Dice: la maschilità tossica fa sì che le violenze siano perpetrate soltanto da uomini a danno soltanto delle donne, le quali per natura sono empatiche, gentili, non violente, corrette, leali. Il Bene e il Male contrapposti, secondo uno schema semplice che, dacché esiste un’umanità popolata da una maggioranza di depensanti, attecchisce sempre alla grande. Ecco allora che il pregiudizio e lo stereotipo (infondato) diventano regola in quel sentire comune ben alimentato dai mezzi di comunicazione di massa. Quando è una donna a uccidere un bambino: “eh, poverina, chissà che dramma interiore stava vivendo…”. Quando massacra di botte l’anziano in una RSA: “eh, ma quello è un lavoro che mette sotto pressione, va compresa…”. Quando perseguita o accoltella il compagno o l’ex compagno: “eh, ma chissà lui che cosa le ha fatto per spingerla a un gesto del genere…”. La narrazione predominante è costruita apposta per arrivare a questi capolinea assolutori, quando la malefatta è rosa. Quando invece è azzurra, l’esito è molto più spiccio e immediato: mostro in prima pagina, con commenti criminalizzanti verso tutto intero un genere, condanna giudiziaria a prescindere e tanti saluti.
Il problema è che, uscendo dallo schema da scuola elementare dei buoni e dei cattivi, si trova una gran quantità di sfumature, e più sfumature si trovano più lo schema binario viene smentito. Ecco perché le statistiche ufficiali misurano un fenomeno e uno soltanto (la violenza maschile contro le donne): per evitare, misurandone altri connessi, che la narrazione desiderata e più vantaggiosa per alcuni venga smentita. Ed è a quel punto che intervengono i disturbatori come noi de “La Fionda”. Abbiamo iniziato già anni fa, con il blog “Stalker sarai tu“, a misurare altre anomalie che passavano, a nostro avviso ingiustamente, inosservate. Partimmo con le violenze femminili a minori e anziani e fu una scelta ponderata. Storicamente è vero che le violenze vengono fatte più dagli uomini che dalle donne, ma uscendo dalla logica di genere si vede che è storicamente molto più vero che le violenze vengono fatte più facilmente dai più forti sui più deboli. Dunque gli uomini sulle donne (o su altri uomini più deboli), le donne su anziani e bambini, i bambini sugli animali domestici e così via. L’innesco fu dunque la valutazione di un carattere fisiologico della violenza e nacque così l’indicatore che chiamammo “Il conteggio infame“, dove fin dal 2018 registriamo i casi menzionati dai media di violenza femminile su minori e anziani.
La violenza non ha genere.
L’andamento di questo indicatore, aggiornato al 2021, risulta in calo, come si vede dal grafico. Naturale: di mezzo c’è stata la pandemia, con asili chiusi e le dipendenti delle RSA più impegnate a contenere il contagio che a maltrattare o riempire di mazzate gli anziani. A questo, essenzialmente, si deve la flessione del numero di casi, fermo restando lo zoccolo duro delle violenze su minori perpetrate da madri o donne di famiglia, più quelle sugli anziani ad opera di badanti o parenti più giovani. Prevalgono le prime sulle seconde, con una distribuzione tutto sommato omogenea sul territorio nazionale. Complessivamente i due fenomeni non presentano numeri impressionanti, rimane però significativo che siano comunque più dei “femminicidi” propriamente detti, che annualmente si attestano (come vedremo in un apposito articolo relativo ai casi 2021) su una forbice di 40 e 50. Senza contare che qui si parla di atti violenti riportati dai media: siamo, come detto, nemmeno alla punta, ma alla cuspide più alta di un iceberg di dimensioni probabilmente inimmaginabili e smisurate. Anche per questo, oltre al fatto che i dati smentirebbero l’innocenza ontologica dell’esser donna, il fenomeno non viene misurato, lasciando ad altri fenomeni molto più limitati il privilegio della ribalta.
C’è poi il fenomeno più critico, quello delle violenze femminili su uomini (sottinteso adulti). Qui il panorama è molto più significativo: in cronaca nel 2021 sono finiti ben 275 casi, con una flessione rispetto all’anno precedente (che ne aveva registrati 311) ma con un peggioramento però sulla qualità delle violenze. Mai come quest’anno, dacché registriamo questo tipo di dati, c’è stato un picco di aggressioni con uso di lame da parte di donne a danno di uomini: forbici, coltelli (gettonatissimi), addirittura in un caso un’ascia. Molto spesso (e questo vale per autori uomini e donne) i reati si presentano associati: il revenge porn all’estorsione, le lesioni alle percosse o alle minacce, e così via. Nella classificazione abbiamo tenuto conto in genere dell’occorrenza più grave e dal punto di vista statistico, fermo restando che (ripetiamolo) si tratta soltanto dei casi finiti sui media, il crimine che la fa da padrone è quello degli atti persecutori (39,2% dei casi). Quello su cui di solito i giornali titolano “stalking al contrario”, per intenderci, quando a metterlo in atto è una donna, come se si trattasse di un’eccezione. Stando alle rilevazioni invece pare proprio che non siano assolutamente gli uomini ad avere il monopolio del “non sapersi rassegnare alla fine della relazione”. Seguono i maltrattamenti in famiglia (13,2% dei casi), il tentato omicidio (9,9% dei casi) e l’omicidio riuscito (9%). Frequentissime le estorsioni, il più delle volte di natura sessuale, con un uso amplissimo del “revenge porn” (altro presunto monopolio maschile). Tra le violenze femminili a danno degli uomini si registra anche la presenza di una violenza sessuale e di un reato particolarmente orrido ed eccentrico come il vilipendio di cadavere.
