di Redazione. Chi decide di cambiare sesso tramite operazione chirurgica generalmente deve poi supportare il proprio percorso di transizione attraverso l’utilizzo, per tutta la vita, di farmaci specifici che, fino ad oggi, erano a carico dell’interessato. Una disposizione della Giunta regionale dell’Emilia Romagna ha cambiato tutto: limitatamente al territorio regionale, chi volesse transizionare troverà i farmaci necessari gratuiti, ossia pagati dal Sistema Santario Nazionale, nelle farmacie ospedaliere. La comunità GLBT esulta, anche perché in simultanea l’Agenzia del Farmaco ha stabilito che quel tipo di farmaci debbano essere a carico del Servizio Nazionale. “Garantire il diritto alla salute a tutte le persone, nessuna esclusa”, ha dichiarato il Vice-Presidente Elly Schlein, “è un orizzonte di civiltà a cui una società deve necessariamente tendere. Un bel passo in avanti nella direzione di una comunità più inclusiva”. Le fa eco il Presidente dell’ArciGay Emilia Romagna Marco Tonti: “si mette fine a un’epoca di arbitrarietà nella somministrazione di questi farmaci vitali, rinforzando un principio di parità e di rispetto delle persone”.
Belle parole, ma qualcosa non torna. La spesa farmaceutica italiana, gestita dalle regioni, è ovunque altissima, in certe zone addirittura fuori controllo. I governatori fanno i salti mortali per far tornare i conti e da Roma cercano anno dopo anno di stringere i cordoni su quella voce di costo. Anche per questo ora i medici di famiglia sono controllati a vista quando prescrivono e c’è addirittura chi parla di premialità economiche per chi produce poche “ricette”. Non solo: la gestione dei farmaci garantiti dallo Stato, anche nell’ottica dell’ottimizzazione della spesa pubblica, cerca per quanto possibile di concentrarsi su quei prodotti che coniughino importanza terapeutica e prezzo non accessibile. Farmaci per malattie gravi o rare, i cosiddetti “salva-vita” e così via. In quell’ambito, proprio per le restrizioni di spesa, sono molti i casi di “scoperture”: medicine molto costose, indispensabili per la cura di patologie invalidanti o degenerative o infrequenti, che restano in tutto o in parte a carico dei pazienti. Per non parlare di tutto l’ambito della disabilità, la cenerentola un po’ ovunque quando si tratta di spesa pubblica. In queste condizioni, la priorità dell’Emilia Romagna e dell’Agenzia del Farmaco non è ampliare le garanzie dello Stato a chi, vittima di malattie importanti, ne è ancora escluso, ma includere le persone affette da “disforia di genere”. Che, se davvero esiste, al massimo fa star male dal lato psicologico, ma non uccide.
E se poi detransizionano?
Eppure Elly Schlein parla di “diritto alla salute”, Tonti parla di “farmaci vitali”, e tutti in coro parlano di “inclusività”, pur permanendo altre oggettivamente più urgenti esclusioni. Anche perché un tumore o il morbo di Crohn non si sceglie di averli, mentre affrontare una transizione di sesso è una scelta. Certo indotta da un malessere interiore, dal disagio di stare in un corpo cui non si sente di appartenere ma, insomma, con tutta oggettività, si tratta di questioni non paragonabili. Eppure così si dispone, in una decisione che appare decisamente ideologica, come tale sovversiva delle reali priorità in un sistema così delicato e importante come quello sanitario. Senza tener conto di un altro aspetto cruciale: molti (ben più di quanto si pensi) sono coloro che, dopo aver transizionato, decidono di tornare al sesso assegnato dalla natura. In Italia non ci sono dati su questo fenomeno, che dev’essere ampio se paragonato ad altri paesi occidentali. In questo c’è un rischio e una soluzione possibile: il rischio è quello che il capriccio di molti finisca sovvenzionato con i soldi di tutti. La soluzione, se proprio si vuole portare avanti questa politica insensata, è quella di prevedere almeno l’integrale restituzione delle somme pagate dal Sistema Sanitario in caso di detransizione e ritorno al genere d’origine. Anche questo parrebbe equo, non trovate, Vice-Presidente Elly Schlein e Presidente Marco Tonti?