Anche stavolta remo controcorrente, mi capita spesso. Molti si indignano per questa l’iniziativa del Tribunale di Terni dove si prevede la rilevazione dell’incidenza della violenza di genere e domestica nell’ambito di tutti i procedimenti nei quali è presente una domanda di affidamento dei figli minori. Secondo me invece è un’ottima cosa, sul medio e lungo periodo può tornare veramente molto utile. Mi spiego: rilevo da anni la progressiva sparizione della formula, ben nota agli avvocati, che recita “venuta meno la comunione di intenti alla base del matrimonio”, una maniera educata per dire al giudice di farsi gli affari suoi. Si comunicava semplicemente la volontà di vivere separati, senza accanirsi su chi ha tradito per primo o sulle ingerenze della suocera. La famiglia si separava senza dissotterrare l’ascia di guerra, semplicemente perché la coppia non funzionava più. L’affido condiviso ancora non esisteva quindi per 40 anni separazioni e divorzi si sono incanalati secondo i modelli standardizzati del genitore prevalente e genitore marginale: casa, figli e assegno alla madre, al padre veniva concesso di vedere i bambini un pomeriggio a settimana e due domeniche al mese.
Indice di rassegnazione maschile? Non si può sapere, l’unica certezza è che gli avvocati spegnevano sul nascere qualsiasi velleità di chiedere qualcosa di diverso perché la prassi giurisprudenziale si adagiava sui binari della maternal preference. A partire dal 2006 le cose – almeno formalmente – sono cambiate, la figura paterna – almeno formalmente – non è più relegata in un angolo, il diritto della prole – almeno formalmente – si articola su frequentazioni equilibrate e continuative con entrambi i genitori. Almeno formalmente poi, quindi in via squisitamente teorica, l’accanimento di larghe fasce della magistratura sul modello precedente alla riforma ha fatto scempio della bigenitorialità, ma questo è un altro discorso. Quindi dal 2006 i padri hanno iniziato ad essere maggiormente coinvolti nel processo di crescita dei figli, o almeno hanno creduto di poterlo fare. Si sono però scontrati con nuovi ostacoli costruiti ad arte. La realtà storica della casistica dice che in coincidenza col combinato disposto tra l’introduzione dell’affido condiviso e il moltiplicarsi dei centri antiviolenza, il percorso civile della separazione comporta pressoché automaticamente lo sconfinamento nel penale: maltrattamenti, stalking, violenze sessuali su adulti e minori. Si tratta di un fenomeno studiato anche dal mondo accademico (ad esempio qui e qui).
Sorprende, ma poi neanche tanto, la sfacciataggine di alcuni centri antiviolenza.
La separazione senza corredo di denunce praticamente non esiste più, sembra che i padri italiani mettano al mondo i figli solo per la comodità di avere in casa qualcuno su cui sfogare gli istinti pedofili, o qualcuno da pestare, maltrattare e insultare, oppure ancora qualcuno che possa assistere mentre pestano, maltrattano e violentano le madri. Un’inchiesta condotta nel 2011 presso le operatrici di giustizia, esclusivamente donne, ha raccolto le testimonianze di avvocate, sostitute procuratrici, psicologhe forensi , pedagogiste e criminologhe secondo le quali le denunce presentate in concomitanza con le istanze di separazione si dimostrano infondate in percentuali che oscillano dal 70 al 90%, a seconda delle Procure. Un esempio fra i tanti: “I maltrattamenti in famiglia stanno diventando un’arma di ritorsione per i contenziosi civili durante le separazioni. Solo in 2 casi su 10 si tratta di maltrattamenti veri. Il resto sono querele usate come ricatto nei confronti dei mariti durante la separazione. Se non mi concedi tot benefici, ti denuncio. Una tirata d’orecchi alle associazioni che operano a tutela delle donne: non fanno l’operazione di filtro che dovrebbero fare. Incitano le assistite a denunciare, ma poi si disinteressano del percorso giudiziario, di verificare come finirà la vicenda” (Carmen Pugliese, Sost. Proc. c/o Trib. di Bergamo – 29 gennaio 2009).