False accuse: una violenza tipicamente femminile.
La violenza dunque non ha sesso? Esattamente. Se si parte dal presupposto che i numeri riportati sono soltanto una frazione di ciò che accade e che viene registrato nei tribunali italiani, è del tutto possibile dire che la distinzione per genere tra gli autori di violenze ha valore soltanto se la si vuole strumentalizzare dal lato ideologico. Per il resto la violenza resta connaturata all’essere umano, con una particolare inclinazione da parte maschile per quella fisica, dovuta alla sua forza mediamente maggiore. Quella stessa che, tra parentesi, fa registrare una preponderanza maschile anche tra i salvataggi (di donne e non solo), che però nessuno finora si è peritato di misurare. Laddove però la forza fisica non è necessaria per farsi autori di violenza sono indubbiamente le donne che la fanno da padrone. A dimostrarlo sta l’incredibile picco che abbiamo registrato nel comparto delle false denunce. La sezione “Sorella io (non) ti credo” ha registrato nel 2021 la bellezza di 343 casi, con un incremento del 129% rispetto a due anni fa. Qui però non c’entra la pandemia: gran parte delle archiviazioni o assoluzioni di uomini derivano da querele depositate il più delle volte più di due anni fa. La crescita esponenziale di false accuse è probabilmente da ascriversi soltanto all’incessante battage propagandistico sulla “dilagante” violenza contro le donne, l’indispensabilità dei centri antiviolenza e la persistenza di una cultura violenta e maschilista nel nostro paese. «Denunciate, denunciate, denunciate», è la predicazione ossessiva attuale, con fior di incentivi e gratuità per farlo in piena sicurezza. Data l’occasione, molte la colgono, con l’esplosione del fenomeno registrata nel 2021 (ripetiamo: si tratta solo di casi finiti sui media, il numero reale è presumibilmente smisuratamente più grande).
Dal lato statistico, le false accuse più gettonate sono quelle di violenza sessuale (44% dei casi) e di atti persecutori (23,8%). Questi due da soli costituiscono più della metà del totale delle false accuse che si sono tradotte in denuncia da parte di una donna (o più donne) contro un uomo, poi esitate in archiviazione o assoluzione con formula piena. Seguono false accuse su reati tipicamente da “violenza domestica”: maltrattamenti, percosse, lesioni (insieme costituiscono il 23% delle false accuse). Seguono poi casistiche più assortite e meno frequenti come false accuse per minacce, molestie, rapina, sequestro, violenza privata. Non mancano poi le false denunce tipiche dell’ex moglie che vuole togliersi dai piedi per anni o per sempre l’ex marito: quelle di abusi sessuali su minorenni o legate alla pedofilia e pedopornografia sono tra le false accuse più infami e infamanti e ad oggi sembrano rimaste poche quelle che hanno il fegato di usarle (circa il 5%). Centri antiviolenza e vari altri cattivi consiglieri devono aver capito che i magistrati hanno preso ad andarci con i piedi di piombo su questi casi, e che a disposizione ci sono reati molto più “manipolabili” (lo stalking in primis, ma anche la violenza sessuale) e dunque più efficaci. Queste, sinteticamente, sono le dimensioni di un fenomeno che nel 2021 è letteralmente esploso e può a buon diritto essere definito come una forma effettiva di violenza perpetrata dal genere femminile sul genere maschile, forte com’è il primo dei tappeti rossi stesi per il suo presunto essere “sempre vittima” e debole com’è il secondo nella sua costante e ossessiva criminalizzazione.
La violenza istituzionale contro gli uomini.
Come si è detto nell’articolo di ieri, però, si tratta di un tipo di violenza che i giudici tendono a fermare nel 90% dei casi. Il problema è che si tratta di una violenza subdola, di lunga durata, capace di toglierti figli, reputazione, denaro, serenità, il tutto per la durata di anni. Uno stillicidio che, fenomeno ancora non misurato (e che mai verrà misurato), potrebbe in qualche misura connettersi con la schiacciante preponderanza di suicidi maschili, come si è detto nell’articolo di domenica. Il tutto assurge poi a violenza di livello istituzionale, nella misura in cui il fenomeno viene non solo negato, ma addirittura incentivato con proposte di legge folli dove la definizione del reato viene rimessa alla parola della denunciante o al suo sentore. I nostri indicatori, non fatichiamo ad ammetterlo, hanno poco di scientifico. Tuttavia continueremo a usarli anche nel 2022 perché, pur nella loro limitatezza, sono in grado di segnalare le storture e le anomalie di un sistema che ignora fenomeni palesemente esistenti, ma soprattutto che delega all’iniziativa di singoli cittadini una qualche forma di misurazione statistica. Già questo è il segno dell’esistenza di un doppio standard e di una malafede che, da sole, denotano la persistenza di una violenza istituzionale strutturale e permanente orientata con dolo verso il genere maschile.