da un’osservazione diretta della società, da un confronto giorno per giorno con la realtà. Sotto i loro occhi sfilano uomini, che la teoria femminista qualifica come “privilegiati”, che subiscono ingiustizie, discriminazione e miseria, che patiscono la fame o la privazione della libertà. Sotto i loro occhi sfilano donne, che la teoria femminista cataloga come “vittime”, che vivono nel lusso e nel privilegio di non dover lavorare, che violano le leggi, agiscono violenza e uccidono. Il loro vissuto e la loro esperienza quotidiana non combacia dunque con il racconto mediatico e istituzionale del mondo che propaga il femminismo. Eppure in loro non sorge il sospetto che se l’attuale narrazione femminista è falsa, inoppugnabilmente falsa, come dimostra il loro vissuto e la loro esperienza, forse la stessa e identica narrazione, in questo caso applicata alla Storia – della quale non siamo più osservatori diretti – potrebbe essere infetta dagli stessi agenti patogeni della narrazione attuale. Senza necessità di andare troppo a ritroso nella Storia, nei prossimi interventi cercherò di integrare con nuovi argomenti, dati e informazioni la soprammenzionata serie sul femminismo della prima ondata, approfondendo il periodo durante il quale queste femministe (buone) vivevano e denunciavano la condizione delle donne. Durante questo periodo, sotto i loro occhi, sfilavano forse anche uomini che subivano ingiustizie, discriminazione e miseria, che pativano la fame o la privazione della libertà? Durante questo periodo, sotto i loro occhi, sfilavano forse anche donne che vivevano nel lusso e nel privilegio di non dover lavorare, che violavano le leggi, agivano violenza e uccidevano? Godevano forse queste donne di certi privilegi? Si reputavano forse queste femministe esseri superiori?
Infine, con il rischio di diventare pesante, vorrei soffermarmi su un argomento che è stato trattato diverse volte ma che ritengo fondamentale: definizione di femminismo. L’errore di fondo dell’articolo di WorldNetDaily e di tutte quelle persone che criticano il femminismo attuale e scagionano quello della prima ondata, è che non è a loro chiaro il concetto di femminismo. Non è il modo nel quale si agisce o l’opinione che si manifesta su certi temi che fa diventare un individuo una femminista buona o cattiva; non importa se si è favorevole o contrario alla libertà sessuale, l’ideologia di genere, la pornografia, la minigonna, la prostituzione, il velo, il concetto di violenza di genere, il sessismo del linguaggio, la custodia dei figli, il diritto al divorzio, il diritto all’eredità, le quote, l’accesso all’istruzione superiore, al mondo del lavoro, alla politica, ecc. Non è la posizione su ognuno di questi argomenti che rende una persona più o meno femminista, né una femminista buona o cattiva. Le femministe della prima ondata avevano un’opinione molto diversa su molti argomenti – la famiglia, la religione, la differenziazione di ruoli sessuali, l’aborto, il sesso – rispetto alle femministe successive, ciò può rendere loro persone forse migliori o peggiori, ma non femministe migliori o peggiori. L’aspetto che unisce tutte queste donne sotto l’ombrello di femminismo è il modo nel quale affrontano gli argomenti, sotto la stessa identica prospettiva che stabilisce per le donne la condizione di vittime oppresse e per gli uomini la condizione di privilegiati oppressori. Questa convinzione, donna vittima / uomo oppressore (ciò che il femminismo ha definito Patriarcato), applicata ad ogni aspetto della vita, è ciò che rende un individuo un/una femminista. Questa è l’essenza del femminismo: la donna è schiava; ergo l’uomo è il padrone. Non sono io a dirlo, come vedremo nel prossimo intervento, sono tanto le femministe “buone” (prima ondata) come le “cattive” (ondate successive). (Continua domenica prossima)