Una media dell’80% di false accuse. Percentuale che la dice lunga: il 3-4% di false accuse sarebbe da considerare fisiologico, persone che in buonafede sbagliano nel denunciare episodi considerati penalmente rilevanti e invece alla verifica giudiziaria finiscono in archiviazioni, proscioglimenti, assoluzioni. Quando però le persone che sbagliano sono l’80% qualcosa non va, come minimo vacilla l’elemento buonafede. Parlo dei centri antiviolenza – e lo fa anche la dr.ssa Pugliese, molto più autorevole di chi scrive – perché un ruolo sembrano averlo nel proliferare di denunce che poi si rivelano infondate. Sacrosanto il dovere di denunciare i maltrattamenti reali, ma la percentuale di falsi negativi è anomala rispetto a qualsiasi criterio di ragionevolezza. “Incitano le assistite a denunciare” dice sempre la Pugliese “ma poi si disinteressano del percorso giudiziario”. Ecco, appunto. È ciò che da queste pagine sottolineiamo da anni, la differenza abissale tra il totale delle denunce e il numero di quelle che si rivelano fondate. Sorprende, ma poi neanche tanto, la sfacciataggine di alcuni centri antiviolenza che, dopo il varo della legge 54/06 si vantavano di saper aiutare le proprie assistite ad aggirare la legge.
È il dato che manca.
Notare bene: “Le nostre legali, in conformità con gli scopi dell’associazione Differenza Donna, intervengono (…) nei casi di separazione decisa per la violenza agita nei confronti della donna e dei bambini. Sono professioniste molto motivate, sempre al corrente delle ultime leggi, molto valide nel sottolineare le novità negative e trovare il modo di aggirarle“. Nel caso di separazione la novità negativa è l’affido condiviso che mette in discussione il monopolio materno consolidato negli anni. Le professioniste di Differenza Donna conoscono le novità negative e conoscono il sistema per aggirarle. Cosa avranno voluto dire? Ragazze, la denuncia per violenza è il metodo più veloce e sicuro per liberarvi dell’ex, cacciarlo da casa ed allontanarlo dai figli. Se c’è una violenza denunciamola insieme, se non c’è vi insegniamo come crearla. È questo che volevano lasciar intendere? Ma no, non posso credere a uno scivolone simile, probabilmente era uno scherzo di qualche programmatrice burlona. Resta il fatto che dopo la segnalazione alla Senatrice Alessandra Gallone la dicitura è scomparsa dal sito.
Tornando al progetto del Tribunale di Terni, sembra essere lo strumento che potrebbe far luce sul fenomeno oscuro delle false accuse proprio nel settore di nicchia che riguarda le denunce in ambito separativo. Parte da un presupposto sbagliato: “La certezza è che i giudizi di separazione (…) sono luoghi privilegiati per l’emersione della violenza nelle sue diverse declinazioni”. Non è così, il presupposto è che la semplice denuncia garantisca la colpevolezza dell’accusato, ma la casistica testimonia il contrario: le separazioni fanno emergere le dichiarazioni delle presunte vittime di violenza, accertare la fondatezza di tali dichiarazioni è cosa diversa. Il progetto pilota dovrebbe, almeno nelle intenzioni, verificare proprio questo aspetto attraverso l’incrocio dei dati: 1) incidenza della violenza dichiarata nei giudizi civili 2) verifica dei provvedimenti adottati all’esito di tali procedimenti. È il dato che manca. In maniera empirica proviamo da anni a dimostrare l’incidenza di assoluzioni, archiviazioni e proscioglimenti dalle accuse che si rivelano penalmente irrilevanti e non meritevoli di arresto ma nemmeno di ammonimenti o misure cautelari di altro tipo.
Chiarire il divario tra denunce ed effettive condanne.
Archiviamo a centinaia le notizie di cronaca, abbiamo però sempre sottolineato come sia impossibile avere tutti i casi di infondatezza delle accuse. I nostri sono, per forza di cose, database approssimati per difetto, in quanto la maggior parte di archiviazioni e proscioglimenti non trova spazio sui media. Da tempo proviamo a chiedere, anche attraverso due Università, l’accesso ai fascicoli di tribunale per fare proprio il tipo di verifica che ora propone Terni. Qualcuno ha risposto negativamente invocando la privacy, altri non hanno risposto affatto. Siamo comunque ben consci dell’impossibilità di avere in tempi brevi un quadro esaustivo, l’assoluzione di quest’anno può essere relativa alla denuncia di 5 o 6 anni addietro, quindi delle denunce presentate oggi si conosceranno gli esiti l’anno prossimo, fra due anni, tre anni o più. Un’indagine su tutti i fascicoli di un tribunale è proprio ciò che serve a colmare il vuoto di dati certi e soprattutto completi, per chiarire ufficialmente il divario tra denunce ed effettive condanne. Anzi, sarebbe auspicabile che l’iniziativa di trasparenza non si limitasse al solo tribunale di Terni. Se fossero rese pubbliche le risultanze, avremmo tutti dei dati omogenei sui quali lavorare.