di Fabio Nestola. Nel profluvio di propaganda che sta riempiendo i mass media, ci imbattiamo in questo articolo pubblicato da “Il Tempo”. Assolutamente imperdibile. Il fatto è che on è obbligatorio saper scrivere. Quando una persona non è portata per l’intreccio tra logica e grammatica, forse sarebbe meglio tentare con altri mestieri meno impegnativi, pur se ugualmente dignitosi e spesso fonte di ottime entrate: la concorrente del Grande Fratello, l’opinionista nei talk show sportivi, la venditrice televisiva di offerte “solo per questa settimana”, l’influencer, la counselor.
L’articolo è davvero imbarazzante sotto un’ampia serie di aspetti: le inesattezze, l’uso delle percentuali, le ripetizioni, la scorrevolezza, perfino l’utilizzo random delle maiuscole e della punteggiatura. “Sempre più recentemente si è verificato sempre più al culmine di una lite tra partner ed ex partner, o più frequentemente in un contesto di stalking posto in essere da un lungo o breve periodo”. Non è meraviglioso? Paolo Mieli, prendi appunti. L’Autrice parla di femminicidio senza sapere che nel nostro ordinamento non esiste. È un termine esclusivamente mediatico, ma lei non se ne è accorta e scrive: “In Italia nel nostro ordinamento penale il termine #femminicidio ha fatto la sua comparsa nel periodo di agosto 2013, con l’allora governo “Letta”, il quale ha emanato il decreto contenente le norme penali che aggravano le ipotesi di atti persecutori “stalking”, omicio…”.
Enrico Mentana, impara come si danno le notizie.
“In Italia nel nostro ordinamento” non è male, così l’Autrice dissipa i dubbi di chi potesse pensare che in Italia fosse in vigore l’ordinamento anglosassone. Sorvoliamo sul bizzarro “omicio”, che non vuol dire “il gatto” a Mergellina ma evidentemente l’Autrice intendeva scrivere omicidio. Rileggere prima di pubblicare, proprio no? Tuttavia la cantonata più vistosa la prende quando pensa di fare la precisina sull’esordio del termine femminicidio nell’impianto normativo Italiano. Non è vero, il termine femminicidio non esiste in nessuno dei quattro codici, né tantomeno nel decreto 1079/2013. Qualcuno azzarda la libertà di definirlo “cosiddetto decreto femminicidio”, ma giuridicamente non esiste. Secondo lei, però, il termine femminicidio avrebbe “fatto la sua comparsa nel periodo di agosto 2013”. Stu-pen-do. Marco Travaglio, non senti vacillare la tua poltrona?
Quindi l’Autrice si avventura in un terreno per lei scivoloso: l’analisi delle percentuali. Cita un’indagine sulle donne uccise da uomini (il che è cosa diversa dal femminicidio) con paternità abbastanza confuse, visto che l’avrebbe condotta il security manager Federico Iannoni Sebastianini secondo dati Istat e Ministero della Giustizia. Quindi? Se la fonte dei dati è il Ministero della Giustizia e le elaborazioni statistiche sono dell’ISTAT, non è chiaro quale sia l’ulteriore fatica fatta da Iannoni Sebastianini per citare una “suo” elaborato. Sicuramente avrà fatto un lavoro egregio, ma l’Autrice è avara di particolari sull’indagine svolta dal security manager, non dice dove sia consultabile e cita solo uno striminzito “48% di episodi al nord e 52% nel centro/sud Italia, per cui i dati ci indicano che il fenomeno in Italia è presente da Nord a Sud”. Ma va? Siccome succede a nord e pure a sud, il fenomeno è presente da nord a sud. Visto come si fa? Enrico Mentana, impara come si danno le notizie.
Una spiegazione illuminante. Sbagliata, ma illuminante.
Non dice altro l’indagine del security manager? Che so: fasce d’età di autori e vittime, modalità degli eventi delittuosi, arma utilizzata, tasso di premeditazione, percentuale di suicidio dell’assassino… Ciò che riporta l’Autrice non sembra essere di fondamentale importanza per aggiungere particolari significativi alla percezione collettiva del fenomeno. Come dire che la pesca a strascico in Italia è praticata per il 60% nel sud e nelle isole, per il 30% nel centro e per il restante 10% nel nord. Quindi dall’indagine emerge che la pratica è diffusa da nord a sud. Poi una fondamentale precisazione sullo stalking: “Per Quanto riguarda Lo stalking Sempre in continuo aumento, ecco i risultati dell’esame riportato da un esperto nel settore della sicurezza e dell’investigazione, ovvero il security manager Iannoni: è l’insieme di comportamenti persecutori ripetuti, come ad esempio minacce, pedinamenti, molestie, telefonate ed attenzioni indesiderate, nei confronti di una donna “la propria vittima””.
Chiaro, no? Smettetela quindi, brutti ignoranti, di credere che lo stalking sia il furto di bestiame o gli schiamazzi notturni, l’Autrice ci ha rivelato il vero significato attraverso l’esame dell’esperto. Peccato che il chiarimento non sia poi così tempestivo: il reato di atti persecutori (art. 612 bis) è in vigore dal 2009. In undici anni qualcuno, magari non tutti, ma qualcuno si, aveva già capito ciò che il memorabile articolo svela nel 2020. Sempre sullo stalking l’Autrice sente il bisogno di dare ai lettori ulteriori chiarimenti, si vede che ci tiene: “una persona di qualsiasi età e ceto sociale che mette in atto comportamenti maniacali e persecutori nei confronti di un altra persona è definito stalker .(…) i comportamenti che adotta il persecutore sono telefonate e/o sms di insulti e/o minacce, pedinamenti della vittima, danneggiamenti intenzionali dell’auto della donna, o della cassetta della posta, come anche della porta di casa, insomma molestie di ogni genere”. Ok, finalmente una spiegazione illuminante. Sbagliata, ma illuminante.
È come sparare sulla Croce Rossa.
È sbagliata perché non è vero che lo stalker debba inviare messaggi ingiuriosi o minacciosi, la casistica (però bisogna conoscerla) registra anche persone incriminate per aver inviato alla vittima mazzi di fiori e bigliettini d’amore. Magari non sarebbe male informarsi un po’. Lo stalking è un reato di percezione, che prescinde da elementi oggettivi; la configurazione o meno della fattispecie di reato è legata quindi alla percezione della vittima, la quale se “si sente” assillata dai comportamenti del persecutore e prova un perdurante stato d’ansia, può denunciarlo. Anche se le intenzioni di questi erano tutt’altro che ingiuriose, aggressive, minacciose.
Il tutto è illuminante perché svela il pregiudizio di fondo dell’Autrice e di buona parte della popolazione italiana: quando scrive “danneggiamenti intenzionali dell’auto della donna” la nostra amica slatentizza la sua convinzione del fatto che l’autore possa essere solo di genere maschile e la vittima solo di genere femminile. È falso, le percentuali dello stalking femminile oscillano dal 25 al 30%, a seconda degli anni di rilevazione (vedasi qui e qui). Comunque è inutile continuare l’analisi dell’articolo, è come sparare sulla Croce Rossa. Piuttosto sarò il caso di approfondire la speculazione ideologica in merito alla legge sul femminicidio che non esiste, al reato di femminicidio che non esiste, ai dati ufficiali che non esistono, ai dati ufficiosi gonfiati ad arte e discordanti tra loro. Prossimamente su questi schermi.